Ancora una scritta anonima, questa volta
su un pannello di marmo della parete esterna dell'edificio della
stazione ferroviaria di Villa S. Giovanni (RC), vergata con
pennarello blu a punta grossa, in stampatello, ad altezza d'uomo,
leggibile a non più di due metri di distanza, e contenente due
evidenti errori di ortografia che prego il proto di non correggermi,
pena l'eliminazione del senso da quasi tutto il resto del mio
discorso: "LITALIA E DI NOI ITALIANI". Le possibili ipotesi
sull'identità dell'autore sono due: o l'italiano nazionalista,
razzista e ignorante, oppure lo straniero rancoroso e burlone.
Sherlock Holmes ne avrebbe soppesata una terza, quella dell'italiano
colto che decidesse di fingere di essere uno straniero spiritoso;
ma conosco i miei conterranei, e da queste parti l'unico che
potrebbe corrispondere a queste caratteristiche - scusate l'immodestia
- sono io, e vi assicuro che non è mia abitudine imbrattare
i muri, dunque quest'ultima ipotesi è scartata immediatamente.
Rimangono le prime due. Dovete sapere che quel pannello di marmo
si trova di fronte al punto del piazzale dov'è la fermata del
pullman che va dalla Sicilia alla Polonia, e viceversa, il che
potrebbe corroborare entrambe le due ipotesi residue. Nel caso
dell'autore italiano, sarebbe il luogo di fruibilità del messaggio;
nel caso dell'autore straniero, quello più a portata di mano.
Ma c'è un punto che fa pendere la bilancia della decisione dalla
parte della prima ipotesi. E, stranamente, l'indizio non risiede
in nessuno dei due errori di ortografia (effetti che rendono
equivalenti come cause entrambe le ipotesi). È anche vero che
non è la lingua usata a fare necessariamente la nazionalità
dello scrittore: se avessi visto scritto "HEIL HAIDER" non avrei
avuto alcun dubbio sull'italianità della penna, soprattutto
dopo aver osservato e ascoltato durante la trasmissione televisiva
di Michele Santoro alcuni rappresentanti del separatismo giuliano.
La mia competenza linguistica nativa di parlante italiano mi
suggerisce istintivamente che uno straniero avrebbe scritto
'DEI', 'DELLI', o anche 'DEGLI' 'ITALIANI', ma soltanto un italiano
avrebbe potuto pensare a scrivere 'DI NOI ITALIANI'. E ciò non
solo per motivi di fluida correttezza sintattica e morfologica
nell'uso e nelle corrispondenze di preposizioni, pronomi personali
e sostantivi e aggettivi, ma anche per motivi di psicologia
semantica. Come vedremo, l'uso di quel pronome 'noi' è razzista,
e solo il sincero odio razzista di chi si sente maternamente
protetto dal suolo che calpesta avrebbe potuto manifestarsi
liberamente nel giustapporre con cadenza quasi arcaica, dannunziana,
quel 'noi' a 'italiani'. Non sono sottigliezze da extracomunitario
semiclandestino e sottopagato, Watson. Dovete sapere che, diversamente
dagli altri pronomi personali, il 'noi' può assumere due significati
diversi: quello "inclusivo", in cui il 'noi' comprende il 'tu',
e quello "esclusivo", che vi si contrappone. La nozione sociale
di 'straniero' nasce proprio da questo uso esclusivo del 'noi',
laddove quella di 'solidarietà' nasce dall'altro, inclusivo.
Non ho bisogno di commentare approfonditamente quanto sia sottile
il confine, alla luce di ciò, tra solidarietà e xenofobia, e
come questo spieghi una bella fetta di contraddizioni della
società moderna. Gli errori di ortografia servono solo a catalogare
l'evoluzione civile e culturale dello xenofobo rispetto agli
altri, e mi consentono personalmente di optare per la solidarietà,
non foss'altro per la ragione minima che prenderei in seria
considerazione l'idea di fare harakiri se m'accorgessi di essermi
lasciato sfuggire un accento o un apostrofo.
D'altra parte non possiamo abusare della manovra dello struzzo
e far finta che la natura umana sia diversa da quella che è.
Non possiamo ignorare il nostro mondo e dobbiamo accettare che
dentro di noi c'è un mostro da combattere. Non possiamo pensare
di vivere dentro uno spot pubblicitario, svegliarci a mezzogiorno,
fare colazione col mulino bianco, rifiutare la pasta se non
è barilla, bere coca cola senza sollevarci da terra, trasformare
il capufficio col chewing-gum magico, far l'amore col whisky
e l'opel tigra, iscriverci ai colori uniti di benetton, e addormentarci
con la camomilla.
I dinosauri hanno impiegato svariati milioni di anni per estinguersi;
noi siamo apparsi da poco meno di uno. Come avrebbe fatto la
chirurgia a svilupparsi, senza i soldati dilaniati dalle ferite
e i cadaveri dei nostri fratelli? Come avremmo fatto senza Alcmeone
di Crotone che vivisezionava gli animali e praticava le autopsie?
Prendete il fegato, per esempio. Non sapremmo nemmeno curarlo,
se non avessimo scoperto di averlo aprendo addomi. Il nome stesso
di quest'organo suggerisce spaventose torture di oche e maiali
per renderlo cirrotico e quindi più saporito. "Iecur ficàtus"
era il fegato di quegli animali ingrassati con i fichi. Che
cosa vogliamo fare: fermare il mondo e scendere? Se il capitale
fa diventare yuppies i rivoluzionari, noi vogliamo sterminare
i razzisti? Al massimo, ingrassiamoli con i fichi.
Smettiamola di pensare di essere angeli, e cominciamo a lottare
e a sperare di diventarlo.
Carlo E. Menga
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