Rivista Anarchica Online


La Lettera della Pasta

a cura di Carlo E. Menga

Ci sono molti modi per sfuggire alle leggi che vietano la pubblicità comparativa. Ci sono molti modi per sfuggire a qualunque legge. Ciò dipende dal fatto che le leggi sono umane, dunque imperfette. Dipende anche dal fatto che esistono due criteri interpretativi della legge: il criterio della Lettera e il criterio dello Spirito. Il secondo si basa sulla volontà del legislatore, che è quella che va ricercata per farla rispettare, qualunque sciocchezza semantica abbia scritto sulla carta; il primo prevede che quale che sia l'intenzione della legge tu comunque non sbagli se ti attieni a quanto in essa sta scritto. Un po', per farla breve, come il dilemma tra pregare Dio (lo Spirito) o stringere un patto col Diavolo (la Lettera). Se chiedi a Dio di proteggerti e aiutarti, se ciò è previsto dalla sua volontà, prima o poi succederà che mangerai per pranzo dei peperoni ripieni così indigesti, e starai così male, che sarai costretto a restare a letto un giorno intero perdendo così l'unica occasione che ti si presentava di firmare un contratto che ti avrebbe fatto guadagnare un milione di dollari. Però l'aereo con cui dovevi partire precipita e non ci sono superstiti. La tua idea di aiuto contemplava il milione di dollari. La sua no. Poteva andare peggio.
Se chiedi al Diavolo di essere felice per sempre, la mattina ti svegli e sulla carta d'identità, dove dice "nome", mentre prima stava scritto "Carlo" ora sta scritto " Felice". Dodici ore dopo, muori d'infarto. Sulla tua tomba scrivono: "qui giace in eterno Felice". La partita doppia si chiude. La tua anima si tormenta all'inferno. Lui non aveva nessun torto. Tu non avevi specificato che cosa intendevi con "felice".
La pubblicità conosce i molti modi di restare dentro la lettera e di lasciare implicito il reato di comparazione. Nessuno è così stupido da dire in televisione: "il biscotto del signor X fa vomitare i defunti, mentre il mio, Y, è così buono da farli resuscitare". Anche perché in pubblicità vige un'altra, tacita, legge: "se ne parli male, purché se ne parli". Nessuno, che io sappia, denunciò mai l'artefice di quello spot di alcuni anni fa, in cui gli astronauti di un ennesimo millennio, in esplorazione su un pianeta Terra ormai in rovina, bevono Pepsi e si chiedono, incuriositi di fronte a una lattina schiacciata di Coca Cola, che tipo di fossile sia mai quello. Non so se ve ne ricordate.
Ma certamente avrete visto, di recente, lo spot di PASTA AGNESI, che a un certo punto conclude: "dove c'è Agnesi, c'è Agnesi". Sembra una stupidaggine, ma è sottile. Intanto segue la linea teorica del "Falqui: basta la parola", e dell'immediatamente precedente: "silenzio: parla Agnesi". Poi, soprattutto, assume una posizione critica nei confronti della concorrenza e del suo: "dove c'è Barilla c'è casa". Come dire che la qualità non ha bisogno di predicati: si dispiega da sola nella sua immutabile sostanza. Che fior di filosofi, gli scagnozzi di Agnesi. Hanno anche degli illustri predecessori.
Soren Kierkegaard, filosofo danese della prima metà del secolo scorso, criticava la validità costruttiva dell'affermazione di Cartesio secondo la quale, poiché si può dubitare di tutto nell'esaminare la veridicità o illusorietà dei propri pensieri tranne del fatto di stare comunque pensando, se "io penso" di conseguenza "sono una sostanza pensante". Donde la deduzione di tutta la realtà, suddivisa dualisticamente in pensiero o spirito (sostanza pensante), e materia (sostanza estesa), con i relativi guai, argomento che qui tralasciamo. Kierkegaard obietta, nel suo Diario, che tale proposizione è una mera tautologia che identifica l'esistenza col pensiero. Dedurre dal pensiero l'esistenza di una sostanza, pensante o meno che sia, è scorretto, e Cartesio, al massimo, avrebbe dovuto limitarsi ad affermare che "io penso, dunque penso". Col che non si va da nessuna parte. Qualche più moderno filosofo esistenzialista o neopositivista afferma che quella di Kierkegaard non è una critica decisiva del "cogito". Ciò potrebbe anche starmi bene. Ma prosegue, attribuendo superiore definitività alla critica di Nietzsche, dove dice che "si pensa, dunque c'è qualcosa che pensa". A me personalmente quest'ultima sembra più una critica diretta all'identificazione dell'io con una sostanza, piuttosto che il tentativo di eliminare per vie logiche il concetto di sostanza surrettiziamente introdotto da Cartesio con la sua proposizione.
Nonostante ciò, il fascino della "volontà di potenza" ha tradito i sicofanti del grano duro, come fece a suo tempo con Hitler. È evidente che lo spot non significa altro che questo: dove c'è Agnesi, c'è qualcuno che mangia Agnesi. A Barilla sta benissimo, e non vede l'ora di sottrarre alla concorrente le sue quote di mercato. Nessuno mangerà Agnesi, dunque tutti mangeranno Barilla. Il sillogismo quadra. Come si voleva dimostrare.

Carlo E. Menga