La titolare di una casa editrice francese con cui mi
trovavo a parlare delle tristi sorti dell'editoria, mi ha raccontato di essersi
un giorno voluta togliere una curiosità: calcolare quante persone sono
impegnate nella realizzazione di un libro, dalla stesura del manoscritto alla
vendita. Il risultato dà una cifra, probabilmente inferiore alla realtà,
di sessantatré diverse specializzazioni. E questo in piena epoca informatica,
in cui tante mansioni sono delegate all'elettronica.
Questo primo e semplice numero già ci indica una prima verità sul
destino del libro oggi. Nell'ottica della globalizzazione, della new economy,
è un prodotto superato, poco vantaggioso, a causa del contenuto di lavoro
elevato e ineliminabile che presenta. A questo si aggiungono altri due aspetti
che lo renderebbero poco appetibile agli investimenti finanziari: il vincolo della
lingua che, con l'eccezione dell'inglese oramai assunto a lingua franca, ne limita
il mercato a una data area geografica, e il fatto che, a differenza di altri prodotti
con un elevato contenuto di creatività, come quelli della moda, per esempio,
il libro resta sempre un oggetto realizzato con materiali poveri, carta, inchiostro,
colla, e dovrebbe essere, per definizione, alla portata di tutte le tasche. Non
sorprende allora che il principale gruppo editoriale italiano si accontenti, per
il settore librario, di un margine di profitto che non arriva al quattro per cento,
niente a confronto degli utili garantiti dai settori che più tirano oggi,
e che questo stesso margine, a conti fatti, risulti un obiettivo ambizioso e difficilmente
confermabile.
Come reagiscono le principali case editrici a questa situazione? La prima mossa,
quella più evidente e sotto gli occhi di tutti, si chiama concentrazione.
A livello mondiale spicca il fenomeno Bertelsmann, il colosso tedesco che qualche
anno fa ha fatto proprio uno dei principali gruppi americani, Random House, che
ha inghiottito decine di case editrici tedesche e non, di ogni settore, da quello
universitario con Springer Verlag, a quello letterario, con Berlin Verlag, a quello
per l'infanzia con Elefanten Press. Non è un mistero che, dopo essersi
garantita una forte presenza anche in Spagna, ora Bertelsmann punti anche al mercato
italiano e molte voci corrono di un suo rapporto privilegiato con la Mondadori.
In Italia la casa di Segrate, oggi proprietà di Berlusconi, rappresenta
il primo gruppo editoriale italiano e con RCS forma un duopolio che controlla
una fetta larghissima del mercato librario, lasciando alle altre case editrici,
considerate "medie" solo spazi sempre più limitati o di nicchia.
Peggio ancora stanno i cosiddetti "piccoli", cui viene sottratta ogni
visibilità o possibilità di distribuzione.
Pochi lettori "forti"
La distribuzione è appunto il secondo mezzo su cui puntano i grandi
gruppi per avere un "margine competitivo". Il fenomeno è già
in atto da tempo negli Stati Uniti e chi ha visto il film C'è post@
per te ha avuto un esempio edulcorato di come funziona il meccanismo: colossali
megastore pieni di ogni sorta di libri e in grado di praticare forti sconti s'insediano
nei punti strategici delle grandi città e fanno fallire le piccole librerie,
un tempo luoghi d'incontro, di scambio culturale, di tranquilla ricerca del testo
più ambito, paradisi perduti degli amanti della lettura. Le catene di grandi
magazzini del libro, come in Italia quelle di Feltrinelli, Mondadori, Rizzoli,
e oggi anche FNAC, con i loro spazi asettici, le decine di migliaia di titoli
accatastati secondo logiche che per lo più sfuggono al cliente, finiscono
col rendere visibili solo i pochi titoli sui quali il marketing ha deciso di puntare
e che resistono per una breve stagione, puntando alle classifiche dei bestseller,
per essere poi sostituiti da altri volumi dalle copertine altrettanto vistose.
Il terzo mezzo con cui l'industria editoriale cerca di far fronte ai nuovi mercati
è appunto quello della produzione effimera. Il numero di titoli che si
pubblicano ogni anno in Italia (ma il fenomeno tocca tutto il mondo occidentale)
è spropositato e oggi la tendenza è superiore ai centomila ogni
due anni.
Dato che le statistiche ci dicono che i cosiddetti lettori "forti",
cioè quelli che acquistano almeno un libro al mese, non superano nel nostro
paese i quattro milioni, non può sorprendere il fatto che dei centomila
titoli che escono ogni due anni la stragrande maggioranza sia destinata a non
vendere nemmeno una copia. Molti sono libri "prepagati", da aspiranti
autori che soddisfano in questo modo la propria vanità, da docenti in carriera
le cui pubblicazioni servono come punti a credito nei concorsi, da società
e banche che vogliono darsi una patina culturale, da enti pubblici che esauriscono
così il budget destinato alla cultura, spesso occultando in questo modo
alcune operazioni di tipo clientelare quando non mafioso. C'è poi il caso
particolare dei testi scolastici e universitari, che rappresentano un mercato
specifico, seppure limitato quando non di nicchia.
In queste condizioni non sorprende il fatto che, in Italia, le tirature siano
in generale molto basse, al massimo sulle tremila copie per un libro di narrativa
e spesso sulle mille-millecinquecento per uno di saggistica.
I libri che vendono
Viene allora da chiedersi: ma se il libro è un oggetto tanto costoso
da produrre, se offre margini di guadagno così limitati se non nulli, se
il suo mercato è talmente asfittico e problematico, quale interesse muove
i grandi gruppi a ingrandirsi, ad assorbire sempre più case editrici a
contendersi i mercati con investimenti di centinaia di miliardi? Intanto, occorre
dire che non tutti i libri pubblicati sono destinati a fare la polvere sugli scaffali.
Esiste un ambito specifico di libri "che vendono". Sono quelli degli
autori di bestseller internazionali, i cui diritti sono contesi a colpi di miliardi
dai grandi gruppi. Sono le "opere" di personaggi multimediali, star
del cinema o della televisione. Sono alcuni fortunati manuali su come fare carriera
in tre lezioni, come formare una coppia perfetta, avere un'illuminazione spirituale,
usare il computer, cucinare cinese. Oppure piccoli volumetti costruiti ad hoc:
antologie di battute comiche, variazioni sulla legge di Murphy, florilegi di versi
erotici.
C'è poi tutto il settore dei "bei libri" destinati al mercato
mondiale, quelli che gli inglesi chiamano coffee table books: sono libri
illustrati con immagini curatissime, foto di luoghi esotici, di prestigiosi giardini,
di opere di artisti famosi. Il testo è minimo e poco rilevante, al limite
si stampa in tre o quattro lingue, ma i volumi finiscono in bella mostra nelle
vetrine delle più prestigiose librerie e dei grandi bookstore di tutto
il mondo, garantendo così una tiratura elevata e un margine soddisfacente
sul prezzo di copertina. Ora, è ovvio che tutti questi libri richiedono
grossi capitali da investire, per l'acquisto dei diritti, per la progettazione
e una promozione internazionale, e sono quindi di esclusiva competenza delle case
editrici o meglio, dei gruppi editoriali, più forti al mondo. É
anche evidente che questi gruppi avranno tutto l'interesse a privilegiare la promozione,
la distribuzione e l'offerta di libri del genere che hanno come tratto comune
il fatto di avere contenuti culturali quantomeno opinabili o discutibili. Sono
proprio questi quelli che chi va alla ricerca di novità in libreria si
vede oramai proporre e di cui si deve accontentare.
Scopriamo così la prima "legge bronzea" dell'editoria nell'epoca
della globalizzazione: il libro cattivo scaccia quello buono.
Oligopolio, anzi
cartello
C'è poi un fenomeno che tendenzialmente sembra ancora più grave
e preoccupante.
Ricordavamo prima come Bertelsmann, tra le altre case editrici, abbia acquisito
anche la Springer Verlag, uno dei principali marchi nel campo dell'editoria accademica,
che pubblica alcune tra le più prestigiose riviste di medicina, di fisica,
di chimica, di biologia. Recente è anche l'annuncio dell'acquisto, da parte
del gruppo Taylor & Francis, di un'altra celebre casa editrice accademica,
la Routledge, nota a tutti gli studiosi di scienze umane. Sono oramai pochissimi
i gruppi mondiali che controllano gran parte di questo mercato librario, che è
all'ottanta per cento in lingua inglese e ha come referenti principali le biblioteche
universitarie di tutto il mondo. Queste hanno un budget annuale di spesa per le
acquisizioni e gli abbonamenti, che in gran parte dipende dalla ricchezza del
paese in cui si trovano e dal prestigio di cui godono gli atenei cui fanno riferimento.
Per dare qualche cifra indicativa, facciamo l'esempio della biblioteca di una
facoltà scientifica italiana di medie dimensioni: il budget annuale per
gli abbonamenti a riviste e acquisto di libri supera il mezzo miliardo, ma molto
maggiore è la spesa di facoltà come medicina o lettere.
La situazione di oligopolio (quando non di cartello) fa lievitare verso l'alto
il costo dei testi e delle riviste accademiche, mettendoli fuori della portata
del singolo studente, ma anche del singolo ricercatore. Sono dunque le biblioteche
il principale referente, è evidente che la biblioteca universitaria di
un paese povero dovrà operare delle scelte e non potrà offrire ai
suoi utenti una rassegna esauriente dei risultati della ricerca a livello mondiale.
L'università locale perderà così sempre più di prestigio,
quindi di iscritti, quindi di fondi, in un ciclo perverso teso a ridistribuire
in modo disuguale la conoscenza a livello "globale".
Ecco dunque la seconda legge dell'editoria nell'epoca della globalizzazione: quanto
più si concentra l'editoria, tanto più si concentra anche il sapere.
Alla prossima puntata
Il lettore avrà notato che a parte un breve accenno, non ho fatto parola
del problema della cosiddetta "editoria informatica" e del rapporto
tra il libro e la multimedialità. L'ho fatto intenzionalmente, perché
troppe volte si sente dire che la crisi del libro è dovuta all'emergere
dei nuovi media, mentre spero di avere evidenziato che le questioni sono tutte
interne a una certa logica economica. Un rapporto tra i due aspetti, tuttavia
esiste, e riguarda la confusione che viene fatta ai nostri giorni tra "sapere"
e informazione. Trattandosi, però, di un'altra storia, vorrei rimandarla
a una successiva puntata.
Guido Lagomarsino
Le illustrazioni di questo articolo sono tratte dalle edizioni Pulcinoelefante.
Le sue innumerevoli edizioni (dal 1982 oltre 4000) limitatissime (una trentina
di copie ciascuna) sono il frutto della libera collaborazione tra poeti, artisti,
bambini, musicisti, minestrone e 2 caprette in giardino. Edizioni Pulcinoelefante
- Alberto Casiraghy - via Pinamonte 12 - 23875 Osnago (LC).
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