Vittorio Sgarbi, esibendosi nelle proprie consuete intemperanze
verbali, ha invocato l'intervento militare dell'Occidente per impedire la distruzione
dei due grandi Buddha della Valle di Bamiyan, in Afganistan.
La sua posizione, per quanto estrema, rappresenta bene la grande mobilitazione
internazionale che ha accompagnato la decisione del governo talebano di demolire
tutti i monumenti dell'arte preislamica presenti in Afganistan. Si sono mosse
le Nazioni Unite, i governi di mezzo mondo, i grandi musei, persino i G8, riuniti
a Trieste per il summit sull'ambiente, hanno spedito un appello. Sono fioccate
le proposte di acquisto, rimozione, mentre emissari delle più disparate
istituzioni culturali e politiche si sono precipitati a Kabul.
Mentre scrivo non si hanno notizie dei Buddha, non si sa se l'opera distruttiva
sia stata portata effettivamente a termine. Certo è che in pochi giorni
sono stati versati fiumi di inchiostro, sprecate iniziative diplomatiche quante
non se ne erano viste da oltre vent'anni, da quando, con l'invasione sovietica
del paese, ebbe inizio la grande tragedia del popolo afgano. Del regime di terrore
instaurato dai talebani nel paese si sono occupate solo minoranze per le quali
i diritti umani non sono solo belle parole da invocare nelle celebrazioni ufficiali.
Ma parlare di violazione dei diritti umani pare quasi un eufemismo in l'Afganistan,
perché la repressione contro le minoranze e le donne è di una ferocia
senza limiti.
130 milioni di mutilate
sessuali
Il rapporto annuale delle Nazioni Unite sullo stato della popolazione dell'anno
2000 era dedicato alle donne. I dati ONU ci presentano un quadro in cui le violenze,
le discriminazioni, le mutilazioni, la limitazione o privazione totale della libertà,
gli omicidi sono in costante aumento quasi tutto il pianeta. Nessun paese escluso.
In tutto il mondo circa 130 milioni di ragazze e bambine subiscono mutilazioni
sessuali orrende, 20 dei 50 milioni di aborti effettuati ogni anno viene praticato
in condizioni igieniche spaventose, ogni 15 secondi viene violentata una donna
negli Stati Uniti, gli omicidi per motivi di "onore" sono, secondo alcune
stime, 5.000 l'anno e spesso la motivazione costituisce un'attenuante per gli
assassini, la violenza fisica, sessuale, psicologica tra le mura domestiche è
elemento comune ai paesi del primo e del terzo mondo.
La vita, la libertà e la dignità delle donne sono ovunque calpestate
ma in nessun luogo ci troviamo di fronte ad un esplicito tentativo di genocidio
di genere come nell'Afganistan dominato dai talebani, dove alle donne è
negata la possibilità stessa di sopravvivere.
Il "Ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio",
lo stesso da cui è partito l'ordine di distruzione degli "idoli",
si applica con metodo a rendere impossibile l'esistenza delle donne. Il burqa,
la palandrana che ricopre completamente il corpo ed il viso delle donne è
solo il segno più visibile di una condizione terribile. Alle donne è
vietato lavorare, istruirsi, uscire di casa senza un parente maschio, accedere
ad un ospedale. Le donne non possono essere visitate da un medico maschio ed alle
poche donne medico, quelle che non sono state uccise o costrette all'esilio, è
impedito di esercitare la professione. Le oltre 700.000 vedove con figli sono
obbligate alla mendicità e rischiano la vita ogni giorno. Le donne che
per ribellione o per necessità violano i decreti dei talebani vengono percosse
in strada, bruciate vive dai mariti, lapidate nelle pubbliche esecuzioni del venerdì.
Secondo i dati forniti dall'Unicef negli anni '90 più di cinquantamila
donne sono morte in circostanze legate al parto, mentre cinque milioni di bambini
circa sono morti per malnutrizione e malattie varie negli ultimi 15 anni.
Donne in Afganistan
L'Occidente, che sino a pochi anni orsono ha fomentato ed armato i fondamentalisti
sunniti in funzione antisovietica e come argine all'integralismo shita iraniano,
oggi impone sanzioni all'Afganistan per l'ospitalità data al noto terrorista
saudita Osama Bin Laden, "dimenticando" che Osama è una creatura
dell'Intelligence americana. Il medioevo islamico tanto sbandierato in questi
giorni dai quotidiani è anche frutto del sostegno militare e politico che
per anni i paesi occidentali e gli Stati Uniti in particolare hanno fornito all'integralismo
sunnita. Un integralismo che lancia anatemi contro la modernità, che non
si limita all'accanimento odierno contro le statue del passato ed ha da tempo
distrutto televisori e radio, videocassette e stereo. Ma la leadership talebana
viaggia su auto giapponesi, dispone di aerei privati e gestisce un proprio sito
web. Le ferree regole imposte dal "Ministero per la promozione della virtù
e la prevenzione del vizio" non valgono nei palazzi del potere.
La ferocia del governo integralista afgano è tale da farci pensare che
quello che sta avvenendo in quel paese sia comparabile solo al programma di sterminio
attuato nella Germania nazista nei confronti dei malati di mente, degli handicappati,
degli oppositori politici, degli ebrei, dei rom e degli omosessuali.
La morte, la tortura, la privazione di ogni esiguo margine di libertà delle
donne afgane avviene in un assordante silenzio. Al di là di poche organizzazioni
umanitarie nessuna voce si leva alta per frantumare la muta acquiescenza che accompagna
il lento sterminio delle donne dell'Afganistan. In Afganistan ed in Pakistan lavorano
in clandestinità due organizzazioni femminili, la RAWA e l'HWCA. Queste
donne, che rischiano la vita ogni giorno perché condannate a morte dai
talibani, attraversano sotto i loro burqua il confine e si recano in città
e villaggi ove svolgono un lavoro profondamente sovversivo: insegnano alle donne
ed alle bambine a leggere e scrivere, a curarsi ed a curare, a tessere tappeti.
In Pakistan hanno aperto per i profughi (oltre un milione e mezzo) ospedali e
scuole che rischiano di chiudere per mancanza di fondi. Per loro non ci sono sovvenzioni
da alcuna prestigiosa istituzione culturale, organizzazione internazionale, governo
"sensibile" alla conservazione del patrimonio culturale.
Le grida di protesta per la distruzione dei Buddha rendono assordante il sostanziale
silenzio che accompagna l'agonia delle donne dell'Afganistan. Di fronte a simili
crimini il silenzio è complicità.
Ma il cuore dei governi di mezzo mondo batte per i monumenti di Bamiyan. Un cuore
di pietra.
Maria Matteo
Firmato:
i Talebani
Quello che segue è
un sommario elenco delle condizioni di vita imposte alle donne
(e non solo a loro) dai Talebani.
- Divieto totale di lavoro
fuori casa, incluso l'insegnamento, la sanità, ecc...
- Divieto totale di movimento
fuori casa senza la presenza di un mehram (padre, fratello o marito).
- Divieto di trattare con
negozianti maschi.
- Divieto di ricevere cure
da medici maschi.
- Divieto di istruzione in
scuole, università o altre istituzioni.
- Obbligo di indossare il
burqa, un lungo velo che copre le donne da capo a piedi.
- Fustigazione, percosse
e insulti alle donne i cui abiti non corrispondano alle prescrizioni dei talebani,
o alle donne non accompagnate dal mehram.
- Fustigazione pubblica per
le donne con le caviglie scoperte.
- Lapidazione pubblica per
le donne che hanno rapporti sessuali fuori dal matrimonio (molte coppie di amanti
vengono lapidate a morte per questa legge).
- Divieto dell'uso del trucco
(a molte donne sono state amputate le dita perché avevano le unghie laccate).
- Divieto di parlare o di
dare la mano ad uomini che non siano mehram.
- Divieto di ridere forte
(nessun estraneo deve sentire la voce delle donne).
- Divieto di portare i tacchi
alti, in quanto è proibito sentire il suono dei passi di una donna.
- Divieto di prendere il
taxi senza un mehram.
- Divieto di apparire alla
televisione, alle radio o in qualsiasi riunione.
- Divieto di praticare sport
o entrare in una palestra o centro sportivo.
- Divieto di andare in bicicletta
e moto anche in presenza del mehram.
- Divieto di indossare abiti
a colori vivaci (con loro parole, "colori sessualmente attraenti").
- Divieto di riunione anche
in occasione di feste o per scopo ricreativo.
- Divieto di lavare i panni
accanto ai fiumi o in luoghi pubblici.
- Tutti i nomi con la parola
"donna" sono stati cambiati. Per esempio, "il giardino delle donne"
è diventato "il giardino della fonte".
- Divieto di apparire al
balcone delle case e degli appartamenti.
- Obbligo di oscurare le
finestre in modo che le donne non possano essere viste dall'esterno.
- Divieto per i sarti maschi
di prendere le misure o cucire abiti da donna.
- Divieto dell'uso dei bagni
pubblici per le donne.
- Gli autobus sono segregati,
per uomini e donne; divieto per uomini e donne di viaggiare sullo stesso autobus.
- Divieto di indossare vesti
con maniche larghe anche sotto il velo.
- Divieto di farsi fotografare
o filmare.
- Divieto di riprodurre immagini
di donne su giornali e libri, o di esporle nelle case e nei negozi.
- Divieto a tutti, uomini
e donne, di ascoltare musica.
- Divieto a tutti di guardare
film, televisione e video
|
|