Incontriamo Rino De Michele fautore, assieme a Fabio
Santin e un folto gruppo di collaboratori, dei quaderni creativi di ApARTe°.
ApARTe°, come dice il nome, si occupa di arte "alternativa",
non finalizzata alla produzione seriale, quindi non legata agli esiti commerciali.
Arte indipendente, che si sostiene da sé. È ancora possibile ai
nostri giorni occuparsi d'arte senza occuparsi di mercato?
Rino: Quello che ci fanno accettare come "arte" esiste solo perché
nutre un enorme giro commerciale; segue percorsi che favoriscono esclusivamente
le botteghe. Non vale per altro. Basta leggere quello che scrivono i critici d'arte
e sguazzerete nell'oceano dell'inutilità. O il lavoro di un artista riesce
a quotarsi nel (al) mercato e si vende oppure non serve a nulla, non interessa,
non è arte. Questo atteggiamento vale soprattutto per i pittori, per i
musicisti "leggeri", per gli scrittori di romanzi che vanno dritti dove
porta il cuore. Gli inutili suicidi degli ultimi poeti stanno a mormorare in un
culo di sacco ma i bottegai se ne fregano e, per loro, non accendono neanche i
neon delle vetrine.
Andy Warhol, quando firmava lavori non suoi per quotarli a prezzi più alti,
produceva "arte". Ma è l'arte dell'avidità violenta e
cannibalesca dei ricchi: pagano la firma, il contenitore e non il contenuto. La
cosa va così, sono stupidi, sanno solo fare soldi (la merda di Manzoni
vale, la tua no).
Ma nonostante questo supermercato degli "arrivati" a me la parola arte
non dispiace del tutto. Arte deriva dal sanscrito AR che dava il senso
del camminare. Per tanti creativi l'arte è stata, ed è, un percorrere
nuove strade, dilatare situazioni, curiosità accesa. È ricerca poetica
e utopia in azione; tutto il contrario del sentirsi arrivati in uno scaffale di
macelleria.
Questa società non ha bisogno delle nostre idee, del nostro talento, delle
nostre capacità di pensiero se da questa non riesce a fare soldi e a riconfermare
fatiscenti valori sociali e religiosi. Noi artisti rivoluzionari e resistenti
non abbiamo bisogno di questi assassini, non abbiamo nulla da spartire o da prendere
da loro, non dovremmo essere complici.
Quindi si può parlare di arte, di creatività, di ispirazione
soltanto in assenza di scopi commerciali?
Rino: Quando il significato della parola "lavoro", cioè lavoro
per guadagnare il denaro per poter vivere, sarà scomparso allora si saranno
intaccate le fondamenta di questa società barbara. Quando fai una mostra
gli altri artisti ti chiedono: "Com'è andata?". Questo in realtà
vuol dire: "Hai venduto?". Mai un interesse per la tua proposta estetica
o per il rapporto che hai voluto creare con le altre persone.
Un lavoro può essere venduto, certamente, ma questo non è importante.
L'importante è lavorare fregandosene del mercato. Il mercato non vuole
grossi cambiamenti, tollera solo quelli che può gestire per il suo tornaconto,
ma un artista deve agire per realizzare una rivoluzione, un ribaltamento della
staticità. Non deve assecondare i gusti dei consumatori pilotati dai critici.
I lavori delle mostre "per Marina" sono stati venduti, abbiamo chiesto
soldi in cambio di intelligenza, ma il tutto era su un piano non commerciale.
Ogni rapporto era chiaro ed orizzontale; così è stato per molte
altre iniziative.
Poi non esistono solo i soldi, un lavoro si può barattare con pranzi e
cene, con affitti, con amicizia, con tutto quello che ci può servire.
Esiste una rete mondiale d'artisti che non sono interessati al mercato:
sono gli artisti della mail-art. Ma questo non sembra intaccare la cultura ufficiale.
Che ne pensi?
Rino: All'arte ufficiale, quella mercantile, all'arte dei contabili, l'arte
postale (mail-art) non interessa. Come potrebbe interessare al negoziante, che
ha bisogno di creare un'élite di artisti statici e ripetitivi, un fluttuante
e formidabile network libertario di migliaia di creativi? Un network, dove viene
proposto il baratto come forma di scambio, dove non esistono maestri che scrutano
la "bellezza" dall'alto di torri d'avorio, dove mancano condizionamenti
estetici, dove si cammina, è troppo distante dalla loro sterile
ed ottusa miopia.
Bisogna dire però che i lavori proposti nelle mostre di mail-art
spesso non sono di qualità: da questa non si può prescindere, se
si vuole provocare, porsi in contrasto o in opposizione con la cultura ufficiale.
Sei d'accordo?
Rino: È vero, spesso i lavori sono affrettati, delle scadenti fotocopie.
Questo agire è un grosso errore poiché bisogna dare il meglio della
propria creatività. È anche una forma di rispetto nei riguardi di
chi si sbatte per portare avanti un progetto. Un progetto nel quale, con la nostra
partecipazione, ci siamo riconosciuti e che è diventato anche nostro. Bisogna
dare il massimo, per onestà, questo sempre.
Comunque penso che, al limite, un artista postale può anche non produrre
nulla, andrebbe bene lo stesso. L'importante è l'atteggiamento aggressivo
ed alternativo nei confronti dell'arte ufficiale. Questo è quello che veramente
caratterizza l'arte postale. Demolire una cultura pericolosa per un armonico sviluppo
dell'umanità vuole anche dire costruire qualcosa di nuovo.
A febbraio ApARTe° ha compiuto un anno di vita. Che cosa vi ha dato
la spinta per lanciarvi in un progetto così rischioso? Con che genere di
esitazioni avete dovuto confrontarvi?
Rino: Non bisogna essere esitanti: bisogna non bisogna. ApARTe°, materiali
irregolari di cultura libertaria, nasce da un salto ad occhi chiusi, ma non c'era
altra soluzione. L'idea (Masereel, grazie) bruciava nella testa e lampeggiava
come un arco voltaico, le difficoltà da superare ci mettevano allegria.
La fiducia regalataci da Silvano e dalla Lilli, del Centro Internazionale della
Grafica di Venezia, ci ha sparati come meteoriti (Bruno Filippi, grazie). ApARTe°
è nata anche così: quasi in una grotta e senza il bisogno di un
neonato condottiero.
ApARTe° non è una rivista ma una possibilità, tra le tante,
stampata su carta. Il suo valore, dal mio punto di vista, non è riuscire
ad uscire due volte l'anno ma nelle trasformazioni progressiste che riesce ad
accendere.
Era necessario creare una rete a sostegno di questo progetto ed abbiamo trovato
un forte entusiasmo e solidarietà che si è espressa in abbonamenti,
in collaborazioni, in disponibilità umana. Non mi sembra poco.
Abbiamo voluto dire: è possibile creare degli interventi di qualità;
non solo non inferiori alle pubblicazioni della cultura ufficiale, ma, nelle evidenti
e volute differenze, proponente una nuova morale estetica fatta di autentica dignità,
di rispetto, di poesia e utopia libertaria.
Bisogna scuotere l'albero.
Fabio: ApARTe° non è una rivista (ribadire non nuoce): esce due
volte all'anno. È vero, la periodicità è la sola concessione
che facciamo, tutto il resto: i contenuti, l'impaginazione, la copertina, ecc
variano di numero in numero, ogni numero è e sarà diverso: un laboratorio
di creatività grafica; sola eccezione il formato, rigorosamente 31x31cm
(qualcuno si ricorda il vecchio vinile?) un formato perfetto, senza tirare in
ballo la cabala, le sequenze del numero tre, ecc
Ci è bastato scoprire
che le scatole per contenere le pizze calde da asporto andavano benissimo come
contenitore-cofanetto per i due numeri di un anno: se questa non è coincidenza
Se non è una rivista, né un libro, allora cos'è? Abbiamo
voluto uscire dagli schemi anche in questo: l'abbiamo chiamato "quaderno
creativo". Diciamo che potrebbe avvicinarsi a quelli che erano chiamati "libri
d'artista": ci accomuna la cura nell'impaginazione a pagine aperte, l'attenzione
alla sequenza visiva, gli interventi manuali, l'uso degli inserimenti anch'essi
personalizzati. Ci differenzia invece la tiratura, il tipo di diffusione e la
molteplicità di approcci e collaborazioni.
Insomma abbiamo voluto uscire dal solito modo di intendere la grafica di una rivista
o di un giornale: il testo come elemento importante e l'immagine come corredo
o commento nel caso maggiore. I titoli tutti più o meno uguali, le rubriche
sempre allo stesso posto.
Il testo deve essere trattato come immagine, come disegno, e viceversa l'immagine,
il titolo devono essere letti come un testo, il che non vuol dire (e speriamo
di averlo dimostrato) risolvere il tutto in ormai insopportabili giochino al computer.
ApARTe° viene "tirato" in 500 copie, che era ed è il nostro
obiettivo: 500 copie ci permettono di piegare i singoli fogli (anche in maniera
creativa) uno per uno, di operare tagli inusuali, di rilegare a mano copia per
copia. Ripercorrere in questo l'"arte" del rilegatore, che ormai in
pochi conoscono, e stabilire (o recuperare) un rapporto "umano" con
il prodotto carta che ci dà il piacere del toccare il foglio, il filo,
il nastro, ecc
Il "fare a mano" si è rivelato parzialmente faticoso, certo,
ma ci ha permesso di operare risparmi notevoli e di investire questi in qualità:
nella grammatura della carta, nell'uso del cartoncino uso-mano, negli interventi
in serigrafia
in modo che i lettori-collaboratori ne potessero godere a
costi accessibili.
In questa avventura siamo stati aiutati da molti amici e compagni di strada: dalla
composizione-impaginazione in video, alle pellicole, alla stampa, ai supporti
sonori (CD), alla legatura; insomma abbiamo coinvolto tutta una serie di belle
persone unite a quelle che ci hanno dato fiducia con i pre-abbonamenti, le sottoscrizioni,
o che ci hanno fornito opere d'arte per sostenere l'iniziativa: tutti questi hanno
creato l'ambiente e le condizioni per iniziare e proseguire con una certa sicurezza.
L'estate prossima ci sarà la prima edizione di un altro progetto,
nato sull'onda delle collaborazioni creative ad ApARTe°: la Biennale d'Arte
& Anarchia. È stata una vostra idea? Ce ne potete parlare?
Rino: La Biennale d'Arte & Anarchia 2001 nasce dalla genialità
che galoppa nella testa delle amiche e degli amici di Bologna. Ogni "riconoscenza"
va a loro, ApARTe° ha solo raccolto la proposta che ci hanno lanciato poiché,
come già detto, non vuole solo essere carta stampata ma anche una fucina
di emozioni e avvenimenti. Comunque saranno tre giorni (14, 15 e 16 settembre)
di confronto, di spettacoli, di conferenze, di contatti e quant'altro farà
piacere rappresentare. Uno spazio (il "Parco ApARTe°" a Bologna)
antisacrale dove potranno trovare forza tutti quei progetti e quelle realtà
artistiche che si riconoscono in un circuito alternativo alla cultura ufficiale.
Fabio: Negli ultimi anni numerose sono state le occasioni di incontro-confronto
sul tema: dal Simposio di Portland (Usa) a cura di Pietro Ferrua, alla mostra
"Arte e Anarchia" del Convegno di Venezia 1984, alla settimana sull'arte
anarchica a Torino nel 1987, al dibattito per dar vita all'incontro "ArtAnarchia",
alle cinque mostre "per marina" che hanno coinvolto circa 97 tra artisti
e creativi in omaggio e ricordo della nostra compagna. Abbiamo pensato di creare
quindi una possibilità di incontro, allestire uno spazio (che chiameremo
spazio-ApARTe°) di scambio, di verifica, di discussione alla nostra maniera
cioè autogestito, nel quale gli "attori" stessi organizzano e
gestiscono gli eventi.
Abbiamo pensato inoltre ad una cadenza "biennale" (ogni riferimento
è voluto e tendenziale).
Lo spazio individuato (che è già stato usato in passato per il riuscito
Meeting Anticlericale di Bologna) è sufficientemente grande da permettere
interventi di ogni tipo o dimensione, è parzialmente coperto in caso di
malaugurato maltempo e con ampi spazi scoperti per campeggio, ecc
Con i compagni di Bologna e con i suggerimenti di Andrea, Kiki, Alberto, Fiamma,
Tullio, Diego, ecc
abbiamo individuato alcuni temi sui quali esiste già
del materiale o delle mostre in modo da partire con un supporto di base sicuro:
la mostra, mia e di Rino, Anarchici!, la mostra (prestata da Prato) sull'utopia
a fumetti Le nuvole dell'anarchia, i Segnali da nessun luogo di
Andrea Chiarantini, i Malfattori di Diego Rosa, il cabaret di Muesham con
Paola Bromati e Nino Muzzi, le rassegna di video, il film Gli anarchici nell'immaginario
cinematografico di Bibi Bozzato, la mostra di arte postale Arte & Anarchia
project, ecc
A questo materiale dovranno aggiungersi necessariamente
tutti quei suggerimenti e contributi che chiediamo a chi interessato.
"Sperando che si mettano in moto movimenti e passioni,
per rompere la misera logica della conservazione
e scappare dalle trappole che vedono nella tutela statale
il massimo della realizzazione, che in maniera leggera e semplice
sappiano immaginarsi altri orizzonti."
(dal n°1 di USMIS, rivista per una cultura friulana e planetaria)
G.Z.
linoleografia
di RIno De Michele
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