Da quando è retto da un esponente
della Lega Nord, l'assessorato alla cultura della regione Veneto, su esempio della
Lombardia, si chiama "Assessorato alle Politiche per la Cultura e l'Identità
Veneta". Nei convegni scientifici e accademici - di linguisti, storici, antropologi,
dialettologi, folcloristi - girano termini come "popolo veneto", "comunità",
"etnia", "radicamento territoriale", "cultura di appartenenza",
"solidarietà naturale". In nome del "federalismo" si
insinua nei discorsi il repertorio nazionalista di sempre. Il presidente della
regione si fa chiamare "Governatore", e l'assessorato "alle Politiche
per la Cultura e l'Identità Veneta" ha in cantiere per l'inizio del
prossimo anno scolastico un sussidiario per le scuole. Grazie alla "autonomia
scolastica" infatti, le Regioni assumono nuove competenze: è su questa
base, tra l'altro, che la Regione Veneto ha stanziato una ventina di miliardi
per i genitori che pagano più di trecentomila lire all'anno di tasse
di iscrizione dei figli, finanziando così sotto forma di "buoni scuola"
le scuole private, nel nostro caso cattoliche.
Le pratiche intellettuali e di ricerca chiamate alla mobilitazione riguardano
soprattutto la storia e le scienze sociali, non solo per i finanziamenti che l'assessorato
destina a progetti di studio, musei etnografici, corsi di formazione, istituzioni
culturali, ma anche per gli scopi a cui le ricerche sono chiamate. Se si raccolgono
testimonianze orali, l'obiettivo è "riscoprire", "ritrovare"
e "valorizzare" radici e identità. Uno scavo archeologico
risponde alle domande sulla "nostra storia", sulle "nostre origini".
Mai nessuno che guardi ai frutti. No: sempre radici, tanto più vere
quanto più immaginate come comunitarie, antiche, mitiche. Si catalogano
culture, etnie, comunità; e gli individui contano solo in quanto possono
essere assegnati all'una o all'altra. Sembra dimenticato il proverbio arabo citato
da Marc Bloch ne L'apologia della storia, che dice "Gli uomini somigliano
al loro tempo più che ai loro padri".
In questo contesto, vecchie parole come "civiltà contadina" o
"culture popolari" assumono improvvisamente nuovi significati. Gli argomenti
storici vengono piegati a un registro etnico. Del resto in Italia la cittadinanza
si basa sul sangue: e le discussioni, basti vedere le polemiche sui passaporti
ai calciatori sudamericani, riguardano la correttezza o meno della ricerca genealogica,
non il criterio di fondo. A proposito dell'emigrazione transoceanica dalle campagne
venete di fine Ottocento, per fare un esempio, si può sentire parlare di
emigrazione dei Veneti in seguito all'arrivo degli Italiani. La "storia locale",
una delle parole più usate nelle pratiche di rinnovamento didattico degli
ultimi vent'anni, si trasforma in "storia del Veneto", e la "storia
del Veneto" in "storia dei Veneti". Insegnanti di scuola elementare
che fanno comunemente in classe piccole ricerche sugli alberi genealogici, ad
un tratto vi avvertono qualcosa di inquietante. Termini che provengono dal repertorio
ideologico della sinistra differenza, minoranze, soggettività
sono confiscati dai campi di discorso che arruolano ed escludono
sulla base dell'appartenenza a un territorio, e ne fanno la base della partecipazione
politica. Come succede per tutte le forme di nazionalismo, questi discorsi non
hanno a che vedere con i sentimenti che si provano nei confronti di un luogo e
di chi vi abita, come vorrebbero far credere, ma dicono a chi bisogna obbedire.
Le classi dominanti nel Veneto ma non è certo una prerogativa regionale
hanno dimestichezza con il lessico cattolico, ruralista e misogino. Il
retrobottega cui attingono, comprende miti della sanità morale della campagna,
immagini del lavoratore laborioso e sottomesso al padrone, modelli di famiglie
unite dall'autorità del capofamiglia. L'ideologia non è cambiata,
e nemmeno lo scopo, che rimane quello di far apparire "naturale" e "tradizionale"
l'assetto sociale ed economico. Solo che nell'attuale sistema sociale dominato
dal mito dell'imprenditore veneto e dalla presenza di manodopera straniera immigrata,
il vecchio lessico si aggiorna. O si è veneti, o non lo si è; i
veneti sono più simili ai Paleoveneti che ai lavoratori stranieri immigrati.
Quando la riscoperta di "antichi" valori diventa prescrizione di modelli
di comportamento, si possono fare esercizi di disidentità. Qui sotto Maria
Turchetto ne propone alcuni. Altri esercizi possono partire da quello che scrive
il poeta Rilke, e cioè che l'unica patria di un individuo è il mondo
della propria infanzia. Un buon esercizio può essere pertanto questo: giù
le mani dalla mia infanzia! Infine un individuo può mettere assieme le
innumerevoli identità e appartenenze conosciute e costruite nella propria
vita. "La mia identità" scrive Amin Maalouf, "fa sì
che io non sia identico a nessun'altra persona. [
] Tutte queste appartenenze
non hanno evidentemente la stessa importanza, a ogni modo non nello stesso momento.
Ma nessuna è totalmente insignificante. [
] Se ciascuno di questi
elementi può riscontrarsi in un gran numero di individui, non si ritrova
mai la stessa combinazione in due persone diverse, ed è proprio ciò
che fa sì che ogni essere sia unico e potenzialmente insostituibile".
(L'identità, Bompiani, Milano 1999, pp. 16-17).
P.B.
Identici
a chi?
di Piero Brunello
Facendo ordine in casa, ho trovato uno scritto. Porta questo titolo: Unità
didattica ad uso delle scuole. Risulta pubblicato dall'assessorato alle Politiche
per la Cultura e l'Identità Veneta, Stamperia del Governatore della Regione
Veneto, e porta la data del 31 marzo 2010. Ho pensato a un inedito, visto che
sarà pubblicato fra una decina d'anni. In realtà, mangiando la pizza
in compagnia nei pressi di Via Piave, mi hanno spiegato che lo scritto si basa
su una cosa pubblicata nel 1998: si tratta della Prolusione a un convegno
promosso a Venezia dalla Regione del Veneto e dalla Fondazione Giorgio Cini sul
tema "Tra localismi e globalizzazione" (in Notiziario bibliografico
a cura della Giunta regionale del Veneto, n. 28 luglio 1998, pp. 9-11).
La struttura di questa unità didattica è fatta di domande e risposte.
Le risposte riprendono praticamente alla lettera le affermazioni che si possono
leggere in questa Prolusione: perciò sono già edite. Le domande
che le precedono invece sono inedite: sembra quasi che un futuro funzionario dell'assessorato
abbia preso il testo e lo abbia trasformato in una serie di domande e di risposte
adatte all'insegnamento. Ecco l'unità didattica, anche se purtroppo non
si tratta completamente di uno scoop, come speravo.
Perché il classismo è vecchio?
Il classismo è vecchio perché comportava assunzioni assiomatiche.
A che cosa portavano le assunzioni assiomatiche del classismo?
Le assunzioni assiomatiche del classismo portavano ad escludere le forme di solidarietà
naturale.
Quante sono le forme di solidarietà naturale?
Le forme di solidarietà naturale sono due: la famiglia e l'etnia.
In che cosa consiste l'interesse nuovo per l'ambito delle culture locali?
L'interesse nuovo per l'ambito delle culture locali consiste nella tematica dell'identità
culturale, etnica, sociale.
Qual è l'obiettivo della tematica dell'identità culturale, etnica,
sociale?
L'obiettivo dell'identità culturale, etnica, sociale è il radicamento
territoriale.
Che cosa si intende per radicamento territoriale?
Per radicamento territoriale si intende il radicamento nella cultura di appartenenza.
A che cosa è finalizzato radicamento nella cultura di appartenenza?
Il radicamento nella cultura di appartenenza è finalizzato alla partecipazione
al dialogo multiculturale e plurietnico.
Nel Veneto abbiamo grandi fenomeni di tensione interetnica o infraetnica?
No, fortunatamente nel Veneto non abbiamo grandi fenomeni di tensione interetnica
o infraetnica, grazie alla nostra civiltà veneta, che è una civiltà
di dialogo, di aperture, e per questo è una grande civiltà europea.
Da che cosa e da chi è costituito il Veneto?
Il Veneto è costituito dalla cultura veneta e da etnie di antica e celebrata
presenza culturale.
Con quali altri termini può essere indicata l'etnia?
L'etnia può anche essere indicata con il termine comunità, gruppo
etnico culturale, o realtà culturale.
Quali etnie, dette anche comunità, gruppi etnici culturali o realtà
culturali, fanno parte della cultura veneta?
Oltre ai Veneti, la cultura veneta comprende bisiachi, istroveneti, trentini,
giuliani, friulani, le isole germanofone dei Cimbri dei Tredici comuni veronesi
o dei Sette comuni vicentini, i mocheni, i sappadini, i germanofoni di Sauris
e Timau, gli sloveni della valle del Natisone e della Slavia veneta, gli sloveni
di Gorizia e di Trieste, i ladini dolomitici di Bolzano, di Trento e di Belluno.
Da che cosa sono accomunate tutte queste etnie, dette anche comunità
o gruppi etnici culturali?
Queste etnie, dette anche comunità o gruppi etnici culturali, sono accomunate
dal fatto di sentire ancora Venezia come un riferimento multiculturale e plurietnico.
Quali nuove realtà si affiancano oggi a queste antiche presenze?
Alle antiche presenze si affiancano oggi le nuove minoranze, centinaia di nuove
etnie.
Chi ha chiarito il significato odierno della dinamica delle culture?
Il significato odierno della dinamica delle culture è stato chiarito da
papa Giovanni Paolo II parlando all'assemblea delle Nazioni Unite.
Fin qui la scheda. A dire il vero, ho trovato anche altri documenti, mescolati
all'unità didattica. Anche questi sono degli anni 2009-2010. Si tratta
di schede per le scuole, di cui riporto un paio di titoli: I "casoni"
dei nostri bisnonni, antiche palafitte dei Paleoveneti; Alla fine dell'Ottocento
i Veneti sono emigrati per scampare all'invasione degli Italiani. Ci sono
anche "tracce di lavoro", ad esempio: I Veneti sono i più
Celti tra i contemporanei? Non riporto i testi perché chiunque può
già trovarli sui siti internet che parlano di "Popolo veneto",
oppure curiosando in libreria.
Perché vi parlo di queste carte? Perché ho visto sul "Gazzettino"
il tema dell'incontro e mi è parsa molto interessante la domanda: "Identici
a chi?" Ho pensato: queste carte danno finalmente una risposta chiara; vado
all'incontro, speriamo che ci sia gente e così glielo spiego. Magari non
serviva neanche farlo, il convegno.
Poi però un mio amico che si chiama Elis, andando a comprare prosecco dalle
parti di Valdobbiadene, mi ha parlato di un libro, di Fernando Savater, Contro
le patrie, Elèuthera, Milano 1999. Anche se il titolo è strampalato,
e sebbene l'autore sia uno che si definisce "libertario basco" e "vittima
del patriottismo" come può essere un basco vittima del patriottismo
basco? insomma, nonostante queste e altre incongruenze (per dire: a Madrid
lo prendono per basco e a San Sebastian per castigliano o spagnolo) l'ho letto,
qua e là. All'inizio parla del suo "amore per la terra natale"
e di "amore verso le sue energiche e care virtù" (p. 25). E fin
qui va bene. Alla fine però conclude che il nazionalismo non è "un
sentimento" ma "un'ideologia politica". Scrive: "Il nazionalismo
non parla di amore, ma di chi deve comandare e di come si debba organizzare una
determinata società, cosicché converte l'appartenenza etnica
in base e orientamento della partecipazione democratica" (p. 176).
Mah
riporto anche la sua opinione, visto che può interessare al tema
di questo incontro.
Piero Brunello
Esercizi di disidentità
di Maria Turchetto
Se fossi un "consulente identitario" cioè se dovessi
dare consigli su quale identità investire consiglierei, in primo
luogo, di differenziare l'investimento. Va da sé che investire su una sola
identità è estremamente rischioso: pensate alle donne che in giovane
età investono tutto sull'identità "bella donna", senza
preoccuparsi di un'identità di riserva per la vecchiaia, e si ritrovano
in piena "grande depressione" quando arrivano le prime rughe.
Il secondo consiglio è di non investire in pacchetti preconfezionati, ma
di costruire personalmente e con cura le proprie identità. È più
divertente e rende di più. E state sicuri: sui pacchetti preconfezionati
c'è sempre qualcun altro che ci guadagna.
Tipici pacchetti identitari preconfezionati sono quelli legati alla nascita (del
resto, cos'altro potrebbe proporvi chi conosce di voi solo i dati anagrafici,
e nulla sa della vostra vita, dei vostri gusti, delle vostre scelte più
personali?): identità di "razza", di "genere", di "casata"
(questo per la verità è poco diffuso, in quanto è utilizzabile
solo dagli aristocratici), di "popolo", di "segno zodiacale".
Identità povere, lo si capisce al volo.
Quello che propone l'assessorato regionale alla "Cultura e Identità
veneta", ad esempio, è una tipica identità di "popolo".
Pessimo investimento, credetemi. Ma per convincervi voglio illustrarvi brevemente
com'è confezionato questo pacchetto. È un pacchetto vecchio, ma
non vecchissimo. Cominciò ad essere di moda nella seconda metà dell'Ottocento,
alimentato dalla cultura romantica e dai concetti di Volksgeist ("spirito
del popolo") e Kultur ("cultura", appunto, come assai propriamente
recita la denominazione dell'assessorato). La "cultura", in questa accezione,
non indica, genericamente, il sapere: designa i "valori originari" che
derivano dalla storia particolare e irripetibile di ciascun "popolo".
Come si vede, è un'ideologia un po' meno brutale di quella razzista
(c'è anche la storia, non solo un corredo di cromosomi), certamente fortemente
nazionalista. In effetti è l'ideologia che ha accompagnato la formazione
dello Stato-nazione tedesco, più tarda di quella di altri Stati-nazione
europei (in particolare Francia e Inghilterra, formatisi in una cornice ideologica
illuminista e liberista), adottata successivamente anche per "fare gli italiani"
dopo aver "fatto l'Italia". Sulle degenerazioni naziste e fasciste di
questo pacchetto identitario preferirei soprassedere, sono qui solo per consigliarvi
diversi investimenti.
Vorrei invece fare una piccola parentesi per rilevare come sia quanto meno curioso
ritrovare l'identità di "popolo", nata nazionalista e
statalista, nelle attuali istanze federaliste: assurdo, gli autentici progetti
federalisti (quello svizzero, per esempio) non hanno mai sottolineato la differenza
tra le "culture", ma si sono semmai concentrati sulle loro capacità
di convivenza e integrazione. Diffidate, gente, diffidate: è un vecchio
pacchetto riciclato per una finalità che non è la sua. Un'operazione
debole. Non ci investirei un grammo di identità.
Ma chiediamoci ora: come mai i pacchetti identitari preconfezionati, come quelli
legati alla nascita, hanno una così vasta diffusione? È chiaro:
sono più facili, non bisogna pensarci tanto. Sono proprio come i fondi
azionari: li gestisce qualcun altro. E poi vi va alla grande se ci andate
in pari e non ci rimettete. Datemi retta, non acquistate il pacchetto che la Regione
Veneto vi offre. Fate un piccolo sforzo, dedicateci un po' di tempo e di riflessione,
e costruitevi da soli la vostra identità. Ben differenziata, mi raccomando.
Del resto, non ho bisogno di raccomandarvelo. Se decidete per un'identità
personalizzata, dovrete per forza disinvestire da qualche identità preconfezionata.
Fare esercizi di disidentità. Vedrete allora come ben presto tutte
le identità vi sembreranno relative e intercambiabili. Saprete valutare
meglio quelle degli altri, accettare o rifiutare un'identità sulla base
del vostro giudizio, e a seconda della vostra inclinazione costruirvene una veramente
forte perché consapevolmente scelta oppure passare agilmente dall'una all'altra
senza prenderne sul serio nessuna. In ogni caso, vi formerete una mentalità
critica e avvertita. Nessun luogo comune potrà più abbindolarvi.
Vi faccio un esempio. Io sono nata in montagna, e ho investito (un investimento
molto piccolo, naturalmente, uno tra i tanti) in un'identità da marinaio.
Quando mi dicono "ah, vieni dalle Dolomiti: allora sai sciare", io rispondo
"no, so andare in barca". La conversazione prende subito una piega più
divertente. Ma per investire in identità da marinaio, per farmi accettare
e prendere sul serio su una barca, ho dovuto disinvestire dalla mia originaria
identità di "genere". Niente paura, non ho dovuto fare operazioni
né riempirmi di steroidi. Non occorrono i caratteri sessuali primari e
nemmeno quelli secondari perché un branco di maschi ti accetti: basta saper
fare una decente "conversazione maschile", cioè tecnica. Dati
quantitativi, pesi e misure (anche sparati a casaccio) anziché sentimenti
e stati d'animo. Dopo un po' la ciurma di maschi dimentica che sei una femmina.
Il gioco è fatto: non prenderai mai più sul serio l'identità
maschile, visto che ne hai smontato il meccanismo, al tempo stesso hai relativizzato
anche l'identità femminile, e ora puoi prenderla e lasciarla a tuo piacimento.
Si può fare lo stesso anche con le identità di "popolo",
anzi è perfino più facile. A me, per esempio, qualche volta piace
fare l'olandese (perché è il mio popolo preferito, quello a cui
sceglierei di appartenere se potessi scegliere), qualche altra volta faccio il
turco (così, per scherzo, semplicemente perché mi chiamo Turchetto).
Anche questo gioco è divertente ed educativo: provate a calarvi nella mentalità
nel famoso Volksgeist di un olandese e poi, una volta che
ci siete riusciti, esercitatevi a pensare sotto quali stereotipi inquadrereste
un italiano... O provate a fare l'immigrato turco, e arrabbiatevi un po' considerando
gli stereotipi sotto i quali i vostri ospiti vi stanno inquadrando.
Buon esercizio e, naturalmente, viva l'Olanda! perché noi olandesi siamo
i più ganzi di tutti.
Maria Turchetto
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