Sono d'accordo con Francesca Lazzarato,
che in un articolo di presentazione della Fiera di Bologna
di quest'anno scriveva: "Peccato: anche quest'anno i
più bei libri per bambini che si siano mai visti non
saranno presenti alla fiera." Sono i libri di Tara Publishing,
un editore di Madras, veri gioielli: storie di tigri e di
leoni stampate in serigrafia su preziose carte himalayane,
volumetti con legature ad anelli e appliques a colori
che insegnano ai bambini come costruirsi giochi e marionette
con materiali da riciclo. Sulla parete davanti a me è
appeso uno di questi libri: quindici pagine di cartone che
si aprono a fisarmonica, con un testo stampato con inchiostri
rossi, verdi, viola e arancioni e immagini multicolori di
magici uccelli incollate una a una.
Questa assenza non è casuale, come un'altra ancora
più stupefacente, di cui parlerò più
avanti.
Per chi non l'ha mai visitata, dirò che la Fiera di
Bologna è, dopo quella di Francoforte, la più
importante occasione d'incontro di editori di tutto il mondo.
I saloni di Parigi, di Londra (per tacere pietosamente di
quello di Torino), la fiera di Chicago, hanno tutte un'impronta
più nazionale o, quanto meno, più rivolta a
una specifica area linguistica (francofona o anglofona). Per
l'Estremo Oriente si contendono il primato Tokyo, Hong Kong
(che è associata alla Fiera di Francoforte) e Singapore,
mentre un certo ruolo hanno assunto per il continente africano
la fiera di Harare e per l'America latina quella dell'Avana.
A Bologna, invece, sono presenti millequattrocento editori
di ottantuno paesi e di tutti e cinque i continenti, sia pure
solo quelli che pubblicano libri destinanti all'infanzia e
all'adolescenza, e, come tale, offre un quadro interessante
delle tendenze globali dell'editoria non solo del settore.
La fiera presenta, inoltre, una rassegna selezionata di illustratori
di tutto il mondo: a migliaia inviano le loro prove e una
giuria internazionale seleziona le migliori, che sono esposte
e raccolte in un "annual" da cui gli editori di
tutto il mondo dovrebbero scegliere chi farà le illustrazioni
per i prossimi libri di favole e racconti. Per questo nei
capannoni della fiera si vedono girare tanti, soprattutto
giovani, con una grossa cartelletta (il "portfolio"),
che vanno di stand in stand a presentare le proprie opere.
Oltre agli illustratori e ai cosiddetti "operatori del
settore", editor, direttori editoriali, agenti, responsabili
di collane, il pubblico della fiera è composto per
lo più da insegnanti, librai e bibliotecari. A poco
a poco chi gira tra gli stand per la prima volta è
colpito da una strana assenza: nella fiera del libro per l'infanzia
non c'è nemmeno un bambino! L'ingresso ai minori, infatti,
è rigorosamente vietato.
Non è sempre stato così: una volta entravano
intere scolaresche vocianti, che davano l'assalto agli stand,
sfogliavano i libri, occupavano gli spazi collettivi e rendevano
la fiera un'allegra kermesse. Con qualche problema, certo,
per gli espositori. Ho chiesto in giro che cosa ha spinto
la direzione della fiera a prendere questa decisione e la
risposta è stata: sono stati i grossi gruppi editoriali,
soprattutto quelli americani, che hanno posto l'aut-aut: o
noi o i bambini. Così oggi, unico patetico ricordo
della pratica passata, si vede vagare tra un capannone e l'altro
un signore con il costume da Snoopy, che nessuno degna di
attenzione.
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Le esigenze dei
megastore
La fiera è diventata soprattutto un luogo dove si concretizzano grandi
progetti di coedizione, dove gruppi anglo-americani, francesi, tedeschi, spagnoli,
giapponesi, e accessoriamente quelli di lingue minori come l'italiano, il greco
o l'olandese, concordano la realizzazione di "prodotti per l'infanzia"
sempre più omologati, sempre più rispondenti alle esigenze della
grande distribuzione e dei megastore.
Chi è stato bambino si ricorda che i libri prediletti erano quelli che
spalancavano le porte alla fantasia, oggetti fatti per sognare, per immaginare
altri universi possibili e impossibili: giusto il contrario di quello che oggi
offre l'industria. Forse anche perché immaginare altri mondi possibili
nell'era del "pensiero unico" è un'attività sovversiva.
Allora viene il sospetto che l'esclusione dei bambini e delle bambine dalla fiera
non sia solo dovuta a motivi di ordine pubblico, ma anche alla necessità
di evitare la presenza di scomodi interlocutori là dove si discute di grossi
affari.
Io visito le fiere di Bologna e di Francoforte da molti (forse troppi) anni. Fino
a una dozzina di anni fa, i primi stand in cui andavo a cercare novità
e invenzioni originali erano proprio quelli degli Stati Uniti. Oggi non è
più così: la globalizzazione, in questo senso, invece di avvicinare
i continenti, ha sempre più allargato gli oceani tra il vecchio e il nuovo
continente. Così oggi le creazioni più originali si trovano dove
meno te l'aspetteresti: a Madras, come dicevo, a Taipei, dove la Grimm Press produce
meravigliosi album con i più bravi illustratori del mondo, in Argentina
dove pochi hanno già scoperto che esiste una scuola di grandi scrittori
per l'infanzia, e, perché no?, a Milano dove una piccola casa editrice
come Carthusia produce libri-gioco, che si aprono a scatola o a fisarmonica e
fanno scoprire ai più piccini le fiabe classiche, il mondo della natura
e della storia. I gruppi americani, invece, presentano sempre più prodotti
simil-disney, collane new-age o fantasy, progetti legati a prodotti televisivi,
cinematografici o multimediali, di cui la carta stampata diventa un accessorio
opzionale, tristi collane di racconti falsamente realistici su "i miei genitori
divorziano", "mio nonno ha l'Alzheimer", "il mio fratellino
ha il cancro".
Intanto si sentono gli editori del resto del mondo (quelli che, al contrario dell'editore
indiano di cui parlavamo, partecipano ancora alla fiera), che si lamentano: "Gli
Americani non mandano più editor e scout a cercare le novità degli
altri paesi, sono qui solo per vendere la loro mercanzia". Si aggiunga il
fatto che questo stato di cose ha portato in tutti i paesi europei a una contrazione
del fatturato tra il 3 e il 6 per cento nell'ultimo anno.
Per questo, la sensazione che ho avuto quest'anno è che, dopo tanti anni
di accettazione, più o meno imposta, delle logiche del marketing, cresca,
anche tra gli operatori del settore, il desiderio di riprendere una pratica editoriale
più meditata, più vicina al gusto del fare e del creare cose nuove,
più vicina, insomma, ai bambini e alle bambine.
Guido
Lagomarsino
Le illustrazioni
di questo articolo sono tratte dai volumi Tiger on a Tree
e The Very Hungry Lion di Tara Publishing, 20/GA Shoreham,
5th Avenue, Besant Nager, Chennai, 600090, India, (tara@vsnl.com).
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