Sono passati quasi trent'anni da quando Michel Foucault
ha scritto quel suo libro sulla nascita della prigione (Sorvegliare e punire,
1975), nel quale il sistema della segregazione dei corpi e dell'addomesticamento
degli spiriti viene così bene descritto.
L'istituzionalizzazione della disciplina è passata attraverso la manipolazione
delle coscienze umane e la mutilazione del corpo lungo le ritualità coercitive
degli ospedali, degli eserciti, delle scuole, dei collegi, delle fabbriche.
La correzione della devianza è sempre stata una prerogativa dello Stato
e si è fondata sempre sul presupposto che era necessario per ogni società
"civile" difendersi da chi questa convivenza minaccia o trasgredisce.
A parte la confusione voluta tra società e Stato, tra valori "universali"
e di classe o di parte, che qui non mi interessa approfondire, questo tema ci
tocca da vicino e riveste oggi una straordinaria attualità.
È infatti diventato quello della sicurezza, della tolleranza zero, della
difesa della "civiltà", un vissuto diffuso e ampio tanto da costituire
anche una delle paure esplicitate frequentemente persino dai piccoli bambini delle
comunità del mondo occidentale.
Da dove deriva e quali caratteristiche ha questa forte manifestazione di paura
che diventa, quando si diffonde nell'intera società, vera e propria fobia
ossessiva di massa?
Ma soprattutto cosa possiamo obiettare noi che da sempre sosteniamo che è
proprio lo Stato che causa il delitto.
Recentemente sono apparse delle nuove e sicuramente interessanti analisi ed osservazioni
di chiara matrice libertaria dovute ad un criminologo di fama mondiale quale è
Nils Christie (Il business penitenziario, Elèuthera, Milano 1996;
"Il crimine non esiste", in: Libertaria, a. 3 n. 1, Milano, gennaio-marzo
2001).
Queste tesi capovolgono il termine classico della questione della criminalità
dimostrando, dati alla mano, di come crimine e Stato, devianza e interessi economici,
siano speculari e si alimentino sia concretamente che ideologicamente in modo
reciproco.
Ma credo che queste pur illuminanti considerazioni vadano arricchite da altre
osservazioni e soprattutto da nuovi punti di domanda che possano allargare sempre
più la ricerca di risposte alternative a quelle che troppo pigramente e
frettolosamente i governi, la politica, le religioni più o meno fondamentaliste
oggi danno.
La progressiva sgretolazione del tessuto sociale esalta una falsa libertà
dell'individuo che va marcatamente a scapito di una dimensione più collettiva
della libertà individuale. Questa "libertà" basata sull'assenza
di rispetto per la medesima libertà degli altri, o meglio questa non libertà
che è tale proprio perché non si compie attraverso la medesima libertà
degli altri (Bakunin, Kropotkin docet), si fonda sul disinteresse del bene comune
e sul conformismo ed è assolutamente illusoria e insignificante, e trova
la sua massima espressione nel consumismo generale imposto dal mercato globale.
Questa realtà provoca (Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale,
Feltrinelli, Milano 2000) una tormentata solitudine, sfiducia e precarietà
esistenziale dell'uomo occidentale e gli stati e i governi, la Politica di destra
come di sinistra fanno a gara per concentrare l'attenzione dei cittadini sul tema
della sicurezza personale. Naturalmente questa voluta attenzione sul tema della
sicurezza personale nutre costantemente l'ideologia della paura, la alimenta,
la rinforza in un processo che trasforma l'incertezza in ansia, in fobia sociale.
A sua volta attraverso la cultura della banalità, che è lo scambiare
la routine con il massimo della saggezza, si diffonde e si insinua la risposta
unica e universale alla paura, vale a dire l'ideologia dell'uso della forza come
antidoto all'incertezza.
Insomma in un insieme di commistioni e interferenze paura e uso della forza si
autoalimentano reciprocamente e l'uomo globalizzato diventa sempre più
l'agente di uno Stato diffuso e interiorizzato.
Individualismo sfrenato
La dimensione sociale dell'incertezza serve esclusivamente ad alimentare una
sorta di autoconvinzione interiorizzata che promuove un individualismo sfrenato
volto a produrre un immaginario specifico, anche se generale, di bisogno di ordine
e difesa da tutto ciò che può rappresentare un ulteriore elemento
di insicurezza o devianza.
La funzione dello Stato non si risolve più tanto, o meglio esclusivamente,
nel salvaguardare e difendere gli interessi di classi o ceti dominanti, quanto
piuttosto nel perpetuarsi in ogni singolo individuo, nel far diventare i valori
sociali dominanti dei valori universali attraverso una interiorizzazione personale
dell'ordine e della disciplina, uniche risposte concesse alla inevitabile ansia
che produce la globalizzazione.
Nella vita contemporanea la dimensione del gioco dei consumatori post-moderni
diventa abitudine e si ridefinisce attraverso regole che mutano continuamente
nel corso della medesima partita. Il vivere alla giornata diventa sempre più
il principio guida di questa condizione esistenziale nella quale, inevitabilmente,
si alimenta e perpetua una insicurezza specifica che a sua volta produce proprio
quella paura che trova risposte esclusivamente nell'interiorizzazione della logica
dello Stato. Così il punto fermo della strategia di vita post-moderna non
è certo la costruzione di una specifica e originale identità, ma
l'evitare ogni fissazione, la scomparsa della dimensione del pellegrino a favore
di quella del turista consumatore (Z. Bauman, La società dell'incertezza,
Il Mulino, Bologna 1999).
Ecco quindi che viene barattata per "caduta dei valori" quello che invece
è in realtà un "conflitto tra valori diversi" (U. Beck,
I rischi della libertà, Il Mulino, Bologna 2000) che vede i ribelli,
gli alieni, dissentire dall'universalismo totalizzante, rivendicare alternativamente
la propria individualità autonoma in una nuova dimensione sociale.
Alla paura dell'incertezza della globalizzazione è opportuno rispondere
attraverso una nuova ridefinizione del comunitarismo libertario, attraverso la
riscoperta dell'autenticità dell'individuo, della sua specificità
e originalità, attraverso la valorizzazione della diversità naturale,
in una logica di nuovo egualitarismo della varietà e della pluralità.
La fuga dalla realtà in una dimensione virtuale dell'esistenza va combattuta
e contrastata con lo sviluppo di un profondo senso di comunità, di comunione
delle differenze, in contesti e luoghi che riscoprano la ricchezza dell'agorà,
dove le proprie ansie e paure, le proprie salutari incertezze possano trovare,
nel confronto e nello scambio, non più solo simbolico, dei caratteri della
propria esistenza, senso e risposte positive piuttosto che fughe dalla libertà.
Scontro e confronto
Le risposte all'interiorizzazione della logica dello Stato, alla sua necessità
ancor più urgente di alimentare la richiesta di coercizione e di trasferirla
il più possibile nella coscienza collettiva, non possono che avvenire svelando
l'inganno che sottintende alla diffusa richiesta di sicurezza. La paura non deve
penetrare la nostra esistenza, non può affilare la nostra vita sociale,
può essere esorcizzata solo se ricondotta alla sua strumentale significanza
politica ed ideologica.
L'intolleranza nei confronti dell'ebreo post-moderno è diventata ormai
qualche cosa di più attivo, tanto da trasformarsi in una vera e propria
esclusione feroce dell'altro, del diverso, ma soprattutto è arrivata ad
incunearsi nel profondo del nostro immaginario fino a fondare una nuova idea antropologica
del male, così profonda e falsa da essere scambiata come ideologia della
natura umana.
D'altro canto le trame del dominio non possono che reggersi su psicologie di massa
che, in epoca di globalizzazione, devono pervenire nel profondo della cultura
individuale. La falsa differenza e libertà del capitalismo transnazionale
si nutre in realtà di una assimilazione spaventosa alla quale si oppone
però una strisciante e originale nuova forma di opposizione sociale che
sceglie deliberatamente di stare fuori, talvolta con tratti fondamentalisti, dall'unicità
imposta. Continua insomma, quasi per autocorrezione naturale, il crescere di forme
e simboli alternativi, risposte estremizzate, ma anche consapevoli e razionali
soluzioni organizzative libertarie, che riscoprono il senso di un nuovo comunitarismo.
Ancora una volta l'anarchia si dimostra essere una teoria e una pratica dell'organizzazione
sociale piuttosto che un indubbio ed equivoco totalmente altro.
Dentro queste straordinarie vitalità è possibile costruire un incrocio
dialogico di scambio e confronto, è possibile trovare risposte certe ed
immediate all'ansia e alla paura, ma soprattutto è possibile intravedere
i germi di una nuova umanità.
Francesco Codello
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