Klezmer
"...Sto con lo yiddish dal '93. Tornai da un viaggio a Varsavia dove
si era tenuta una pubblica memoria dell'insurrezione del ghetto,
nel suo cinquantenario. Sto con lo yiddish perché chi
è venuto dopo può correggere il passato, dargli
torto. Ho cominciato per vergogna e per appartenenza al secolo
che lo ha distrutto. Proseguo per amore."
(Erri De Luca, dalla prefazione a Ballata di fine Millennio)
Rileggevo qualche giorno fa un articolo di Francesco Martinelli
su un vecchio numero della rivista Musiche, a proposito
della musica klezmer, soffermandomi sulle motivazioni che
hanno portato, in tempi recenti, alla "riscoperta"
di questa forma d'espressione.
Innanzitutto la necessità urgente, importante
di mantenere viva la memoria della shoah di
fronte ai tentativi revisionistici che ne mettono in dubbio
persino l'evidenza storica.
Una motivazione più elementare, semplice ma non per
questo meno seria, questione direi di vero e proprio innamoramento
musicale: percorrendo queste strade poco battute questa
musica è fatta dalla gente per la gente, non per le
classifiche di vendita ci si spinge in un viaggio stupendo
sino ad una delle sorgenti nascoste del jazz europeo, l'intreccio
della cultura musicale araba e mitteleuropea con la tradizione
zingara.
Un collegamento rimasto sotto l'orizzonte, emerso solo in
casi rari ma emblematici: Django Reinhardt (che al primo ascolto
delle incisioni di Louis Armstrong si sentì intimamente
parte della stessa tradizione espressiva), e Benny Goodman,
che dalle due diverse sponde dell'Atlantico suonarono le loro
meravigliose musiche al mondo intero.
Il contributo dato alla musica contemporanea dai musicisti
di origine ebraica è davvero consistente: pensate a
George Gershwin e, volgendo l'attenzione ai tempi più
recenti, a Serge Gainsbourg, Burt Bacharach, Mickey Katz,
John Zorn, Don Byron. Musicisti diversi, alle prese con offerte
musicali distantissime.
Dice bene a questo proposito Moni Ovadia, intervistato nel
bel libro Klezmer! di Gabriele Coen e Isotta Toso (edito
da Castelvecchi lo scorso anno ma ...già nei remainders!),
un saggio affascinante reso con stile assai divulgativo: "Tra
le componenti del successo del klezmer c'è, se vogliamo
usare un termine giovanile, il fatto che si tratta di una
fusion music ante-litteram e in un mondo che si globalizza
la musica di fusione è una delle componenti culturali
che noi vivremo come realtà (...). Altro motivo del
grande successo di questo genere è l'essere una musica
soul. È una musica che esprime il travaglio di un popolo,
il suo spaesamento, il suo vagabondaggio...".
E, in alcune note tratte dal libretto che accompagna il cd
"Lokshen" di Enrico Fink, Moni Ovadia si spinge
oltre: "La musica klezmer, lo shtetl, i rabbini volanti
di Marc Chagall, i santi maestri khassidici sono tornati e
pullulano nell'immaginario del prospero Occidente, quello
stesso Occidente che in tempi tutto sommato recenti li ha
sospinti o addirittura "spinti" nel buco nero dell'annientamento.
Questa resurrezione culturale che valore ha? In yiddish si
usa dire: s'iz git far unz oder s'iz shlekht far unz?
Parafrasando potremmo in cuor nostro tradurre all'ebraica:
ne abbiamo merito o ne abbiamo colpa? Impossibile dare una
risposta univoca. Di questi tempi, molti soprattutto
nella vecchia Europa e da ultimo anche in Italia - si
dedicano con onesta passione al mondo scomparso dell'ostjudentum,
se ne sentono orfani, altri vi si baloccano con la stessa
corriva disinvoltura con cui trattano ogni fenomeno in. Per
un ebreo la questione è cruciale nella prospettiva
del travaglio identitario. I nostri maestri ci hanno insegnato:
ne parlerai! La memoria ebraica ha il compito di costruire
il futuro degli ebrei. La parola etica tuttavia non deve lasciarsi
sedurre dalla parola vanità...".
"Lokshen" di Enrico Fink e del suo gruppo (Amit
Arieli al clarinetto, Stefano Bartolini al sax, Alessandro
Francolini alla chitarra) occupa un posto a sé nell'ipotetico
scaffale "file under klezmer" di un altrettanto
ipotetico negozio di dischi: al suo interno c'è musica,
sì, ma l'attenzione dell'autore è rivolta anche
alla parola, al racconto.
Senza offesa per nessuno (e soprattutto senza con questo voler
porre la musica in secondo piano: sono esecuzioni mirabili
e molto coinvolgenti), questa potrebbe essere una bella "fiaba
sonora" per grandi e piccoli.
La storia di "Lokshen" viene da lontano: è
una ricerca delle radici della famiglia dell'autore, trasformata
in una pièce teatrale intitolata "Patrilineare",
e rappresentata da Fink e dal suo gruppo in numerosi teatri
della penisola.
Una storia autobiografica e volutamente ironica: col nome
"lokshen" (spaghetti) gli emigrati ebrei del Lower
East Side di New York City indicavano gli abitanti del vicino
quartiere di Little Italy.
"Enrico era una promessa dell'astrofisica italiana,
ma le canzoni yiddish lo hanno chiamato e lui non ha resistito...":
così lo presenta Moni Ovadia, e quella di Fink è
una storia che merita di essere ascoltata e di raggiungere
sempre più teste passando attraverso le orecchie.
La sua è una storia che fa sorridere e al tempo stesso
stringere il cuore, perché racconta di miseria e di
genialità, una storia fotografata mirabilmente dal
titolo di una delle tracce: "Un cognome, una foto, una
giacca e di un pezzo di carta" (quest'ultimo un foglio
di carta intestata della questura di Ferrara, data fine 1943,
certificazione dell'arresto dei familiari).
Un racconto in musica (a volerla dire saccheggiando le brevi
note informative redatte dalla Materiali Sonori, storica indie
toscana che ha coprodotto il disco), che rappresenta un incontro
tra l'ebraismo est-europeo dello yiddish e del klezmer, e
l'assimilato ebraismo di una comunità come Ferrara,
che si avvicina inconsapevolmente allo scoppio della furia
razzista.
La registrazione potrebbe verosimilmente essere tratta da
uno spettacolo dal vivo, tanto è ricca di feeling,
grinta e senso di comunicazione.
Un'opera notevole. Da ascoltare preferibilmente con i bambini
(armandosi di pazienza e di informazioni corrette: i piccoli
vogliono giustamente sapere tutto!), un disco da regalare
agli amici più cari per renderseli ancora più
cari, e comunque da copiare e diffondere.
Con questo scopo preciso: per non dimenticare.
Contatti:
Officine della Cultura, tel. 0575 27961, e-mail: officine.cultura@iol.it
Materiali Sonori, via III Novembre, 2 52027 S. Giovanni Valdarno
AR, matinfo@matson.it,
http://www.matson.it
Altri suggerimenti, per chi ha voglia di investigare.
Einaudi nella collana Stile Libero ha pubblicato di Moni
Ovadia Ballata di fine millennio (libro abbinato
a un cd che raccoglie le canzoni dell'omonimo spettacolo teatrale)
e L'ebreo che ride (libro con vhs): tutt'e due fulminanti
(distribuzione commerciale).
L'indipendente Demos di Napoli distribuisce in Italia,
tra moltissime altre cose, il catalogo dell'etichetta americana
Tzadik fondata e diretta da John Zorn
che dà spazio alla musica ebraica contemporanea nelle
sue più diverse forme: sono dozzine i titoli finora
pubblicati, parecchi dei quali di notevole spessore (tel.
081 5645360, http://www.demosrecords.it).
Materiali Sonori ha pubblicato nel 1998 un gran bel
libro su John Zorn curato da Walter Rovere: tutt'altro
che una celebrazione, è una raccolta critica di scritti,
interviste, fotografie e spartiti. C'è anche allegato
un cd realizzato con la collaborazione di Eugène Chadbourne
(vedi indirizzi più sopra).
Date un'occhiata al loro website, sempre aggiornato di novità,
con particolare riguardo alle pagine in cui si offre, complice
l'istituto Ernesto De Martino, una grande varietà di
titoli in vinile editi negli anni '60 e '70 dai Dischi del
Sole e dalla Linea Rossa a prezzi, va detto, più che
corretti, lontani dalle vertigini del collezionismo più
becero.
Il gruppo trevigiano Barbapedana ha realizzato sinora
tre cd stupendi, mescolando mirabilmente musiche tradizionali
italiane, mediorientali, balcaniche, klezmer e zingare: li
trovate nei negozi del commercio equo e solidale (tel.
0423 858069, barbapedana@libero.it,
http://digilander.iol.it/sherele).
La Knitting Factory Records (collegata all'omonimo
locale di New York City, da una ventina d'anni centro di diffusione
di musiche "altre") ha pubblicato l'interessante
antologia "The Jewish Alternative Movement", con
brani di Uri Caine, Klezmatics, Anthony Coleman, Gary Lucas
ed altri.
La World Pacific (strappo alla regola: questa è una
"finta" indie, è collegata alla Capitol americana)
ha ristampato su cd nel 1994 alcune vecchie registrazioni
di Mickey Katz abbinandole a una manciata di inediti:
"Simcha time" è perfetto per far rivivere
il grande clarinettista e performer che amava contaminare
le canzoni della tradizione con elementi jazz e cabarettistici
davanti alle vostre orecchie e alla vostra immaginazione.
Entrambi questi cd si dovrebbero trovare con relativa facilità
nei "soliti" negozi e mailorder specializzati.
L'austriaca Extraplatte ha pubblicato dal 1975 alcuni album
del duo formato da Albert Thimann ed Edward Geduldig:
si trova il loro "A haymish groove" (un cd davvero
bellissimo, cui collaborano tra gli altri Don Byron, Mark
Feldman e Guy Klucevsek) nel cestone delle offerte del Megatalogo
di Sarzana SP (e-mail: megatalogo@tamnet.it).
Mi è capitata in casa una bellissima cassetta autoprodotta
purtroppo senza informazioni aggiunte dal duo
(triestino?) L'Arpa di Noè (chitarra e clarinetto):
le canzoni e le musiche suonano un po' strane sembrano
"finte"! ma sono simpatiche, non c'è
uno straccio d'indirizzo ma penso che ne sappiano qualcosa
a Radio Onde Furlane (tel. 0432 530614, ondef@friul.it)
oppure all'indie udinese Nota (cas. post. 187 33100 Udine,
tel. 0432 582001). Se qualcuno li conosce gli passi il
mio indirizzo. Grazie.
Marco Pandin
Arte
& Anarchia
Una
biennale di confronto scambio su estetica,
produzioni artistiche & cultura libertaria.
FEST(A)VAL
2001
a Bologna, parco ApARTe (incrocio viale Togliatti
con via Salvemini - zona Borgo Panigale),
nei giorni 14, 15 e 16 settembre
ApARTe
cas. Post. 85, succursale 8, 30170 MESTRE VE
aparte@virgilio.it
rino.demichele@tin.it
sirwalter@libero.it
Tiziana
3337218124
Fabio 3488710609
|
|