Al funerale di Carlo Giuliani, i cronisti
notano la bandiera della Roma sulla bara. In quei giorni, tra
alcuni settori dei manifestanti girano voci su ultras fatti
arrivare a Genova da tutta Italia per devastare la città.
Esponenti dei sindacati di polizia dicono di avere individuato
ultras violenti in azione. Il comandante dei carabinieri spiega
che la maggior parte dei suoi soldati aveva solo l'esperienza
di servizio allo stadio. Durante le partite d'agosto, i tifosi
gridano "assassini" ai poliziotti. I tifosi fascisti
della Lazio espongono uno striscione "Ideali diversi: onore
a Carlo Giuliani". Le dichiarazioni dei questori sui giornali
annunciano l'inizio del campionato di calcio ammonendo gli ultras
che d'ora in poi, sulla base del nuovo decreto contro la violenza
negli stadi, sarà "tolleranza zero", e concludono
dicendo di temere "infiltrazioni del Black Bloc" nelle
curve.
A Genova si sono viste usare le tecniche di controllo delle
partite di campionato: celerini alla stazione di partenza per
sorvegliare il concentramento, celerini alla stazione di arrivo
per scortare il gruppo "in trasferta". Chi parla di
"ordine pubblico" ha interesse ad applicare ai cittadini
che partecipano a una manifestazione lo stereotipo del tifoso
violento e scalmanato: la piazza diventa la curva di uno stadio,
e chi manifesta in piazza un ultras pericoloso per "i tranquilli
cittadini".
Anche secondo noi esistono analogie tra tifosi e manifestanti,
perché si tratta di cittadini che si incontrano in uno
spazio pubblico (una curva, una piazza). Inoltre, c'è
in comune il fatto di sentirsi in qualche modo alternativi o
antagonisti: le fanzine distribuite nelle curve, per esempio,
si presentano come mezzi di controinformazione. Poi, c'è
chi fa parte di un gruppo ultras e allo stesso tempo frequenta
i centri sociali; per non rischiare conflitti di lealtà
con i compagni di curva, un ultras tende a separare i due ambiti,
che però inevitabilmente si mescolano.
I rapporti tra ultras e politica sono emersi con il decreto
del febbraio 2000 sulla presenza di scritte nazifasciste negli
stadi. Questo provvedimento riduceva il problema politico della
legalità delle organizzazioni neonaziste in Italia a
una questione di ordine pubblico: maggior presenza e più
poteri della polizia negli stadi; perquisizioni all'ingresso
più rigide, malgrado a molti sembrassero già abbastanza
minuziose. Una parte degli ultras si era già schierato
sulla questione, facendo un tifo antirazzista, esercitando l'ironia
e lo spirito parodistico che sono tra le caratteristiche migliori
che si possono trovare in una curva. La polizia applicava il
decreto sequestrando stelle rosse, Che Guevara, disegni di foglie
di marijuana, slogan ironici che non capiva. Il risultato era
mettere d'accordo ultras razzisti e antirazzisti contro il nemico
comune: le forze dell'ordine.
Da qualche tempo, i rapporti tra gruppi ultras si ridefiniscono
in base al contrasto tra razzismo e antirazzismo: si modificano
amicizie e accordi, si inaspriscono le rivalità e se
ne creano di nuove. Le fanzine di tutta Europa prendono posizione
sulla presenza negli stadi di croci celtiche, di striscioni
antisemiti e di cori razzisti.
Si tratta di un nuovo elemento della discussione sui codici
di comportamento che il mondo degli ultras ha iniziato dopo
l'omicidio di un giovane, anche quella volta a Genova. Nel gennaio
1995, prima della partita Genoa-Milan, un gruppo di milanisti
provoca uno scontro davanti alla sede di un club di tifosi del
Genoa. Vincenzo Spagnolo, che i compagni del centro sociale
Zapata chiamavano Claudio Spagna, viene ucciso da una coltellata.
Nelle settimane seguenti, alcuni ultras di varie città
si incontrano e danno vita a un movimento, i cui principi
sono riassunti nello slogan "basta lame, basta infami".
Viene elaborato una sorta di codice cavalleresco: lo scontro
fisico è previsto se c'è un buon motivo (difendere
la curva, la sede del club, le bandiere, o respingere l'attacco
di altri tifosi o di poliziotti), e deve svolgersi a mani nude,
in numero pari e senza coinvolgere estranei. Questi stessi ultras
oggi aggiungono l'antirazzismo al codice d'onore e alla "mentalità"
del "vero" ultras.
Nella primavera del 2001, ci è capitato di parlare con
alcuni ultras in un convegno tenutosi a Mestre. Pensavamo che,
come già si usa "Bella ciao", si potrebbe un
giorno sentir cantare nelle curve il canto anarchico "Nostra
patria è il mondo intero / nostra legge la libertà
/ e un pensiero" con finali tipo "l'Unione in serie
A", o "la Lazio in Champions League". Ma questo
cambierebbe poco, se il modello di comportamento dovesse rimanere
lo stesso. Come ogni codice d'onore, quello degli stadi risponde
a una concezione autoritaria e virile. Ciò che soprattutto
importa nei cori da stadio è cantare a comando, così
come è decisivo il fatto che a lanciare il coro sia sempre
un maschio, che le donne accettate nella gerarchia debbano avere
modi di fare maschili, che gli altri tifosi siano "merda",
e così via. Agli uomini, insomma, il compito di proteggere
la curva e le bandiere.
Quando sono cominciate le discussioni sulla manifestazione contro
il G8, a noi è sembrato di ascoltare gli stessi argomenti.
In primo piano c'erano malgrado tentativi diversi
la forma della protesta e il modo di contrapporsi alla militarizzazione
decisa dalle autorità. Le alternative erano se accettare
il linguaggio militare, oppure no; se adottare forme militari,
dall'abbigliamento alla disposizione del corteo, oppure no;
se marcare l'aspetto parodistico di questa scelta, oppure equipaggiarsi
per rispondere sul serio alle armi della polizia, e per difendere
spazi e striscioni.
In conclusione, ultras e manifestanti hanno problemi simili:
in quali forme fare il tifo o manifestare.
Dopo Genova si è ripresentata un'urgenza che sembrava
scomparsa da molti anni nelle manifestazioni, e cioè
come difendersi dalla polizia, e in generale quale atteggiamento
tenere nei confronti delle "forze dell'ordine". Finora,
gli stadi sono stati il luogo dove è più frequente
il confronto tra cittadini e poliziotti in assetto antisommossa.
Gli ultras adottano l'insulto ("le merde col casco blu")
e il disprezzo per il celerino ("nella vita che uomo è
/ di merda"). Su questo punto ogni tipo di rivalità
cessa, come dimostra "l'onore" reso dai tifosi fascisti
a Carlo Giuliani: tutti, a prescindere dall'orientamento politico,
si ritrovano contro lo stesso nemico.
Qualcuno a Genova, di fronte a poliziotti armati e con il casco,
ha preteso invece di avere di fronte altri cittadini, scandendo
il coro "via i caschi / via i caschi". Questa diventa
una richiesta di smilitarizzazione delle "forze dell'ordine"
ed esige di ripensare il ruolo della polizia nei confronti dei
cittadini.
Filippo Benfante e Piero Brunello
Alto
avrei gridato
di Luigi Veronelli
"Le masse delle materie inerti
e inanimate, come la sabbia o il granito, sono spoglie
d'ogni vitalità o sono semi, o sono semi in potenza,
o molecole che attendono il giorno della vegetazione o
della vita? Ci è impossibile di rispondere, l'apparenza
è muta".
Giuseppe Ferrari, politologo
(Milano 1811 - Roma 1876).
I semi e le sementi, vitali da che l'uomo s'è fatto
contadino, producono e hanno avuto dai loro gesti
dei contadini, dico continue migliorie sia sul
piano della maggior produttività, sia della migliore
qualità.
Se le multinazionali avessero avuto come oggetto la ricerca
sulla sabbia vista come molecole che attendono il giorno
della vegetazione o della vita; e alla sabbia vita e vegetazione
avessero dato, non v'è dubbio che avrebbero diritto
a concordare brevetti e compensi.
Chiedono invece brevetti e compensi per le ricerche su
semi e sementi che hanno anima dalla fatica e dalla ricerca
di generazioni e generazioni contadine.
Anche avessero ottenuto, attraverso le loro ricerche,
migliorie è legittimo averne dubbi
dovrebbero prima compensare, pagare in misura molte volte
maggiore il materiale su cui hanno operato. Materiale
la cui proprietà è dei contadini del passato
e di oggi.
Avessi potuto essere in Genova; più ancora, avessi
potuto far sentire la mia voce, alto avrei gridato: l'esazione
di brevetti e di denaro per ipotizzati miglioramenti ottenuti
su tutto ciò che è stato nei secoli seme
e semente è vera e propria sovversione. Le multinazionali
paghino ai detentori millenari del loro uso i diritti
maturati appunto nei millenni per la loro
produzione, reimpianto e mantenimento.
I diritti contadini, calcolati sulle loro millenarie fatiche,
superano qualsiasi brevetto di miglioria.
Luigi Veronelli
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