La marcia degli zapatisti attraverso
buona parte della confederazione messicana è stata un
evento epocale, andato oltre qualsiasi aspettativa se si considera
lo sforzo organizzativo e la straordinaria partecipazione di
folle oceaniche a ogni tappa. Il principale risultato lo hanno
raggiunto: sensibilizzare l'opinione pubblica nazionale e internazionale,
ottenere per la prima volta nella storia che un gruppo di indios
prendesse la parola in parlamento, e soprattutto che a tenere
il discorso più appassionato e coinvolgente fosse proprio
una donna, "triplamente" significativo: perché
è una zapatista insorta, perché è indigena,
e perché è donna... Poi, anche se il proposito
era pur sempre l'approvazione di una legge che ratificasse gli
impegni firmati dal precedente governo e mai rispettati, tutti
sapevamo in partenza che "dalle pietre non nasce niente"...
Successivamente, passata la buriana, il governo ha raccattato
deputati propri e deputati di occasionali opposizioni, e ha
varato una legge-truffa che è semplicemente una presa
in giro, ignorando totalmente le istanze delle popolazioni indigene
e le promesse fatte, contrabbandandola per "definitiva
pacificazione" di una guerra che dura da cinque secoli.
Oggi, che finalmente le coscienze delle persone ancora dotate
di una qualche sensibilità si mobilitano contro lo scempio
del pianeta e dei tessuto sociale dei popoli, scempio denominato
"globalizzazione" e "neoliberismo", va dato
atto agli zapatisti che quando insorsero, in quel Capodanno
del 1994, erano ben pochi nel mondo a nominare queste due parole
simbolo dello sterminio per fame (e per piombo, dove la farne
non basta a sopire gli affamati), eppure loro, gli ultimi fra
gli ultimi, ci stupirono dichiarando che la globalizzazione
significava genocidio e non progresso, mentre nella nostra fetta
di inondo privilegiato un certo Ruggiero, nella sala bottoni
del WTO, sorrideva alle telecamere dicendo amabilmente: "La
globalizzazione non è né buona né cattiva,
è semplicemente un dato di fatto". Anche l'estinzione
delle popolazioni indigene e l'avvelenamento di aria, acqua
e cibo è un dato di fatto, ma qualcuno comincia a chiedersi
se sia un fatto buono oppure cattivo...
Un altro polmone chiuso
Gli zapatisti ci stanno abituando quindi ad "arrivare
per primi" nell'annunciare le peggiori sventure: non lo
fanno per vittimismo, non hanno la vocazione alle Cassandre,
si limitano a divulgare ciò che noi non sappiamo, e faremmo
bene ad ascoltarli più spesso e con maggiore attenzione.
Per esempio, molto prima della marcia su Città dei Messico,
Marcos ha lanciato un allarme sul cosiddetto Plan Puebla-Panamá.
Che diamine è?, si saranno chiesti i pochi
ancora troppo pochi che seguono da vicino le vicende
di quelle terre dalla vita intensa, seppure poco invidiabile.
Intanto, la maggior parte degli abitanti del pianeta Terra
l'unico che abbiamo e su cui possiamo tentare di sopravvivere
non si accorgevano lontanamente del fatto che si sta
avviando uno scempio ambientale e del tessuto sociale di svariate
nazioni di portata spaventosa. Se il Plan Puebla-Panamá
dovesse arrivare a compimento, non solo un altro polmone del
pianeta scomparirebbe, lasciandoci a respirare rantolando con
quel poco di ossigeno che resterà, ma intere zone del
mondo che in tanti amiamo, sarebbe meglio andarle a rivedere
adesso prima che subiscano uno stravolgimento irrimediabile...
Che si preparassero per tempo, oggi è ormai provato.
Vedremo più avanti come gia Carlos Salinas de Gortari,
il più vituperato e disprezzato presidente della storia
messicana. abbia avviato una serie di misure che lo vedono attualmente
tra i maggiori azionisti dell'impresa. Dal punto di vista militare,
appariva sproporzionato l'impiego di tanti mezzi e soprattutto
l'incremento esponenziale delle spese in armamenti che il Messico
ha varato negli anni novanta, con un'escalation ingiustificabile
stando alla realtà odierna: gli zapatisti, è apparso
chiaro a tutti fin dai primi giorni dell'insurrezione, non puntavano
certo a fronteggiare sul campo di battaglia il proprio nemico,
non hanno mai inteso avviare una guerriglia endemica come in
altri paesi latinoamericani, perché il loro scopo è
sempre stato conquistare coscienze e non fette di terreno, resuscitare
sensibilità e non seppellire soldatini di leva.
Eppure, ben coscienti di ciò, i governi di Salinas e
successivamente di Zedillo hanno continuato non solo ad agire
come se dovessero scatenare una guerra contro un poderoso esercito,
ma anche a costruire infrastrutture destinate a durare per sempre:
inespugnabili caserme dotate di sofisticati sistemi d'arma,
centrali d'ascolto nella selva, strade di collegamento assurde
per la zona in questione, moderni ospedali per le truppe, campi
d'aviazione, e così via. Inoltre, si moltiplicavano le
segnalazioni di istruttori statunitensi delle Special Forces,
le stesse che sono intervenute in ogni teatro di guerriglia
dei continente, dal Nicaragua al Salvador, dal Cile di Pinochet
all'Argentina dei desaparecidos... Per di più, oltre
ai numerosi ufficiali messicani spediti a seguire corsi d'addestramento
a Fort Braggs, è stata affidata la costituzione di corpi
d'élite ai famigerati kaibiles guatemaltechi, veterani
di decenni di genocidio indigeno nel paese centroamericano,
responsabili di immani massacri e dell'uso del napalm in zone
rurali dove chissà per quanto ancora non crescerà
più un filo d'erba. I kaibiles hanno preso sotto la loro
ala d'avvoltoio i giovani leoni destinati a contrastare "le
legittime aspirazioni delle genti del Chiapas, e nel giro degli
ultimi sette anni ne hanno fatto un nutrito manipolo di esperti
in "contrainsurgencia" con la supervisione
del Pentagono riuniti nei Gafes (Gruppi Aerotrasportati
Forze Speciali) e Ganfes (Gruppi Anfibi), successivamente mandati
tutti quanti a Fort Braggs per un "master" in paracadutismo
notturno, combattimento ravvicinato, rastrellamento di villaggi,
"tecniche di interrogatorio", e altre nequizie del
genere.
Più merci meno diritti
Come giustificare tutto ciò? Forse gli zapatisti apparivano
tanto pericolosi agli occhi del governo, da spendere simili
cifre colossali? Politicamente sì, ma non certo militarmente.
La spiegazione sta in ciò che Noam Chomsky riassume come
segue: "Più le merci devono circolare, più
vengono violati i diritti umani". Ci si preparava a mettere
sotto controllo non solo il Chiapas, ma l'intero sudest del
Messico e addirittura il Centro America, per realizzare il Plan
Puebla-Panamá, che mi auguro diventi al più presto
sinonimo del peggiore degli incubi, da contrastare con ogni
mezzo di divulgazione e denuncia.
L'incubo si avvera
È un progetto d'antica data, risale addirittura al 1846,
quando gli Stati Uniti avviavano la fase espansionistica che
non ha ancora visto limiti: James Monroe, 5° presidente
dal 1817 al 1824, aveva varato la dottrina imperiale riassunta
dal nefasto motto "l'America agli americani", cioè
l'intero continente assoggettato al controllo di Washington,
lasciando in eredità l'idea di una via interoceanica
di rapido spostamento per merci ed eserciti molto più
vicina ai confini dell'Unione, il cosiddetto "megaprogetto
transistmico" successivamente localizzato tra le città
di Coatzacoalcos sul Golfo del Messico e Salina Cruz sulle coste
del Pacifico. Con notevole sprezzo del ridicolo, i governanti
statunitensi citavano apertamente il "mare nostrum"
della Roma Imperiale che nel loro caso comprendeva niente meno
che i due oceani più vasti del globo... Oltre un secolo
e mezzo più tardi, l'incubo rischia di avverarsi e soltanto
oggi possiamo interpretare l'assiduo operato finalizzato a tale
scopo dei presidenti Carlos Salinas de Gortari e Ernesto Zedillo,
predecessori di Vicente Fox Quesada che si appresta a realizzarlo.
Il 15 giugno, a San Salvador, Fox ha partecipato a un vertice
dei mandatari centroamericani dove ha annunciato l'avvio dei
Plan Puebla-Panamá, firmando con loro un patto sulle
"1inee strategiche" in totale appoggio al "processo
di apertura commerciale emisferica" che culminerà
nell'Alca, l'Area di Libero Commercio delle Americhe.
Il canale in questione riguarda il punto più stretto
del continente, l'Istmo di Tehuantepéc, ma non sarà
una via d'acqua bensì d'asfalto e rotaie. Un corridoio
superveloce che permetterà di spostare i container dei
mercantili in tempi record, grazie a un sistema integrato di
porti, autostrade e nodi ferroviari con tanto di gas/oleo/elettrodotti
e "catena del freddo" per i prodotti deperibili. Direttamente
collegate all'Istmo, saranno le nuove autostrade già
in costruzione tra il Chiapas (che confina con il Guatemala)
e il Tamaulipas (fino a Matamoros, estremo nord, posto di frontiera
con il Texas): si vagheggia un tempo di percorrenza di 22 ore,
contro gli attuali 4 o 5 giorni con relative notti di viaggio,
cioè quanto giustamente ci vuole per attraversare un
paese che è sette volte l'Italia. Poi, il "corridoio
stradale del Pacifico", che collegherà diversi porti
marittimi da Manzanillo fino a Puerto Madero passando per Acapulco
e, ovviamente, Salina Cruz, e giù fino al canale di Panamá,
più una serie di "assi radiali" concepiti in
funzione delle industrie statunitensi e delle conseguenti fabbriche
d'assemblaggio (le tristemente note maquiladoras), che collegheranno
varie città di frontiera come Nogales o Nuevo Laredo
con le metropoli emergenti del nord, come Monterrey, San Luis
Potosí o Guadalajara, oppure taglieranno trasversalmente
il paese da Veracruz ad Acapulco passando per le "perle
coloniali" come Cuernavaca e Puebla, facendo tremare per
le vibrazioni dei Tir le ossa di Zapata, visto che la colata
d'asfalto riguarderà anche la culla dell'Ejercito Libertador
del Sur, Cuautla compresa. Infine, la "rotta del Golfo",
per unire velocemente Houston o New Orleans a Veracruz, Tampico,
Mérida, Cancún, senza tralasciare cinque o sei
nuovi aeroporti... L'impatto ambientale va ben oltre il termine
di "devastante": basti pensare che tra le prime multinazionali
a dichiararsi entusiasticamente pronte a partecipare con ingenti
investimenti c'è la International Paper Company, leader
nel settore della cellulosa, che intravede affari d'oro con
le migliaia di alberi da abbattere, e la cosiddetta Texas Connection
dei petrolieri già sponsor di Reagan e oggi di Bush junior
che mirano ai giacimenti della Sonda di Campeche e del Chiapas...
E tra le imprese nazionali, ce ne sono alcune che annoverano
l'ex presidente Salinas de Gortari come socio, a riprova della
sua lungimiranza quando era al governo. Infine, la "colonna
vertebrale del sistema di telecomunicazioni" su fibre ottiche
gode già dell'interesse della statunitense AT&T e
dell'europea France Telecom.
Tutto questo è soltanto un aspetto dell'intero progetto
che mira a raggiungere l'obiettivo entro il 2025. Il Plan deve
il suo nome all'area geografica che intende coinvolgere, cioè
da Puebla fino alla frontiera con la Colombia, comprendendo
gli stati del sudest messicano Oaxaca, Guerrero, Chiapas, Veracruz,
Campeche, Tabasco, Quintana Roo e Yucatán, e le nazioni
del Centroamerica, Belize, Guatemala, Honduras, Salvador, Nicaragua,
Costa Rica e Panamá. Il Piano Economico ha l'obiettivo
di trasformare l'immensa regione ricca di immani risorse
geostrategiche nonché vastissima riserva della biodiversità
in ciò che è già stato battezzato
come il "Giaguaro americano" in grado di contrastare
e battere la concorrenza commerciale delle Tigri asiatiche,
contando sulla posizione geografica privilegiata che la situa
fra i tre grandi blocchi, Stati Uniti, Europa e Asia. Finanziato
inizialmente dalla Banca Interamericana di Sviluppo, il progetto
assegna al Messico il ruolo di principale paese "assemblatore"
di prodotti per l'esportazione attraendo enormi capitali delle
imprese transnazionali grazie a sussidi e totale esenzione di
imposte, con gli investimenti garantiti dal denaro pubblico
e i guadagni destinati ai privati. Una miriade di maquiladoras
che sciameranno dalla frontiera nord in tutto l'Istmo centroamericano,
trasformando i suoi 38 milioni di abitanti da contadini poveri
a schiavi dell'assemblaggio con paga a cottimo addirittura al
di sotto di quelle percepite negli inferni delle Tigri asiatiche,
secondo il dogma della "competitività".
I nuovi schiavi del pendolarismo
Mentre nella fetta di mondo privilegiato si pone da tempo il
problema del decentramento, di frenare l'abbandono delle zone
rurali e il conseguente dilatarsi a dismisura delle megalopoli,
il Plan Puebla-Panamá dichiara apertamente una scellerata
"controtendenza": creare nel sudest messicano una
serie di centri urbani attorno alla proliferazione dei capannoni
industriali e degli impianti petrolchimici per non "disperdere
la popolazione" (si legge proprio così, sul documento
programmatico divulgato dal quotidiano messicano La Jornada),
infatti sarebbe più proficuo non sottoporla al pendolarismo
ma insediarla definitivamente in mostruose periferie-dormitorio
di agglomerati urbani senza un centro. I nuovi schiavi del colonialismo
(che essendo salariati e licenziabili non costituiscono neppure
un "patrimonio da nutrire e salvaguardare" come i
predecessori africani dei secoli scorsi) verranno impiegati
prima per le grandi opere (strade, ferrovie, porti, telecomunicazioni,
dighe e conseguente deviazione di fiumi e deportazione di intere
comunità agricole), e poi come manodopera a bassissimo
costo nelle succursali delle multinazionali. Per finanziare
l'avvio di tale mostruosità (dati i costi astronomici
delle infrastrutture, si prevede ovviamente il taglio dei sussidi
alle fasce più povere della popolazione e all'agricoltura
comunitaria destinata a lasciare il posto alle monocolture intensive
con produzione industrializzata), lo stato sociale verrà
disintegrato e al suo posto si instaurerà quello che
Chomsky definisce "lo stato balia dei ricchi": la
collettività paga le avventure degli speculatori e gli
eventuali cocci rotti, i privati intascheranno tutti i guadagni.
Unico ostacolo all'attuazione del Piano che diffonderà
il benessere tra quei 38 milioni di esseri umani baciati dalla
fortuna, è l'odierna classificazione di "arca potenzialmente
conflittiva", con il sudest messicano "anacronisticamente"
infestato di zapatisti ai quali vanno aggiunte svariate situazioni
di "recalcitranti" che si ostinano a non voler comprendere
la portata del nuovo miracolo economico: per esempio, gli abitanti
di zone destinate a essere inondate per la costruzione di dighe,
stanno ritardando il progetto creando fastidiosi "problemi
sociali"... Il dispiegamento di forze militari nel sudest
non è dunque, a ragion veduta, conseguente alle insurrezioni
indigene, ma "preventivo" rispetto alla logica del
Plan Puebla-Panamá per garantire "sicurezza ai futuri
investitori". E il governatore dello stato di Oaxaca, José
Murat, è per ora l'unico ad aver detto no, ed è
pur sempre un pericoloso precedente, se si considera che neppure
quello del Chiapas, eletto da una coalizione eterogenea, mostra
segni di entusiasmo. Durante il vertice a San Salvador, Vicente
Fox ha ribadito che "il sudest è ormai pacificato",
ma sembra che a credergli siano stati soltanto i proni presidenti
centroamericani. Gli investitori transnazionali, intanto, continuano
a preoccuparsi della sorte degli indios, suggerendo di tornare
ai vecchi metodi del Grande Paese del Nord: deportazione forzata
nelle riserve, dove qualche maquiladora potrebbe magnanimamente
assumere quanti non si adatteranno a improvvisare balletti folkloristici
per turisti in cerca degli ultimi selvaggi buoni, pittoreschi
e "purtroppo" in via d'estinzione...
Pino Cacucci
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