Quando Carlos Liscano mi ha mandato
da Montevideo alcune sue opere teatrali, ho cominciato a leggere
questi testi vedendo immediatamente i personaggi muoversi ed
agire. Non succede spesso che una scrittura proponga delle figure
così vive che riescano ad uscire subito dalla pagina
e a stimolare una loro interpretazione. Così mi sono
messa a lavorare alla traduzione di tre monologhi, El escopetero,
Cambio de estilo e El informante, che presentano
situazioni diverse, con lidea di riunirli in uno spettacolo.
Realtà immaginarie è il titolo scelto per
il lavoro, giacché nella dimensione dellossimoro
si trova parte della produzione di questo autore e stranamente
ha marcato anche le sue vicende personali.
Carlos Liscano a ventitré anni è recluso nel Cárcel
de Libertad (perché Libertad è il nome della
città vicina alla prigione!); qui vi è rimasto
come detenuto politico per tredici anni durante la dittatura
militare uruguayana. Inizia a scrivere in carcere e anche se
la sua creazione letteraria può essere inquadrata nel
genere conosciuto come literatura carcelaria, che raggruppa
diversi autori latino americani e uruguayani in particolare,
segnati dallesperienza della prigionia, della tortura
e dellesilio, la sua scrittura presenta comunque molti
tratti originali, e crea un discorso autonomo e peculiare che
si muove allinterno di formule tradizionali ma che è
anche portato alla sperimentazione.
Carlos Liscano scrive senza dubbio per cercare di sopravvivere
alla sua condizione e alle vessazioni a cui è continuamente
sottoposto; si è impegnato a far diventare motivo di
letteratura la prigionia e questa necessità narrativa
significa trovare nella parola latto liberatorio di cui
aveva bisogno. E un modo per rompere lisolamento
e lottare contro la disintegrazione.
Parlare con se stesso
Nel 1981 scrive il suo primo romanzo, La mansión
del tirano; questa prima versione è sequestrata dalle
autorità. La seconda è del 1985, quando può
uscire dal carcere grazie allultima amnistia che libera
gli ultimi prigionieri politici nel suo paese. In carcere scriverà
ancora un romanzo, molti racconti e poesia, opere che saranno
pubblicate successivamente in Svezia, dove Liscano vivrà
poi da esule per dieci anni.
Eppure lo scrivere non è solo per lui unelaborazione
letteraria del proprio vissuto, neanche solo un tentativo di
fuga o un atto di resistenza. Senza trascurare, naturalmente
la denuncia come dato implicito della sua letteratura, bisogna
considerare lo scrivere soprattutto come volontà di dare
una svolta creativa al dolore e vincere la repressione opponendo
ad essa la propria fertile esistenza.
In carcere le parole acquistano un valore diverso da quello
che hanno nel loro uso normale; il tentativo di impedire la
parola tra i prigionieri e negare ogni forma di comunicazione,
è un altro aspetto della tortura, significa reprimere
uno dei fondamentali atti dellessere umano. Reprimere
la parola risponde al tentativo di ridurre le persone ad una
condizione animale. Nella quotidianità del carcere ogni
parola, anche la più banale, diventa prezioso simbolo
humanizador.
Nella traduzione bisogna tener conto di questo; lavorando su
questa drammaturgia, si capisce che qui la scelta di ogni parola
non è mai casuale, sottende a volte lurlo, a volte
un sussurro, una smorfia, unesitazione piena di pudore,
riassume uno stato fisico, supplisce anche alla negazione e
allumiliazione del corpo. Elementi questi che devono essere
poi indicati e riconsiderati da chi interpreta queste parole,
costruendo una situazione scenica spoglia di elementi scenografici
e tutta invece, concentrata sul personaggio, in equilibrio fra
il dramma e la beffa.
Sì, perché cè un altro elemento,
forse il più importante che caratterizza questa scrittura:
lumorismo vissuto come salvezza, come disposizione per
superare emotivamente uno stato drammatico. Lautore, prigioniero,
ride di se stesso, rivede la sua vita in chiave comica e con
questo stesso strumento ride dei suoi carcerieri, del loro agire,
del loro linguaggio, della loro sinistra retorica. Liscano sa
creare così situazioni drammaticamente divertenti
con tono dissacrante e assurdo.
E stato detto che Liscano come autore non si è
liberato dalla prigione (Oscar Brando, Carlos Liscano: la
poética de la soledad, ed. Deslindes), e certamente
è un autore che si confronta continuamente con la sua
solitudine. Per chi da troppo tempo è stato abituato
a parlare solo con se stesso, è quasi inevitabile. Anche
il ritorno alla libertà comporta un processo di sofferta
integrazione, che si compie attraverso un percorso solitario:
Uscendo dal carcere mi sono reso conto di alcune cose, alle
quali non avevo mai pensato. Ho capito che la società
rispetta lo spazio che uno ha saputo guadagnarsi. Il lavoro
che siamo riusciti ad ottenere, la famiglia che ci siamo creati,
le amicizie che coltiviamo, la casa e i vicini che abbiamo.
E io non avevo niente. (
) Non cera niente che avessi
creato io. Ero ad un livello zero. Ero come un bambino ma non
lo ero. Avevo 36 anni compiuti, e inoltre ero considerato una
persona che aveva una certa posizione politica. Ma io sentivo
che non era così. Sentivo che non potevo avere opinioni
politiche senza avere una vita. (
) Io mi sentivo debole,
molto fragile. Per attraversare la strada, mia sorella doveva
prendermi per mano. Non sapevo usare i soldi. Una volta per
pagare lautobus ho tirato fuori ventimila pesos. Non sapevo
usare il telefono pubblico. Non avevo documenti, non avevo casa,
non avevo un lavoro. (Dallintervista Quizas yo
mismo llegue a ser mi casa di M.E.Gilio in Brecha,
18.08.1989, traduzione di Fernanda Hrelia.)
Lipocrisia
della società
Liscano, dai suoi esordi di narratore e poeta, scopre
il teatro in Svezia; lavora come assistente alla regia presso
il Teatro Reale e Nazionale di Stoccolma. Le sue prime opere
teatrali saranno messe in scena in Svezia, prima di essere rappresentate
e premiate in Uruguay, Argentina, Francia e Svizzera.
La dimensione teatrale lo porta a creare una situazione fisica
e spaziale molto concreta per i suoi personaggi di emarginati,
che, come moderni pícaros, dai margini criticano
ed evidenziano le incongruenze e le ipocrisie della società
che li esclude, e, dal punto di vista personale il teatro gli
permette di rapportarsi con gli altri in maniera diretta, con
gli interpreti dei suoi testi e con un pubblico presente alla
rappresentazione di queste storie. Lautore non è
più solo.
Come anche nella sua narrativa, i personaggi del suo teatro
hanno unidentità scissa; hanno vissuto la perdita
dellautostima, si misurano con frustrazioni continue,
ma non hanno perso la coscienza critica. Il margine è
inevitabilmente il loro spazio, uno spazio-discarica dove a
volte il personaggio, vittima dellesclusione, si ripiega
ma da dove anche osserva e giudica.
Ne El escopetero (Luomo col fucile), attraverso
la rappresentazione di un uomo alla deriva, si parla di un fallimento
che non è solo individuale, ma anche generazionale. Nella
delirante sfilata di personaggi evocati dallUomo col fucile
- una categoria umana senza più nome - troviamo deformata
unesigenza di giustizia. Questo essere che si sente inutile
e di troppo sul pianeta, si è costruito un illusorio
strumento di rivalsa: il fucile mentale, che gli permette
di eliminare col pensiero tutto ciò che non gli va. Ed
è nel fragore delle fucilate mentali che si consumano
le sue giornate senza possibilità di soluzione.
Un modo non convenzionale per parlare di emarginazione e degradazione
è anche quello di Cambio de estilo (Cambiamento di
stile), un gioco ironico, in cui il personaggio arriva ad
un punto della sua vita in cui è chiamato a fare una
scelta decisiva: conviene continuare ad essere un idiota o è
meglio diventare un hijo de puta? E il suo racconto ha
lossessività di un disco rotto e ossessivi sono
i suoi gesti da clown stralunato.
El informante (Il confidente) propone una situazione
in bilico fra realtà e illusione per un prigioniero,
che deve stendere dei rapporti se vuole sopravvivere. Non importa
cosa deve scrivere, limportante è che scriva. Così
attraverso le sue Composizioni può crearsi
un mondo parallelo, in cui anche la masturbazione diviene un
motivo comico, e in cui ha la libertà di affermare che
questo paese è una merda.
Sono insomma Realtà immaginarie quelle di questi
personaggi che si muovono in situazioni paradossali ma verosimili,
figure di marginali dai tratti realistici e grotteschi al tempo
stesso.
Della sua drammaturgia vorrei ancora ricordare Los idiotas
dalle atmosfere beckettiane, Mi familia, in cui una famiglia
oppressa dalla miseria è costretta a vendere via via
i membri del proprio nucleo famigliare per comprare frigoriferi
e televisori, Retrato de pareja sullincomunicabilità
nella coppia, formata da una donna e da un fantoccio.
E anche per avere unidea più completa e reale
delle molteplici e diversificate esperienze letterarie, drammaturgiche,
teatrali e artistiche del continente sudamericano, che sarebbe
auspicabile la traduzione e la diffusione delle opere di Carlos
Liscano, originali testimonianze di una personalità ricca
di esperienze e fantasia, intelligente interprete delle assurdità
e delle atrocità dei nostri tempi.
Fernanda Hrelia
Carlos
Liscano
Nato a Montevideo nel 1949, è arrestato
nel 1972 e detenuto per reati politici. Esce dal carcere
nel 1985 e si trasferisce in Svezia, dove vive fino al
1996. Comincia a pubblicare dal 1987; esce la raccolta
di racconti El método y otros juguetes carcelarios,
il romanzo La mansión del tirano e il libro
di poesie ¿Estará no más cargada
de futuro?, opere queste concepite durante la lunga
prigionia. Vengono pubblicate successivamente Memorias
de la guerra reciente, romanzo del 1988 (Premiato
dallIstituto Italiano di Cultura di Montevideo)
e i racconti Agua estancada y otras historias (Premio
Nazionale della Critica Uruguayana).
In Svezia lavora come assistente alla regia presso il
Teatro Nazionale e il Teatro Reale di Stoccolma; tornato
in Uruguay lavora come giornalista a El País
Cultural e al Semanario Brecha di Montevideo,
qui fonda e dirige la rivista Papeles de Montevideo.
E direttore letterario delle Ediciones Trilce
e attualmente vive tra la Spagna e lUruguay.
Tra il 1993 e il 2000 pubblica il romanzo breve Una
pequeña historia policial, le raccolte di racconti
El Charlatán (Menzione al Concorso di Narrativa
indetto dalla città di Montevideo), El acompañante,
Versiones, Hombre con paraguas, El informante,
il libro di poesie Miscellanea observata, il romanzo
El camino a Itaca (Premiato dal Ministero della
Cultura dellUruguay).
Intensa anche la produzione di testi teatrali, quasi tutti
pubblicati, rappresentati e tradotti: El informante,
Retrato de pareja, Cambio de estilo, La
subvención, Los idiotas, Mi familia
(Premio per il Teatro della città di Montevideo),
Un ciudadano que trabaja y cumple con su deber,
El escopetero. Alcuni testi sono stati messi in
scena in Europa, in Francia, dove ha partecipato a diversi
festival, in Svezia, in Svizzera oltre che in Uruguay,
Argentina e Guatemala.
In italiano sono stati tradotti: Mi familia, nellambito
della manifestazione Oltre Babele Euramerica, Incontri
con la traduzione drammaturgica contemporanea latino americana
(Firenze 1998- traduzione di Elina Patané), El
escopetero (monologo pubblicato su SIPARIO
n°601/602, 1999), Cambio de estilo e El
informante. Questi tre monologhi sono stati riuniti
nello spettacolo Realtà immaginarie con
Adrián Bustamante, regia di Fernanda Hrelia, presentato
in prima nazionale nel 1999 presso il Teatro Miela di
Trieste. El escopetero (e parte del monologo El
informante) è stato successivamente rappresentato
dalla compagnia Teatro della Centena di Rimini, con linterpretazione
di Maurizio Argan per la regia di Davide Schinaia.
F.H.
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