In un bellissimo libro uscito
nel 1971, Ritratto in piedi, la scrittrice Gianna Manzini
disegna la biografia del padre, un anarchico pistoiese dallo
spirito fiero e libertario, riuscendo a trasmettere al lettore
il fascino dellinvenzione letteraria e linteresse
della ricostruzione storica. Ritratto in piedi, per i suoi molti
lettori di quegli anni, fu non solo una biografia romanzata,
una testimonianza, un libro di ricordi, un esempio di "storia
minore"... fu anche, soprattutto, una rivelazione, laprirsi
di uno squarcio, obiettivo e sereno, su un mondo spesso misconosciuto
e quasi sempre frainteso: un mondo popolato da una strana specie
di individui, anarchici dediti ad anteporre il principio della
libertà, individuale e collettiva, a qualsiasi altro,
che finiscono regolarmente, con sconcertante ciclicità,
per occupare, nel cosiddetto immaginario collettivo, il ruolo
ora del personaggio bizzarro, ora di quello pericoloso.
Sono molte, molte più di quanto si creda, nella letteratura
otto-novecentesca, le opere di scrittori famosi, meno famosi
o addirittura sconosciuti, che affrontano il tema dellanarchia.
E in molte di queste si legge la volontà dellautore
di dare un quadro veritiero, fortemente legato alla realtà
storica, del movimento anarchico e dei suoi protagonisti. A
volte critico, a volte agiografico, a volte fortemente antagonista,
ma non importa!
Questa nuova rubrica, che prende lavvio con il presente
numero di A rivista anarchica, si propone di far conoscere al
lettore, soprattutto a quello più giovane o non particolarmente
addentro alle tematiche libertarie, una scelta di questi testi,
affiancandovi regolarmente documenti depoca tratti dalla
pubblicistica anarchica e attinenti allargomento proposto.
Una sorta di dialogo, insomma, fra realtà storica e creazione
letteraria.
Buona lettura.
Se Errico Malatesta fu lagitatore
instancabile e lorganizzatore, se Luigi Fabbri fu lintellettuale
acuto e aperto alle sollecitazioni di una società in
profondo mutamento, Pietro Gori fu, a cavallo fra ottocento
e novecento, fra i grandi anarchici italiani, quello che più
di ogni altro riuscì a comunicare allimmaginazione
delle masse popolari la grandezza e la sovversiva originalità
dellumanesimo anarchico.
La sua vita avventurosa e la tragica e prematura morte ne hanno
a lungo accompagnato il ricordo, evidenziandone gli aspetti
più romantici, quelli che ne hanno fatto il cavaliere
dellideale o il poeta dellanarchia,
ma la sua attività sociale, ben lungi dallessere
improntata a una approssimativa divulgazione dellidea
anarchica, fu determinante per il crescere e il consolidamento
fra le classi subalterne di una volontà di rivolta cosciente
e di emancipazione solidale. La sintesi fra il solido pensatore,
lagitatore irrequieto e il comunicatore di straordinaria
grandezza, contribuì alla nascita di un mito duraturo
che appartenne, trasversalmente, non solo agli anarchici della
sua Toscana, ma a tutti coloro che aspirarono e
lottarono, col pensiero e con lazione, per ledificazione
di una società in cui giustizia e libertà non
fossero parole vuote destinate a pochi, ma i principi fondamentali
della vita collettiva. Un mito, quello di Pietro Gori, consolidatosi
nella convergenza fra il suo percorso di vita, cristianamente
dedicato agli oppressi, e quello di larghi strati popolari che
trovavano finalmente, nella sua azione, lo strumento della propria
emancipazione. Simile alla dedizione dei contadini reggiani
per Camillo Prampolini, o delle mondine di Molinella per Luigi
Massarenti, lamore che i minatori dellElba portarono
a Gori spiega più e meglio di tanti discorsi quanto profondamente
incisero, in quegli anni, le idee di libertà dellanarchia.
Nato a Messina nel 1865 da genitori toscani e laureatosi a Pisa
in giurisprudenza, ben presto inizia la propria attività
di propagandista del pensiero anarchico, spesso affiancata da
quella di avvocato negli innumerevoli processi che vedono altri
anarchici sul banco degli accusati. Il primo arresto, con condanna
a un anno di carcere, è del 1890 e successivamente le
numerose sentenze a suo carico (tutte comminate per reati dopinione)
lo porteranno ad affrontare più e più volte lesilio,
ora nel nord dellEuropa, ora nelle Americhe. Nel 1891
è al congresso anarchico di Capolago, dove vengono gettate
le basi del partito socialista anarchico rivoluzionario, e nel
1892 partecipa a Genova ai lavori del Congresso che vede riunite
le Società Operaie di tutta Italia, dove, con la nascita
del partito socialista italiano, si consuma definitivamente
la separazione fra le due scuole del socialismo, quella anarchica,
rivoluzionaria e antiparlamentare e quella socialdemocratica,
riformista e parlamentare. Costretto nel 1894 ad abbandonare
lItalia, ripara dapprima in Svizzera (quando il governo
elvetico lo espellerà su pressioni dello stato italiano
compone la famosissima Addio a Lugano) poi in Belgio e Olanda
e infine a Londra, dove entra in contatto con il principe anarchico
Kropotkin e la combattiva Louise Michel, eroina della Comune
di Parigi. Da Londra passa negli Stati Uniti dove svolge, nella
numerosa colonia italoamericana, una intensissima attività
di pubblicista e conferenziere. È soprattutto grazie
a questa sua presenza, e a quella quasi contemporanea di Malatesta,
che si consolida in America fra gli immigrati italiani un forte
e duraturo movimento anarchico.
Dopo una breve parentesi in patria, una nuova condanna a 12
anni di galera lo risospinge allestero, questa volta in
Argentina (dove fonda limportante rivista scientifica
in spagnolo Criminalogia moderna), poi in Cile, Uruguay e Brasile.
Rientrato in Italia grazie ad una amnistia, nel 1903 fonda,
assieme a Luigi Fabbri la rivista Il Pensiero, che nei suoi
otto anni di esistenza sarà un punto di riferimento costante
e imprescindibile dellanarchismo organizzatore. Gli ultimi
anni di vita, ormai minata dalla tubercolosi, ne vedono notevolmente
ridotta lattività, ma nonostante il male che ne
fiacca tragicamente le forze, cerca ancora, quando possibile,
di dare il suo contributo alla causa. Un ultimo giro di conferenze
in Romagna e nelle Marche, la sistemazione dei suoi numerosissimi
scritti, sono gli ultimi segni del suo lavoro. Si spegne a Porto
Ferraio, nellamatissima isola dElba, nel gennaio
del 1811.
Qui sono riprodotte, da un bellissimo romanzo di Angelo Toninelli,
le pagine che descrivono i suoi funerali, ultima grandiosa manifestazione
di affetto del popolo toscano a Pietro Gori. Sono pagine a mio
parere straordinarie, non solo per come riescono a riportare
nella loro esattezza storica i momenti delle esequie, ma perché
descrivono con una immediatezza quasi contemporanea
il grande attaccamento che le popolazioni elbane e della Versilia
portavano al loro paladino, a quella figura che ai loro occhi
aveva sempre rappresentato quanto di più caro, nobile
e solidale potesse esserci.
Massimo Ortalli
Per la felicità
di tutti gli uomini
di Pietro Gori
Amici e compagni miei.
Voi queste cose le avete pensate altre volte; oggi io che ho
vissuto molto tra voi e tra il popolo sempre, anche nelle città,
ho cercato di farvi meglio conoscere le ingiustizie della vostra
condizione; ma a voi, che avete forse sentite più di
me le strette del bisogno, e gli stenti di una travagliata esistenza,
queste idee saranno più duna volta venute in forma
più o meno chiara alla mente.
Ma voi siete anche qui venuti, e vi siete raccolti. Voi avete
anche compreso che solo lunione di tutte le forze vostre
può prepararvi un avvenire migliore.
Entrando qui, voi eravate già ribelli contro le ingiustizie
di questa società corrotta, voi avete avuto la speranza
e il desiderio di una esistenza migliore, voi entrando qui eravate
già degni di migliori destini, perché era in voi
la coscienza dei vostri diritti. Voi entrando qui eravate già
anarchici per sentimento. Voi nelle giornate lunghe, eterne
nel lavoro senza tregua e senza riposo, tra i geli dellinverno,
e sotto la sferza del sole di estate, o seduti innanzi alla
vostra tavola, dove è scarso il pane, e attorno alla
quale i figli mal vestiti tremano dal freddo, avete forse avuto
come in un sogno la visione di una grande, di una immensa famiglia,
composta di tutta la umanità vivente fraternamente in
un comune e reciproco amore, in una santa concordia; tutti eguali
nei diritti e nei doveri, tutti lavoratori attivi e fecondi,
a cui la fatica non fosse come ora insopportabile e dura, allietati
di un conforto, di un sano e largo nutrimento, di un riposo
ristoratore, di una qualche ricreazione dello spirito. Voi forse
lavete sognata ed avete un desiderio ed una speranza che
questo sogno diventi realtà.
E voi avete nel vostro cuore il patto solenne e il giuramento
che combatterete uniti per il conseguimento di questa grande
felicità di tutti gli uomini.
Ma se voi tutte queste cose avete pensato entrando qui dentro,
eravate già anarchici nel cuore e nel desiderio. Se voi
avete fermo nella mente il proposito che lo stato attuale delle
cose abbia in un modo o nellaltro termine; ed il vostro
ideale possa essere compiuto quanto più presto possibile;
e se anche avete compreso le poche cose, che stasera ho cercato
alla meglio di esporvi, voi fin da questo momento cominciate
a far parte della grande famiglia anarchica che cospira a rivendicare
i diritti di tutti gli oppressi contro le prepotenze di tutti
gli oppressori. - Ma se voi desiderate conoscere come questa
grande famiglia anarchica vive, e come pensa di raggiungere
il suo ideale, e qual debba essere la sua missione nelle nuovissime
battaglie del pensiero moderno, io vi dirò brevemente.
Se a tutte le angustie del presente sistema economico-sociale
voi vi sentite e vi dichiarate ribelli, voi siete anarchici,
perché avete la coscienza dei vostri diritti di uomini.
Voi siete anarchici perché volete distruggere questa
putredine delloggi per edificare la società umana
sotto una forma nuova e differente, sulle basi dellamore,
della fratellanza e della solidarietà.
Ecco perché voi siete, e vi chiamate anarchici.
Il grande partito anarchico internazionale, è come una
immensa famiglia composta dei lavoratori e degli oppressi di
tutto il mondo. Esso si prepara ad una grande battaglia e questa
sarà la più gloriosa, la più giusta, la
più santa battaglia dellavvenire; la rivoluzione
sociale, la battaglia finale di tutti gli oppressi contro gli
oppressori, di tutti gli sfruttati contro tutti gli sfruttatori.
La rivoluzione sociale sarà la rivendicazione di tutti
i diritti del popolo, sarà il gran giorno delluguaglianza
umana: la rivoluzione sociale spazzerà via come il soffio
potente di una immensa tempesta, tutti i privilegi e tutte le
ingiustizie del presente, tutte le barriere e tutti i confini
tra popolo e popolo. - Laria sarà purificata da
quella ultima lotta di tutto lavvenire contro tutto il
passato.
Cadranno le mostruose e decrepite istituzioni del presente,
e lorganismo della grande famiglia umana rifiorirà
spontaneamente, secondo le leggi immutabili della natura.
(...)
Il lavoro è dunque il primo elemento della vita sociale,
e attorno alla gloriosa bandiera del lavoro lumanità
affratellata si stenderà amorosamente la mano, allorquando
sotto lo scroscio formidabile della grande rivoluzione, sarà
caduta la proprietà individuale, e sarà subentrata
a questa la proprietà comune.
Colla proprietà individuale cadranno tutti i privilegi
di casta.
Avendo tutti gli uomini gli stessi diritti e gli stessi doveri
nelle relazioni reciproche, nessun lavoro sarà più
disprezzato di un altro, giacché tutti i lavori, anche
quelli considerati ora come i più abbietti, sono nobili,
perché sono utili alluomo, e tutti più o
meno necessari alla convivenza sociale. Il lavoro sarà
diviso fra gli uomini a seconda delle attitudini e della capacità
e dellingegno di ciascuno; nobile e rispettato del pari
il lavoro intellettuale, non meno faticoso di quello manuale,
del medico, dellingegnere, del meccanico, come il lavoro
materiale delloperaio e dellartigiano. Ognuno darà
lopera sua nella corporazione darte e di mestieri,
a cui appartiene, a seconda delle proprie forze; e le produzioni
dei diversi generi di lavoro, i raccolti della campagna, i prodotti
dellindustria e dellarte saranno custoditi nelle
varie località in depositi comuni, da cui ciascuno prenderà
quanto gli abbisogna per se e per la famiglia.
La formula del lavoro e del consumo si riassume nella massima:
Da ciascuno secondo le proprie forze, a ciascuno secondo
i propri bisogni.
Il lavoro essendo allora divenuto un dovere per tutti, ed essendo
moltissimi più i lavoratori, la produzione di tutti i
generi avrà un grandissimo aumento; tanto da essere più
che sufficiente ai bisogni di tutti, e la divisione del lavoro
tra un numero di persone assai maggiore di quelle che attualmente
devono produrre per tutti, risparmierà a ciaschedun lavoratore
parecchie ore di fatica.
Tutto quello che verrà accumulato nei magazzini e nei
depositi della comunità, prodotti della terra, tessuti,
manifatture, commestibili ed ogni oggetto infine necessario
alla vita, essendo il frutto del lavoro di tutti, dovrà
appartenere a tutti indistintamente.
Pietro Gori
Lungo
la strada ferrata
di Angelo Toninelli
Sulla Piazza del Mare, nelle strade del porticciolo i capannelli
si stringevano intorno a chi aveva un ricordo da raccontare
o riferiva, per sentito dire, episodi della sua vita, già
leggendari nella memoria: le arringhe alla pretura di Piombino
e di Portoferraio in difesa anche del più povero dei
diavoli, perché quando era nellisola non rifiutava
mai il suo aiuto ad un amico, ad un compagno, o a uno sconosciuto;
la sua casa sempre aperta, la sua modestia, perché era
un signore nei modi ma semplice nel cuore; e le piazze affollate
e vibranti al martellare del suo discorso, la gioia, lallegria,
la speranza che irradiava intorno a sé.
Alla stazione, e dalla stazione al porto, e per tutto il giorno
fu un continuo corteo di persone che volevano andare a Portoferraio,
gruppi di anarchici di tutta Italia, delegazioni delle Camere
del lavoro di tante città, con le bandiere strette in
un nodo di lutto. Molti che non riuscirono a trovare posto nellultimo
vaporetto si consolarono, sarebbero rimasti a salutarlo per
lultima volta il giorno dopo, quando Gori si sarebbe fermato
a Piombino, per poi raggiungere sua madre nella tomba di famiglia
a Rosignano Marittimo.
E il giorno dopo i bastioni, piazza Bovio, il porto, le strade
e le piazze che guardavano lisola erano gremite di folla,
quando nelle prime ore del pomeriggio la sagoma del piroscafo
Giglio sbucò dalla foschia. Il suono della sirena raggiunse
Piombino che nereggiava di dolore e la nave, scivolando al largo
della Rocchetta, virò per entrare nel porto.
La folla seguì in silenzio le manovre di attracco. Si
udivano solo lo stridore metallico della catena dellancora,
gli ordini del capitano e il gridio acuto dei gabbiani che volteggiavano
inquieti.
Si avvicinarono le barche per trasbordare i passeggeri: le mani
protese accolsero la bara che altre mani, quelle dei minatori
dellElba, porgevano dallalto; su unaltra barca
prese posto Bice, la sorella di Pietro, e il piccolo corteo
si mosse nello specchio dacqua.
La banda ora suonava meste melodie. Dietro la bara, portata
a spalle da otto operai, si mosse poi il fiume di corone di
fiori, tra due ali di gente, mani che lanciavano un rosso garofano,
mani che salutavano, mani che avrebbero voluto toccare appena
quel legno per imprimere meglio nella memoria il ricordo. Volti
di donne che potevano piangere senza vergognarsi, mentre gli
uomini si asciugavano frettolosamente gli occhi.
Il corteo entrò in città dalla Porta a mare, la
attraversò e sfociò in piazza Bovio.
Pasella, a nome della Camera del lavoro, pronunciò un
breve discorso, poi il sindaco, infine parlò Carlo, con
il volto disfatto e la voce che gli tremava.
Noi che gli siamo amici, disse, e che abbiamo
vissuto insieme a lui tante ore della nostra vita, e voi che
ormai lo consideravate un vostro paesano, costretto ad allontanarsi
spesso, ma legato profondamente alla nostra terra che ogni anno
lo vedeva ritornare, e che lo ha accolto in questi ultimi giorni
dolorosi, noi e voi non abbiamo bisogno di tante parole per
dire chi è Pietro Gori, per ricordarci di lui. Ma alcune
cose bisogna pur rammentarle, perché gli altri sappiano,
perché almeno di fronte alla morte la menzogna ceda alla
verità.
Hanno sempre diffamato gli anarchici, li hanno detti violenti
e assassini. Chi è stato più mite di Pietro, chi
più di lui ha rifuggito la violenza, chi più di
lui lha subita! Ai dotti che parlano di criminalità,
di degenerazione della razza, e ai servi ottusi che pretendono
di rappresentare la giustizia, Gori in tante opere ha sempre
detto: cercate nella triste realtà sociale le cause che
inducono al delitto, cercate nella miseria, nellignoranza
in cui le moltitudini sono costrette a vivere le radici della
violenza e della delinquenza, non limitatevi a giudicare con
le fredde leggi, esse sì criminali. Non tappatevi gli
occhi per non vedere. Luomo nella sua natura è
buono. E la società, questa società corrotta
di egoismi e di rapine, di soprusi e di ingiustizie lo spinge
allodio e gli mette in mano larma fratricida. Non
sono le nostre idee, la nostra parola di anarchici a farlo divenire
assassino, perché noi diciamo: cambiamo questa società,
creiamone una nuova, giusta, umana, libera, e luomo seguendo
la sua natura vivrà in pace. Questa era lanarchia
che Pietro sognava e predicava e per la quale tanto è
stato perseguitato e tanto ha sofferto.
Dicono che gli anarchici ripudiano la famiglia, che nel loro
cuore di malfattori non albergano affetti profondi. Chi più
di Pietro ha amato la madre, la sorella, lui che non aveva che
questo unico tormento, questo solo rimorso, di aver dato alla
madre più dolori che gioie, lui che ha lasciato, in poesie
tenere e dolci, la più delicata testimonianza di amore
filiale e fraterno.
Dicono che gli anarchici sono egoisti, pericolosi per la vita
civile, che rinnegano la patria. Chi come Pietro ha donato tutto
se stesso, i suoi beni, la sua vita, i suoi affetti, la sua
mente per lamore degli altri, per lumanità
intera. Si, è vero che gli anarchici non hanno patria
perché il mondo intero è la nostra patria, perché
tutti gli uomini sono nostri fratelli. E Pietro è stato
americano con gli americani, inglese con gli inglesi, francese
con i francesi. Non aveva patria perché aveva il mondo,
ma dal lontano esilio guardava anelante alla terra in cui era
nato, dove la famiglia e gli amici lo aspettavano con affetto,
devozione, ammirazione, riconoscenza.
Uomo mite, ma forte, semplice e umile con gli umili e i semplici,
ma fiero e orgoglioso combattente, tenace, mai ha piegato la
testa di fronte allingiustizia, mai ha dubitato, in un
attimo di debolezza o di sconforto, nella sua fede nelluomo
e nella libertà.
Per lui anarchia non ha mai significato sterile individualismo,
ma collaborazione tra uguali. Per tutti noi è stato un
maestro di vita, oltre che amico e fratello, un esempio di coerenza
e di sacrificio.
Addio, Pietro. Senza di te saremo più smarriti, senza
la tua guida faremo più fatica ad andare avanti, ma il
tuo ricordo e il tuo pensiero ci aiuteranno, come quando in
vita ci aiutavi con la tua parola, il tuo sorriso.
Accanto a Gigi, a pochi metri dalla bara ricoperta di bandiere
e di fiori, Vera piangeva sommessamente, e quando, avviandosi
tutti verso la stazione dove un carro merci era già pronto
per portarlo al paese di sua madre, risuonarono le note di Addio
Lugano, la sua voce si unì al canto di tutta la piazza:
... gli anarchici van via, e partono cantando con la speranza
in cor.... Addio Gori, ti ho voluto bene,
disse un vecchio avvicinandosi a salutare lamico.
Il treno si mise in movimento alle quindici e trenta.
Lungo la strada ferrata, davanti ai passaggi a livello, tra
i solchi dei campi, sul limitare delle case, la gente lo vide
passare, gli uomini si tolsero il cappello, le donne si fecero
il segno della croce. A Campiglia, a Follonica, a San Vincenzo,
a Bolgheri, a Cecina, in tutte le stazioni dove sostò,
lo attendeva da ore una moltitudine giunta dalle campagne e
dai paesi vicini. il tetto dellultimo vagone dove viaggiava
Gori si ricopriva ogni volta di garofani e di crisantemi, che
cadendo mano a mano che il treno si allontanava lasciavano lungo
i binari una scia rossa come di sangue. Alle prime ombre azzurre
della sera ecco lultima tappa, Castiglioncello, e qui
unaltra folla immensa, dopo le parole accorate del sindaco,
si avviò lungo i sette chilometri di strada che, tra
colline verdi di ulivi e di pini, si inerpicava tortuosa verso
Rosignano. Nellaria andavano le parole dellinno
del Primo maggio: Date fiori ai ribelli caduti/ collo
sguardo rivolto allaurora/ al gagliardo che lotta e lavora/
al veggente poeta che muor....
Rosignano, sulla collina in faccia al mare, con le bianche case
e il castello rossiccio, si stagliava contro un cielo livido
nellultima luce del giorno. Il mattino dopo, appena fuori
del paese, al di là del cancello di ferro del piccolo
camposanto, nella cappella di famiglia lo attendeva la madre,
morta nel novembre del 1903.
Chi in quei giorni non ebbe un moto di commozione invidiò
in cuor suo laffetto e lamore che stringevano tanta
gente intorno a quella bara e si sentì alla fine meschino
nella sua diversità. Lo stato, che lo aveva perseguitato
in vita come il peggiore dei malfattori, non sentì il
pudore di ritirarsi in disparte, di rispettare il dolore, di
chiudere il suo occhio indagatore e allontanare la sua mano
armata. Il paese e le strade intorno furono vigilati da centinaia
di gendarmi in tenuta di guerra. Siete stati crudelmente
cinici nella morte come foste persecutori spietati in vita,
protestò Bice Gori in una lettera aperta al capo del
governo Luzzatti.
Angelo Toninelli
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