San Benedetto del Tronto - Dal settimo festival Ferré
Ai lettori della stampa libertaria non sarà sfuggito come da qualche
anno verso giugno/luglio appaiano resoconti e articoli che parlano
di un festival particolare con un suo santo protettore (S. Benedetto
del Tronto), ma che ha ben poco altro di comune con le kermesses
di musica gastronomica cui tutti abbiamo con il
benemerito ausilio di mamma RAI, e zia MEDIASET la possibilità
di accedere (San Remo, S.Vincent...). Per questo festival invece
non ci sono dirette, né differite, forse
perché ciò che vi viene cantato è in genere
molto diretto e assolutamente differente.
...E non potrebbe essere altrimenti, visto che il festival è
nato e persiste per perpetuare l'incendiaria memoria del Cantore
dell'immaginario (come titolava un libro bellissimo a lui
dedicato dall'editrice Elèuthera) Léo Ferré.
Bene, siccome se non ci ammazzano torniamo, anche quest'anno
l'1 e 2 giugno si è svolto a S.Benedetto il VII festival
Ferré.
L'anno scorso un articolo su queste stesse pagine ricostruiva
la storia dei primi sei festival, quindi non starò a
tediarvi ripetendola, basti sapere che alcune leggende viventi
della canzone d'oltralpe (Juliette Greco, George Moustaki...),
o internazionale (un nome per tutti: Paco Ibanez) non hanno
avuto nessun timore di venire a portare il loro omaggio all'immenso
poeta monegasco, benchè da sempre esplicitamente assunto
come cantante simbolo dell'anarchia (tengo a precisare che Léo
era troppo anarchico per fare il portabandiera di chicchessia,
ma la sua mai deposta intransigenza verso qualsiasi
potere lo pone, aldilà di ogni dichiarazione di fede,
da un certo preciso lato della barricata), non so quanti
colleghi italiani di quella notorietà e levatura farebbero
lo stesso.
Quest'anno l'ospite d'onore è stato Jean Ferrat, vero
grande vecchio della canzone impegnata e poetica francese, autore
di uno splendido canto sulla deportazione ("Nuit e Brouillard":
erano venti e cento/ erano migliaia/ nudi, magri e tremanti/
nei vagoni blindati/ che straziavano la notte/ con le unghie
battenti...) maturata dalla personale esperienza di un padre
morto ad Auschwitz, ma anche di grandi canzoni d'amore, e appassionate
versioni cantate delle poesie di Aragon. A dire il vero, Ferrat,
che nella prima parte della sua carriera era piuttosto inquadrato
in una fastidiosa ortodossia marxista/P.C.F., non si era salvato
dalle bordate del nostro Léo, che intervistato al suo
proposito aveva detto "Si sente che è un buon musicista...ma,
che noia questi cantanti impegnati!"; in seguito redentosi
con una bella canzone che prendeva le distanze dallo stalinismo
senza per questo consegnarsi al mercato ("Le Bilan":
E' tutt'altro avvenire che bisogna reinventare/ senza idoli
o modelli, passo a passo, umilmente/ senza verità tracciate,
senza domani prestabiliti/ .../ un avvenire che nasca da un
po' meno di sofferenza/ .../ un avvenire radicato nella nostra
vigilanza/ verso tutti i poteri della terra e del cielo./ In
nome dell'ideale che ci faceva combattere /e che ci spinge ancora
a batterci oggi.) è rimasto un punto di riferimento
per una canzone che sappia anche essere rovello personale e
politico oltre che evasione (parola nobile quando la prigione
è la società). Ferrat non canta più dal
vivo da un pezzo, ma la sua presenza e le sue parole hanno saputo
suscitare più di qualche brivido, inoltre era degnamente
rappresentato da Isabelle Aubret, che da quarant'anni è
ottima interprete delle sue opere, e che ha concluso il festival
con un gran concerto infarcito di bei e importanti versi d'amore
e di rivolta.
Facendo un passo indietro: le danze sono state aperte
da Lucio Matricardi, sommo pianista e sensibile interprete,
con un omaggio al decano dei cantautori francesi Charles Trenet,
scomparso proprio questo febbraio; Lucio, che abbiamo potuto
già ammirare negli spazi sociali milanesi (Torricelli,
SGA...), diventa sempre più bravo e maturo e dimostra
di muoversi benissimo anche al di fuori del repertorio di solo
Ferré in cui finora l'avevamo sentito.
Sorvolando sulle non esaltanti prestazioni di un minimale Benjamin
Legrand, e del sopranino Rossella Marcantonio (che però
ha riscosso un ottimo successo) carica di prosopopea lirica,
ma sostanzialmente monotona, e per cui il francese sembra un
mistero impenetrabile, segnalando gli interessanti adattamenti
italiani di Francesco Tranquilli, anche se penalizzati da un'interpretazione
un po' funebre, e le sobrie ma efficacissime versioni di Enzo
Nardi, ottime sia come atmosfera musicale sia per la perfetta
dizione del bel timbro profondo, ritengo che la rivelazione
della prima serata sia stata Gilles Droulez, egregiamente accompagnato
dal pianista Boumendil, attore che porta in scena con eccezionale
carica drammatica la difficilissima Stagione all'inferno
di Rimbaud musicata da Léo, con intonazione e perfetta
coscienza dei tempi teatrali, un vero carisma magnetico che
ha offerto una sana, tellurica scossa di poesia antisociale.
La ciliegina sulla torta è come sempre il gran visionario
Mauro Macario, il dog soldiers dei presentatori, che
ha inanellato le due serate con letture da manuale di alcuni
testi di Léo, restituendo appieno la varietà di
registri di quest'ultimo, dall'apocalittica Requiem alla
friabile Paname: come dire che solo un poeta può
leggere un poeta, e restituirne la musica anche solo parlando.
Ultima menzione per i Tetes de Bois e soprattutto per il loro
cantante Andrea Satta: gruppo dalle profonde radici jazz, con
all'attivo già dieci anni di lavoro duro, spesso giustamente
premiato dalla critica, ha saputo mescolare l'acqua e l'olio
del rispetto delle melodie originali, con una sfrenata inventiva
armonica e ritmica, distillando versioni completamente nuove,
ma sostanzialmente già classiche del repertorio
di Ferré; i Tetes de Bois sono musicisti abbastanza grandi
da sapere che né da una piatta aderenza all'originale
né da un retorico gusto della stravaganza si può
tirar fuori qualcosa di buono, e così applicano la loro
sapienza, il loro gusto e la loro cultura musicale e politica
a canzoni che, piene di fuoco come sono, non aspettano di meglio
che esecutori di grande personalità: il risultato è
meraviglioso. Aspettiamo a questo punto il cd "tutto Ferré"
che ci hanno promesso a breve.
"Non son l'uno per cento ma credetemi esistono..."
diceva Léo degli anarchici: per fortuna che quando si
incontrano riescono a riconoscersi!
Alessio Lega
Ricordando Alfredo Errandonea
Ieri correggendo le ultime bozze della biografia di Luce, ricordavamo incontri
e abbandoni, il nascere delle speranze e l'inevitabile dolore
per la perdita delle conquiste e dei compagni.
E abbiamo constatato che la morte arriva quasi sempre con l'esaurirsi
della speranza e della creatività, indebolite dalla pressione
crescente delle forze negative, quelle che negano la vita.
Oggi Alfredo Errandonea si è spento in silenzio, arrivando
alla fine del suo cammino di lotta e di conquiste. Non potevamo
non ricordarlo come sempre lucido e combattivo, difendendo al
meglio di sé idee e proposte, sfidando la morte in ogni
ambito.
"Anche se mi hanno dato da uno a cinque anni di vita, io
voglio vivere altri vent'anni"- affermava in uno dei messaggi
che ci ha mandato, forse come l'ultima delle rivendicazioni.
Il suo corpo, che aveva resistito a infinite situazioni di violenza
repressiva, davanti a questa ultima richiesta è rimasto
sordo.
Ma siamo rimasti noi, come un unico grande corpo di solidarietà,
di sentimenti ed idee, per mantenere il desiderio di una vita
libertaria, resa possibile grazie allo sforzo, all'allegria
e alla passione di tutti.
Ci rimane anche questo sapore amaro per le sconfitte e i fallimenti,
che comunque sono motivo per rinnovare quel desiderio di libertà,
di solidarietà e di autonomia, valori vivi ben aldilà
dei limiti in cui è possibile realizzarli.
Alfredo Errandonea era nato nel 1935. A vent'anni prende
parte alle importanti lotte studentesche dell'epoca, ricoprendo
più tardi la carica di segretario generale della Federazione
Studentesca Universitaria dell'Uruguay. Allo stesso tempo è
militante particolarmente convinto ed impegnato nel movimento
anarchico e fa parte della Federazione Anarchica Uruguayana
dalla sua fondazione nel 1955 fino al suo autoscioglimento nel
1963.
Apprezzato sociologo, si è distinto come docente e come
ricercatore ricoprendo la carica di Direttore del Dipartimento
di Sociologia della Facoltà di Scienze Sociali dell'Università
della Repubblica (dell'Uruguay). E' stato docente e ricercatore
anche presso l'Istituto Gino Germani dell'Università
di Buenos Aires. E' autore di numerosi libri, tra i quali La
sociología de la dominación. Ultimamente partecipava
alla Rete di Cultura Libertaria, creata recentemente da diversi
compagni anarchici e simpatizzanti.
Comunidad del Sur
(Montevideo)
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