Ho molto apprezzato larticolo
di Lorenzo Guadagnucci Laltro lato di Porto Alegre
apparso su A n. 3 dellaprile 2002. Lho
apprezzato soprattutto per lo spirito del quale era pervaso:
uno spirito di profonda condivisione di quanto il Movimento
ha espresso in termini di apertura progettuale per la costruzione
di un mondo nuovo, di opposizione alla guerra e di ripulsa del
sistema neoliberista, del quale si sarebbe sottolineata lincapacità
di affrontare i problemi della miseria, del degrado ambientale
e via dicendo. A me pare, però, che larticolo fosse
percorso anche da un sottile, ma evidente, senso di disagio,
come se, alla fine, i conti dellappuntamento di Porto
Alegre tornassero solo parzialmente. In sostanza Guadagnucci
descrive una moltitudine composita e allegra, che proclama messaggi
diversi ma convergenti su alcuni punti nodali che sono sostanzialmente
quelli tradizionali dei raduni antiglobal. Però ad un
tratto sospende il discorso e si chiede cosa ci stessero a fare
tanti parlamentari, anche se prima aveva commentato positivamente
lintervento del ministro francese del commercio estero
François Houwert, (in Brasile lo scorso anno, mentre
i suoi omologhi erano riuniti a Davos), il quale aveva detto
che Dopo Seattle non è più possibile ignorare
lopinione pubblica, ecc. ecc. Cosa ci stavano a
fare tanti parlamentari e delegati presidenziali? È del
tutto evidente che erano andati a Porto Alegre perché
le istituzioni statali riuscissero ad agganciare il movimento,
indirizzandolo verso una contestazione riformista del tutto
compatibile con lesistente. E lallargamento del
consenso è funzionale a questo scopo, anzi è indispensabile
per consolidare le basi delle così dette democrazie realizzate.
Dice poi Guadagnucci che il Movimento non ha espresso un documento
finale. Forse, dal punto di vista formale, quello che afferma
Guadagnucci è vero. Ma è altrettanto vero che
è circolata in tutto il mondo una mozione finale che
tutto sommato ricalca il progetto riformista, direi vetero-
riformista. Il documento porta lintestazione: Porto
Alegre II Appelle des mouvements sociaux Resistance
au néolibéralisme, a la guerre et au militarisme:
pour la paix e la justice sociale. Segue un cahier
des doléances lungo sedici punti (tutto giusto,
per carità), al termine del quale si formulano i seguenti
propositi di lotta (che traduco dal francese):
Noi lottiamo:
per il diritto dei popoli a conoscere e criticare le
decisioni dei loro governanti, particolarmente per ciò
che concerne la politica in seno alle istituzioni internazionali.
I governanti sono responsabili davanti ai loro popoli. È
per questo che noi lottiamo per laffermazione di una democrazia
elettorale e partecipativa nel mondo. Noi insistiamo sulla necessità
di democratizzare gli Stati e le società, di lottare
contro le dittature;
per la cancellazione dei debiti esteri e delle riparazioni;
per contrastare le attività speculative: noi auspichiamo
la creazione di tasse specifiche, quali la Tobin tax e labolizione
dei paradisi fiscali;
per il diritto allinformazione;
per i diritti delle donne, contro la povertà e
lo sfruttamento;
per la pace noi affermiamo il diritto dei popoli alla
mediazione internazionale con la partecipazione di protagonisti
della società civile indipendenti. Contro la guerra e
il militarismo, contro le basi e gli interventi stranieri, e
il sistematico ricorso alla violenza, noi privilegiamo il dialogo,
il negoziato e la soluzione non violenta dei conflitti;
per il diritto dei giovani allistruzione pubblica
gratuita....e per labolizione della leva obbligatoria;
per lautodeterminazione dei popoli e particolarmente
dei popoli indigeni.
Ho riportato integralmente il testo per evitare equivoci o malevoli
sospetti.
I veri nodi della questione
Come è facile notare, quando non si tratta di richiami
agli stati perché facciano meglio il loro mestiere, un
richiamo che, in Italia, sarebbe sottoscritto dallintero
arco costituzionale, da Bertinotti a Fini, per il resto si evidenziano
gli effetti perversi e non le cause che li producono.
Le guerre, lingerenza sistematica dei potenti nelle questioni
interne dei popoli, la violenza sistematica, sono le conseguenze
di un assetto mondiale che vede gli stati più potenti
dell Occidente prevaricare la libertà e lautonomia
dei popoli, e poco importa se questi stati hanno quella che
impropriamente chiamiamo legittimità democratica. Bush,
Sharon sono stati democraticamente eletti, esattamente come
Benito Mussolini e Adolf Hitler; lo stesso Berlusconi, in Italia,
è emerso dalla maleodorante nebulosa dei suoi intrallazzi
sotterranei in virtù di un consenso elettorale tuttaltro
che irrilevante, ma ciò non ha evitato che tutti, chi
più chi meno, avessero creato, e alcuni creano ancora,
guai a non finire allintera umanità. Nel documento
di Porto Alegre, quindi, non si affrontano (sembra quasi che
non si sospettino neppure) i veri nodi della questione.
Non voglio apparirvi un inguaribile nostalgico, ma la spinta
rivoluzionaria che si manifestò allinizio del Sessantotto
appare anni luce in avanti rispetto a queste timide rivendicazioni.
Anche quella, a suo modo e per quei tempi, fu globale (investì
lEuropa ma anche lAmerica) e, nelle sue istanze
più avanzate, si guardava bene dallappellarsi ai
governi, anzi, riteneva che i governi stessi fossero allorigine
di tutti i mali che si evidenziavano.
Mentre qualcuno, non si sa chi, scriveva le perle che ho qui
riprodotte, il popolo di Porto Alegre, vivace e coloratissimo,
sciamava per le strade o si trasformava in un laboratorio per
proporre dice Guadagnucci il più ambizioso
dei progetti: immaginare un altro mondo, cominciando a
costruire un sistema economico e sociale che prescinda dal liberismo.
Bene, di questo ambizioso progetto non mi pare ci sia traccia
nel documento finale che ho riprodotto.
Il rilievo è importante, perché io sono fortemente
convinto che una gran parte dei partecipanti ai sei giorni di
Porto Alegre si sia mossa per rivendicare il diritto ad un mondo
diverso dallattuale; che sia in atto un grande sforzo
per immaginare sistemi associativi che precludano la strada
allo sfruttamento, alla guerra e al dominio delluomo sulluomo.
Sono convinto altresì che ci fosse, palpabile, la coscienza
di quanto sia difficile prospettare immediatamente formule credibili
per modelli di sviluppo alternativi al neoliberismo
Tutto questo, più che comprensibile, è lapalissiano.
Ma allora, perché invece di porre problemi, di manifestare
esplicitamente la necessità di rimeditare a fondo le
ipotesi di intervento nei vari paesi, di sollecitare ai Forum
locali analisi dei loro contesti e promuovere confronti, si
lascia che alcuni sconosciuti deturpino limmagine di questa
forza creativa che è il movimento antiglobal, formulando
ipotesi di intervento risibili perché generiche e vetero-riformiste?
Questa genericità è tanto più perniciosa
in quanto qualcosa di comune e di concreto si può già
fare. Si può rilanciare il boicottaggio delle merci prodotte
con lo sfruttamento del lavoro minorile o ignobilmente sottopagato;
si possono avviare campagne capillari contro i cibi nocivi o
transgenici e in difesa delle produzioni locali. Qualcosa in
questo senso è già stata fatta: penso alle campagne
contro la Nike e la Nestlè, ma furono interventi episodici,
i cui effetti vennero facilmente assorbiti da queste multinazionali.
Bisogna, soprattutto che il Movimento perda quella sorta di
volatilità che lo rende evanescente tra un raduno e laltro.
Occorre che si ancori al territorio, e anche in questo senso
bisogna rimeditare le forme di intervento. I Forum locali e
le forze antagoniste è giusto che si spendano in difesa
delle parti più deboli delle popolazioni (loccupazione
delle case, la difesa dei diritti dei lavoratori precari, la
salvaguardia degli immigrati, ecc.), ma è anche necessario
che accedano, con la forza delle loro idee e senza snaturare
la loro identità, nei luoghi dove si forma il consenso,
senza cedere a quella visione classista della società
che, per troppo tempo, ha selezionato i nostri interlocutori,
distinguendoli in base a una presunta maggiore o minore propensione
rivoluzionaria.
È certamente bellissimo che a Porto Alegre sia convenuta
una moltitudine di persone che ha voltato le spalle alle intransigenze
ideologiche e che cerca, senza eccessivi pregiudizi, strade
nuove per il governo delle molteplici realtà del pianeta,
salvaguardando i diritti di tutti alla sola condizione che non
si rivendichino per insidiare la sopravvivenza e la libertà
degli altri. Ma deve essere chiaro a tutti che la via da percorrere
per raggiungere questi obiettivi attraversa paesaggi inquinati
dalle forme realizzate delle vecchie ideologie. E non è
possibile saltare lostacolo passando una mano di vernice
su strutture che sono state gli strumenti operativi delle ideologie
contestate.
Onda lunga reazionaria
Questultima parte del mio discorso che, naturalmente,
si può condividere o meno a me pare assuma rilevanza
a seguito degli eventi elettorali che stanno certamente cambiando
lEuropa.
Del declino della Francia riformista di Jospin sono piene le
pagine di questi giorni, anche perché ormai è
palpabile la svolta reazionaria, xenofoba e autoritaria che
investe, oltre la Francia, la Germania, dove gli esiti delle
elezioni regionali in Sassonia prefigurano lo scenario probabile
di un ritorno della CDU alla guida del paese dopo le elezioni
generali del settembre prossimo. Se a questi nuovi tasselli
di una destra montante si aggiungono quelli già esistenti
di Italia, Spagna, Portogallo, Olanda, Danimarca e parti consistenti
del Regno Unito, si avrà un quadro abbastanza chiaro
di ciò che ci attende a breve termine.
Adesso, è difficile stabilire quanto possa essere lunga
questonda reazionaria. Ciò che è certo è
che non si può essere indifferenti a tale svolta, nel
senso che un recupero di un clima politico adeguato al livello
dei problemi reali che incombono sullumanità passa
certamente e preliminarmente per la sconfitta delle spinte reazionarie
e autoritarie che sembrano attualmente prevalere nel nostro
Continente.
Se questo è vero, bisogna allora che, direttamente o
indirettamente, si contribuisca a questo recupero. Del resto,
tra le molte anime del Movimento, ve ne sono alcune che non
hanno ripudiato affatto la lotta politica intesa in senso proprio,
di competizione, cioè, per la cattura del consenso elettorale,
pur con listanza pressante di cambiarne profondamente
le regole.
Anche in questottica, quindi, un ritorno al territorio,
una maggiore disponibilità ad assumere come non irrilevanti
le specificità locali, acquistano senso politico e valenza
strategica.
Certe cose io credo bisogna dirle con chiarezza perché
costituiscano viatico per un viaggio certamente difficile, ma
che deve essere il più possibile privo di ambiguità.
Antonio Cardella
|