Da quando esiste Naga-Har ?
Il centro Naga-Har per Richiedenti asilo-Rifugiati-Vittime
della tortura è nato ufficialmente nel febbraio 2001.
Che tipo di servizio svolge il Naga-Har per i richiedenti
asilo?
Una funzione importante dellHar è la consulenza
legale ai rifugiati e ai richiedenti asilo, la redazione della
documentazione medica per la certificazione delle torture subite,
che servirà loro quando si presenteranno alla Commissione
di Roma. Comunque lobiettivo principale del nostro centro
è la realizzazione di un luogo dove stare, un posto fisico
dal quale ripartire e incontrare altre persone. Se tieni conto
anche che molti rifugiati non hanno casa o alloggiano presso
dormitori nei quali di giorno non si può sostare, qui
possono almeno stare al caldo e in compagnia, bere un caffè,
fare due chiacchiere, navigare in internet... durante la bella
stagione organizziamo tornei di calcio, gite fuori porta, qualche
festa. Abbiamo optato per un approccio assolutamente non medicalizzante,
non viene fatta fisioterapia né psicoterapia, abbiamo
voluto realizzare un centro che da un lato costituisse un tessuto,
un luogo fisico di appoggio e di incontro e dallaltro
si facesse carico di una funzione di denuncia; questo perché
se ti occupi solo del versante medico finisci per studiare il
caso.
Che differenza cè fra un rifugiato ed un richiedente
asilo?
Il rifugiato è una persona che per un fondato
timore di persecuzione, per motivi di razza, religione, cittadinanza
appartenenza ad un determinato gruppo sociale, od opinione politica
si trova fuori del paese in cui ha la cittadinanza e non può
oppure, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione
di tale paese.
Un richiedente asilo è la persona che fa richiesta per
ottenere lo status di rifugiato e che deve sottostare a tutta
una serie di pratiche.
La maggioranza dei richiedenti asilo che vengono da noi al Naga-Har
hanno subito torture.
Avevate già avuto esperienze con i rifugiati?
Dal 1987 come Naga. Bisogna ricordare che in quegli anni lItalia
era priva di una legge organica sui rifugiati e richiedenti
asilo, quindi non riconosceva ancora lo status di rifugiato.
Nel 1989 con la legge Martelli lItalia diventa un paese
in cui è possibile presentare richiesta dasilo.
Le persone che abbiamo incontrato a partire dal 1987 in genere
erano di passaggio, la loro meta erano altri stati dove richiedere
asilo.
Questo corrisponde allimmagine consueta dellItalia
come paese interessato solo dal transito dei migranti verso
altri paesi...
Alla luce della nostra esperienza oggi possiamo dire che lItalia
era un paese di passaggio. Ad esempio se prendiamo in
considerazione i dati italiani e quelli tedeschi notiamo unenorme
disparità, nonostante negli anni le richieste dasilo
siano aumentate anche in Italia. Il motivo di questa differenza
dipende soprattutto dalle sanatorie che si sono avute nel nostro
paese: di fronte alla possibilità di scegliere fra la
possibilità di diventare immigrato grazie alla sanatoria
a casa o la richiesta dasilo, il potenziale rifugiato
tendeva ad utilizzare la prima e non la seconda. Questo per
una serie di motivi: innanzitutto per la possibilità
di rientro nel proprio paese, infatti se viene riconosciuto
lo status di rifugiato è impossibile fare ritorno nel
paese dorigine, mentre con il permesso di soggiorno per
lavoro questo è sempre fattibile.
La situazione italiana comincia ad allinearsi a quella europea
solo a partire dal 1999 quando non vengono più riconosciute
possibilità di sanatoria, per cui chi intende chiedere
asilo deve riferirsi alla procedura apposita, così accade
qualcosa di insolito: mentre i dati europei cominciano ad assestarsi
su livelli costanti, quelli italiani cominciano a crescere.
A questo proposito i dati italiani sono estremamente allarmanti,
prendiamo ad esempio lanno 1999: su 33.000 domande di
richiesta dasilo, ne vengono esaminate 8.000, quindi abbiamo
perso 25.000 persone. Tra quelle esaminate 800 sono state accolte.
Una volta inoltrata la richiesta di asilo politico cosa
accade?
Dopo la presentazione della domanda il richiedente asilo verrà
invitato a presentarsi nuovamente in questura con la documentazione
relativa alla propria storia (che deve quindi essere raccontata
e redatta per essere presentata), nel frattempo otterrà
un permesso di soggiorno temporaneo (quindi entra nellalveo
della legalità) valido fino al riconoscimento dello status
di rifugiato. Dopodiché passano parecchi mesi fino al
momento in cui il richiedente asilo non viene convocato a Roma,
presso la commissione incaricata di riconoscere e concedere
lo status di rifugiato. Durante tutto questo percorso non viene
riconosciuta alcuna tutela, se non quella sanitaria, che siamo
riusciti ad inserire nella legge attuale; altri diritti non
sono riconosciuti, se non una minima somma di denaro per 45
giorni, il richiedente asilo non può nemmeno lavorare.
Può capitare che...
Da chi è costituita la commissione esaminatrice?
È composta da un responsabile del ministero degli esteri,
uno del ministero degli interni, un responsabile del consiglio
dei ministri, come consulente cè anche un responsabile
dellACNHUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per
i rifugiati). Una volta ascoltata la storia del rifugiato la
commissione ha tre possibilità: il conferimento di un
permesso umanitario, che si differenzia dallo status di rifugiato
in quanto temporaneo, il riconoscimento dello status di rifugiato,
oppure il rigetto della domanda, in questultimo caso si
aprono altre due possibilità, lespulsione o la
possibilità di fare ricorso.
Nel caso invece in cui sia riconosciuto lo status di rifugiato
vengono riconosciuti anche una serie di diritti: innanzitutto
il permesso di soggiorno illimitato, laccesso allassistenza
sanitaria, la richiesta di ricongiungimento familiare, la possibilità
di richiedere contributi economici, la possibilità di
lavorare.
Il permesso umanitario è temporaneo e legato al persistere
delle condizioni che hanno costretto il richiedente asilo alla
fuga, ad esempio la guerra, nel momento in cui una guerra finisce,
il permesso scade e segue lespulsione; in questultimo
caso non si tiene conto del fatto che chi rientra nel proprio
paese non troverà nulla.
Entro il 31/12/2002 listituto del permesso umanitario
verrà unificato in tutta Europa, in modo da uniformare
i criteri dei vari paesi, sia nel conferimento che nel riconoscimento
di diritti che questo istituto comporta; mentre per quanto riguarda
il riconoscimento dello status di rifugiato permane una grande
disparità tra i vari paesi europei.
Come opera la commissione ministeriale che supervisiona
le domande dei richiedenti asilo?
I dati in nostro possesso per lItalia sono riferiti al
2000 (del 2001 abbiamo solo il numero delle domande: 9.000).
Nel 2000 su 24.000 domande inoltrate, 22.000 sono state respinte
e solo 2.000 sono state riconosciute. Se guardiamo la situazione
dei richiedenti asilo suddivisi per paese di provenienza la
situazione appare ancora più drammatica: delle 12.000
domande provenienti dalla ex Yugoslavia, solo 500 sono state
riconosciute; delle 3.200 provenienti dalla Turchia (e sono
in prevalenza curdi), solo 200 sono state accettate. La media
è comunque in linea con quella europea, attorno al 5-6%
di domande accettate.
Di solito la commissione spiega caso per caso i motivi del respingimento
della domanda, le motivazioni più ricorrenti sono la
non veridicità della testimonianza riportata o la non
sussistenza di fondati motivi per la concessione dellasilo
politico; soprattutto in questultimo caso si pensa che
per il richiedente asilo sia sufficiente cambiare città
per sottrarsi alla persecuzione.
È naturalmente un discorso molto restrittivo, anche perché
non tiene conto della situazione politica generale di una nazione,
ma si pensa solo alla dimensione locale.
Per chiarire... cosa succede alla frontiera quando giungono
dei potenziali richiedenti asilo?
Ad esempio moltissimi sono curdi, una volta arrivati alla frontiera
fanno richiesta dasilo ma non si fermano in Italia perché
desiderano spostarsi in Germania o in altri paesi.
In ogni caso alla frontiera la domanda per richiesta dasilo
può essere accettata o respinta immediatamente sul posto
dalla questura, naturalmente in questa fase sorgono tantissimi
problemi; può capitare che un poliziotto non abbia la
minima intenzione di accettare in frontiera i migranti e respinga
immediatamente queste persone che non sanno nemmeno di poter
accedere alla domanda per richiesta dasilo. Analogamente
le associazioni che si trovano a lavorare con i richiedenti
asilo, i rifugiati o i migranti in generale non possono intervenire
perché sono alloscuro di tutto, come fanno le associazioni
a sapere... che so... che allaeroporto di Malpensa la
polizia nel giorno x ha respinto un certo numero di immigrati
senza permettere loro di inoltrare la domanda di asilo?
Possiamo venire a saperlo se ci sono una serie di condizioni:
innanzitutto i migranti devono sapere di avere diritto allinoltro
della domanda di richiesta dasilo, in secondo luogo, se
la domanda viene respinta o non viene nemmeno presa in considerazione,
i migranti devono avere già un contatto in Italia cui
affidarsi per segnalare questo fatto, però per farlo
devono parlare litaliano... è ovvio che queste
caratteristiche si verificano solo in un numero ristrettissimo
di persone.
Per questo è importante che alle frontiere ci siano delle
associazioni o delle istituzioni che forniscano supporto o valutino
adeguatamente il diritto e i requisiti di queste persone per
accedere alla richiesta di domanda dasilo.
In genere come si comporta un potenziale richiedente asilo
quando arriva in Italia? Chiede aiuto alla comunità di
appartenenza? A chi si rivolge?
Qui bisogna fare una serie di distinzioni fondamentali tra
migranti e rifugiati. Innanzitutto il rifugiato non ha un progetto
migratorio che vada oltre la mera necessità di salvarsi.
Ad esempio il primo rifugiato di cui ci occupammo nel 1987 era
scappato precipitosamente da casa di notte senza avvisare la
moglie (cosa che poi gli è costata la separazione), lintenzione
di fuggire già stava prendendo forma ma questa persona
ha saputo nel pomeriggio che i suoi persecutori lo stavano cercando
ed è scappato la notte stessa. Chiaramente la situazione
del migrante è diversa, innanzitutto perché cè
la pianificazione del viaggio, della data dello stesso, dei
mezzi, cè la scelta del paese in cui trasferirsi.
Situazioni paradossali
A proposito delle differenze tra immigrati e rifugiati,
di solito per i primi il progetto migratorio è legato
ad una prospettiva di miglioramento delle condizioni di vita,
possiamo dire lo stesso per il caso dei rifugiati?
In questo caso la differenza tra immigrato e rifugiato è
rilevante: tra i rifugiati il tasso di scolarizzazione è
altissimo, sono quasi sempre persone che nel paese di origine
avevano una posizione e che da un giorno allaltro hanno
perso tutto. Da professore universitario, come è accaduto
per un richiedente asilo del quale ci siamo occupati, ci si
ritrova a fare il barbone in Italia. Chiaramente gli ostacoli
e le difficoltà che questa persone incontrerà
saranno diversi da quelli dellimmigrato che parte con
lintenzione di migliorare le proprie condizioni di vita
e magari nei primi tempi è disposto a rimboccarsi le
maniche svolgendo lavori faticosi e mal pagati. Nel caso di
un professore universitario, ad esempio, la situazione è
più difficile: non solo deve cominciare tutto da capo,
ma parte da una condizione alla quale non è abituato
e che per lui è del tutto inattesa, se aggiungi a tutto
questo che è stato torturato... la depressione è
inevitabile e accompagna tutto il suo percorso fin dai primi
giorni. Sembrerebbe paradossale ma la depressione aumenta proprio
nel momento in cui viene riconosciuto lo status di rifugiato,
quando lobiettivo è stato raggiunto si assiste
ad un crollo totale; nella fase che precede il riconoscimento
oltre alla depressione vi è uno stato di tensione, di
angoscia... ma quando viene sancito lo status di rifugiato politico
lindividuo crolla perché una fase della sua vita
si è conclusa, è come se un cancello si chiudesse
alle sue spalle definitivamente, aprendo una nuova fase di incertezza:
cosa faccio adesso?
Nel caso del migrante un ruolo molto importante lo gioca
anche la comunità di appartenenza, che spesso fornisce
appoggio nei primi giorni, si occupa di trovare un lavoro o
un alloggio...
Limmigrato può far riferimento alla catena migratoria
non solo nei primi periodi ma anche in seguito perché
mantiene un legame molto forte con i suoi connazionali in Italia
(basti pensare alla comunità senegalese o marocchina)
dovuto al fatto che alcuni nuclei consistenti di migranti provengono
dalla stessa regione o dallo stesso paese. Per il rifugiato
la situazione è completamente differente, non può
fare affidamento su nessuno, anzi i connazionali rappresentano
spesso per lui un elemento di rischio e di pericolo, spesso
non appartengono alla sua stessa parte politica, potrebbero
denunciarlo o segnalarlo. Queste persone sono dunque isolate
e per noi è anche difficile individuarle.
Nascono anche delle situazioni paradossali come quella di un
rifugiato che è riuscito a scappare dal proprio paese
con il passaporto di un suo amico e, una volta arrivato in Italia,
è stato registrato con lidentità del proprietario
del documento. Dopo aver rispedito il passaporto allamico,
ha inoltrato le pratiche per ottenere lo status di rifugiato
e tutta la faccenda è saltata fuori, con le inevitabili
complicazioni burocratiche in questura. È chiaro che
tutto questo ha generato una situazione di stress spropositata,
alla quale si aggiunge anche il terrore di veder invalidata
tutta la procedura per lottenimento dello status di rifugiato.
Questo è solo un esempio di cosa accade a queste persone
che non solo si trovano isolate, ma a causa delle esperienze
che hanno vissuto basano tutti i propri rapporti sulla diffidenza
e sulla paura, paura di dire la verità di avvicinare
i connazionali.
I rifugiati si differenziano dagli immigrati per molti aspetti:
limpossibilità di fare ritorno in patria una volta
riconosciuto lo status di rifugiato, nella difficoltà
ad avere contatti con parenti ed amici (per evitare di metterli
in pericolo) con le immaginabili angosce e sofferenze che da
questo derivano; lobbligatorietà della partenza
che non può essere pianificata con la famiglia o con
gli amici che forniscono aiuto e appoggio, ma che è improvvisa,
traumatica e sancisce la fine della vita precedente aprendo
un periodo di incertezza.
Anche il corpo reca i segni di questa differenziazione: quello
dellimmigrato è sano, giovane e produttivo, quello
del rifugiato è passivo, reca i segni delle
torture che costituiscono un ricordo costante della violenza
subita, è un corpo trascinato via a forza, strappato
dalla comunità e dagli affetti.
Finora, 220 persone
La militanza di un rifugiato in un partito politico può
modificare questa situazione e come?
Facciamo ancora lesempio dei curdi, da noi arrivano molti
del PKK, quindi politicizzati e con una lunga storia di militanza
alle spalle, però arrivano anche molti curdi che non
hanno mai militato in un partito politico e sono comunque stati
arrestati, torturati, derubati, ecc., secondo una strategia
che non mira solo ad arrestare i capi dei movimenti politici,
ma a sgretolare il tessuto delle comunità curde, attraverso
un senso diffuso di paura e insicurezza. Queste persone non
politiche sono prevalentemente pastori e analfabeti, vengono
periodicamente arrestate e torturate a caso, derubate di tutto
o perseguitate psicologicamente al punto da essere costrette
ad andarsene. Una volta giunti in Italia, difficilmente riescono
ad avere lappoggio del proprio gruppo etnico perché
il PKK tende a dare la precedenza a quelli che ritiene essere
i veri combattenti, i militanti. Certo non accade sempre così,
molti militanti del PKK riescono ad avere la sensibilità
necessaria per capire che si sta cercando di colpire un popolo
intero ed è quindi importante non ripetere allestero
quella frammentazione e quella disgregazione che si è
realizzata in patria.
Che tipo di relazione o comportamento consigliate di assumere
ad un operatore dellHar di fronte a queste persone? Sicuramente
le condizioni variano da un individuo allaltro, ma ci
sono delle regole generali da tener presente?
Da quando è stato aperto il centro (febbraio 2001) ad
oggi abbiamo seguito 220 persone. Da questo punto di vista anche
le nostre competenze devono essere affinate, soprattutto per
quanto riguarda la documentazione medica dei casi di tortura,
per questo motivo ci documentiamo continuamente, procediamo
con auto supervisioni e siamo in collegamento con altri centri
europei.
Va sottolineato che il rapporto tra operatore e rifugiato è
estremamente delicato fin dallinizio, dal momento della
raccolta della testimonianza: da una parte i richiedenti asilo
manifestano la voglia di raccontare la propria esperienza, dallaltra
questo significa voltarsi indietro e vedere tutto quello che
ci si è lasciati alle spalle, con il conseguente carico
di nostalgia, angoscia, depressione.
Ad esempio nel momento della raccolta della testimonianza emerge
spesso la vergogna del torturato se partiamo dalla
considerazione elementare che la tortura costituisce un trauma,
dobbiamo anche renderci conto che si tratta di un evento traumatico
diverso da un terremoto, perché legato allintenzionalità
di recare danno e fare del male. Il torturato si fa carico delle
colpe del torturatore, nasce allora per il torturato la vergogna
di raccontare ciò che ha subito. Non è possibile,
in ambito terapeutico, escludere la figura del torturatore,
perché si deve cercare di far capire al torturato quali
sono i motivi che hanno spinto il torturatore ad arrivare a
certi livelli... non per giustificarlo, ma perché altrimenti
questa figura rimane sempre fuori dal campo dazione, come
un fantasma che può intervenire in qualsiasi momento,
perché non lo si riesce a controllare. Da questo punto
di vista sono interessantissimi tutti i libri di Primo Levi,
dove viene esposta la convinzione degli aguzzini nazisti che
anche se un giorno le vittime fossero riuscite a raccontare
ciò che avevano subito, nessuno avrebbe loro creduto
data lenormità delle violenze subite. Il torturatore
sa, e lo dice chiaramente alla sua vittima, che sulle violenze
subite cadrà il silenzio.
Questo rapporto tra silenzio e capacità di raccontare
la verità è un principio fondamentale del volontariato
come noi lo intendiamo e come cerchiamo di praticarlo: il volontariato
è per sua natura un lavoro silenzioso, che non aspira
allautocelebrazione, ma che in determinati momenti deve
avere la forza e il coraggio di urlare in nome degli altri,
al posto di chi non ha la forza e il coraggio per farlo.
Prassi dal basso
Passano molte donne per il centro?
No, non ne passano molte, in genere nel caso dei rifugiati
capita spesso che accompagnino i mariti in fuga o li seguano
in un secondo momento per via del ricongiungimento familiare.
Le poche donne delle quali ci siamo occupati sono arrivate da
noi assolutamente massacrate, sia dal punto di vista psicologico
che fisico, spesso la tortura nei confronti di una donna si
concretizza nella violenza sessuale.
Come si attua la funzione di denuncia del centro Har?
I volontari che lavorano al centro insieme ai rifugiati, organizzano
serate pubbliche con interventi degli stessi rifugiati su tematiche
specifiche, parlando dei loro paesi, portando testimonianze,
parlando delle torture subite. Il 26 giugno, nella giornata
internazionale a favore delle vittime di tortura, organizziamo
sempre una serata dal titolo dar voce a chi si vuol far
tacere in cui si denunciano i paesi in cui esistono ancora
situazioni di violenza su chi si oppone.
Questo rientra sempre nel discorso del ruolo che deve giocare
il volontariato...
Certo perché il volontariato pone domande alternative
pratiche ai bisogni a cui le istituzioni volutamente non danno
risposta, questo significa, ad esempio per il Naga, lavorare
con i clandestini per scelta, perché chi ha il permesso
di soggiorno può accedere ad altri servizi pubblici che
è suo diritto utilizzare. In questi anni come Naga abbiamo
visitato 73.000 persone, questo dimostra che il diritto alla
salute non è garantito a tutti e quindi con questi numeri
puoi fare pressione sulle istituzioni perché vengano
garantiti uguali diritti a tutti, al di là del permesso
di soggiorno, della razza, della religione, del sesso, dellappartenenza
al gruppo politico, ecc., e su questo si innesta tutta la battaglia
politica; naturalmente la rivendicazione di questi diritti comporta
anche la ricerca delle alleanze per farli valere.
Un altro elemento importante è la prassi dal basso,
questo significa che non vogliamo fare discorsi politici che
poi non hanno nulla a che fare con la realtà, noi vogliamo
partire dalle esigenze, dalle richieste delle persone con le
quali lavoriamo e cominciare a fare le cose con queste persone,
la rivendicazione è un momento successivo; a noi interessa
cambiare il sociale. È importante anche lassenza
della delega, questo significa portare avanti in prima persona
le lotte per i diritti e dare voce a questi diritti (anche con
convegni, come abbiamo fatto in questi anni che hanno valore
a livello scientifico e cercano di esercitare una pressione
sulle istituzioni) in modo tale che il volontariato non si trasformi
in un ammortizzatore sociale.
Quando, ad esempio, un rom ha una prospettiva di vita di 33
anni in Italia, nel 2001, è inevitabile porsi delle domande,
trarre delle conclusioni e sperimentare, ciò comporta
non solo un tentativo di progettazione del sociale, ma anche
un tentativo di uscire dalla logica dellemergenza-intervento-recupero
per passare a quella della prevenzione.
Laura Di Martino
NAGA
Il
NAGA, Associazione Volontaria di Assistenza Socio-Sanitaria
e per i Diritti di Stranieri e Nomadi Onlus,
è unassociazione laica e apartitica, senza
fini di lucro.
Si è costituita nel 1987 allo scopo di promuovere
limpegno umano e sociale dei cittadini democratici
senza alcuna discriminazione di razza, religione, partito,
al fine di stimolare attività di carattere socio-assistenziale
nei confronti di popoli stranieri e nomadi bisognevoli.
Riconoscendo nella salute un diritto inalienabile
dellindividuo indipendentemente da ogni
differenza di razza, religione, cultura, ideologia, posizione
giuridica vuole essere una proposta concreta ai bisogni
socio-sanitari di tutti i cittadini immigrati extracomunitari
e nomadi ai quali per motivi giuridici, economici, culturali
viene tuttora negato in Italia tale diritto.
Lobiettivo non è certo quello, sicuramente
sproporzionato alle risorse disponibili, di fornire una
risposta completa ed esauriente, nè quello di coprire
con un intervento di volontariato un vuoto legislativo.
Neppure si pensa di fare un intervento di solidarietà
nei confronti di persone più deboli. Al contrario
lobbiettivo è quello di utilizzare questo
servizio, con tutti i limiti, le lacune, la frammentarietà
delle risposte, come cassa di risonanza per dare voce
e dignità politica ai bisogni di chi risulta ancora
trasparente per lo Stato e le sue istituzioni.
Lattività dellassociazione si articola
in diversi settori: servizio di assistenza socio-sanitaria,
ricerca, formazione e denuncia.
Gruppi
del NAGA
Il NAGA è articolato operativamente in più
gruppi che si occupano dei vari aspetti della propria
attività.
Il NAGA si occupa dei problemi degli immigrati carcerati
offrendo informazione, colloqui e segretariato sociale.
Molto sinteticamente ecco una panoramica dei gruppi.
Salute:
Si occupa dei problemi legati al diritto alla salute per
tutti.
Centro di documentazione: Gestisce larchivio
documentazione, organizza dibattiti, fornisce informazioni
e supporto tecnico agli altri gruppi.
Donne: Si occupa dei problemi della salute delle
donne immigrate.
Ricerca: Ha svolto lavoro di ricerca scientifica
(in passato) e attualmente svolge ricerca interna.
Medici: Fornisce lassistenza medica ambulatoriale.
Rifugiati: Fornisce assistenza medica, psicologica
e sociale a persone rifugiate o torturate.
Nomadi: Si occupa dei problemi sociali e sanitari
dei nomadi.
Corelli: Si occupa del problema del centro di detenzione
temporanea di via Corelli.
Ufficio legale: Offre consulenza legale a stranieri
e nomadi prevalentemente non appartenenti allUnione
Europea.
Accoglienza: Organizza lambulatorio e si
occupa dei problemi inerenti alle pratiche sanitarie dei
pazienti.
Etnopsichiatria: Si occupa delle relazioni tra
medicina ufficiale e medicine tradizionali soprattutto
per limpatto che hanno nel rapporto tra paziente
immigrato e strutture sanitarie locali.
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Chi
è Italo Siena
Nato
a Lecce nel 1949. Laureato in Medicina e Chirurgia nel
1974. È stato tra i fondatori del nucleo libertario
di Quarto Oggiaro F. Serantini e, nel 1978,
tra gli occupanti della cascina Torchiera (detta Cascina
Libera) dove si pubblicava il giornale Terra libera.
Dal 1980 pratica la professione di medico di base. È
docente di psicosomatica alla Scuola di Psicomotricità
di B. Acouturier. Nel 1987 ha fondato il Naga, prima
associazione socio-sanitaria specifica per lassistenza
agli stranieri e nomadi. È stato docente di corsi
di formazione per operatori socio-sanitari sulla problematica
dellimmigrazione in molte città dItalia
(Bologna, Parma, Firenze, Bolzano, Como, Varese).
Ha organizzato numerosi convegni a carattere internazionale
Il colore della salute, La salute
senza colore. Da tre anni organizza le giornate
a favore delle Vittime della Tortura. Nel
2001 ha fondato in Italia il primo Centro per le vittime
della tortura HAR. È attualmente
responsabile del Centro.
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