Oggi inizia al Castel Brando di Cison
di Valmarino, in provincia di Treviso, una manifestazione di
due giorni denominata Una piazza per la storia veneta.
Come si legge nel comunicato stampa, liniziativa è
stata presentata dallassessore alle politiche per la cultura
e lidentità veneta Ermanno Serrajotto e dal sindaco
di Treviso Giancarlo Gentilini. Si rievoca Giovanni Brandolino,
conte di Valmarino, condottiero delle truppe venete [
.]
sul fronte nord della Repubblica veneziana. Ci sarà
una festa darmi con duelli, tornei a cavallo
e figuranti in costume. Il manifesto parla di una festa di Veneti
di terraferma, e annuncia lincontro tra Veneti,
Tirolesi e Bavaresi. Si fa ordine. Si catalogano culture, etnie,
comunità, e gli individui vengono assegnati o alluna
o allaltra. Si prescrivono norme di comportamento. I Veneti,
dietro il crocefisso e il leone di San Marco. Il mio auspicio
dichiara lassessore allidentità nel
sito ufficiale della Regione è che nelle scuole
del nostro territorio, assieme al crocifisso, si esponga anche
la bandiera della Regione, emblema della storia del popolo veneto.
Da tutto questo si capisce che sarebbe meglio chiamare la manifestazione
non Una piazza per la storia veneta, ma Una
storia veneta per la piazza.
Il senso comune che sta dietro a iniziative di questo tipo è
che la globalizzazione, in primo luogo gli stranieri poveri
immigrati, minaccia la nostra cultura, la nostra
storia, le nostre tradizioni eccetera, e che quindi
dobbiamo riscoprire e valorizzare la nostra identità.
Gentilini dichiara di sostenere con entusiasmo la
rievocazione storica di Castel Brando, per le sue finalità
di valorizzazione del nostro passato. Quando nello scorso
mese di agosto un gruppo di immigrati magrebini occuparono il
portico del duomo di Treviso, Gentilini parlava di razza
Piave, dichiarando di non fare questione di superiorità
o inferiorità, ma di differenza: Questo non
è razzismo, è conservazione della propria cultura
(Il gazzettino, 28 agosto 2002). Sappiamo come vanno
queste cose. Le misure di esclusione avvengono progressivamente,
in modo graduale e diluito, e così sono rese accettabili.
Tutto diventa una questione di tempo e di vocabolario,
scrive Georges Bensoussan nel libro Leredità
di Auschwitz: come ricordare? (Einaudi 2002, p. 64). Si
è svolto da poco il primo festival per la musica
popolare dei veneti, come lha chiamato il Gazzettino
(3 settembre). Alla fine dellanno scolastico si distribuiranno
50 premi di cinquemila euro ciascuno, per ricerche fatte a scuola
sulla storia veneta: si premiano cultura e identità
veneta, intitola sempre il Gazzettino (20
agosto).
Pratiche di ricerca dal basso come la storia locale o
la ricerca folclorica ed etnomusicologica diventano una
mobilitazione dallalto. Lassessore allidentità
veneta, nel bandire il primo Festival per la musica popolare
dei veneti (uso il titolo del Gazzettino) ha
dichiarato di voler difendere le nostre tradizioni,
dato che oggi in Veneto si balla musica romagnola e si canta
quella napoletana (R. Mazzaro, Lidentità veneta
espressa in musica, Nuova Venezia, 3 settembre
2002). Lasciando perdere le classificazioni dellassessore
gli emiliani il liscio, i napoletani O sole
mio, forse ai trentini spettano i cori della Sat
il problema è il significato di canti popolari.
Nella tradizione del Canzoniere popolare veneto e dei gruppi
che facevano riferimento allIstituto Ernesto De Martino,
le canzoni popolari esprimono i sentimenti delle classi popolari
delle classi sociali sfruttate , delle donne e
dei soggetti esclusi dalla storia. Con tutto lamore che
aveva per la canzone veneziana, anzi proprio per questo, non
credo che Luisa Ronchini avrebbe mai dichiarato di voler difendere,
come dichiara di voler fare lassessore regionale, la
lingua, la cultura e le tradizioni venete. Basti pensare
allimportanza delle canzoni anarchiche nel suo repertorio.
Lei e il Canzoniere popolare veneto avrebbero parlato di espressività
popolare e di canzone politica.
Ma quale identità veneta?
Scopo della Regione è controllare il repertorio mettendolo
sotto letichetta di identità veneta,
intendendo in altre parole le canzoni popolari come espressione
della cultura e identità di un popolo che proclama di
identificarsi con un territorio fin dai tempi più antichi.
Non esagero se dico che siamo dinanzi a un legame di terra e
sangue. Il sussidiario Noi Veneti prodotto dalla Regione
e distribuito in tutte le scuole (Cierre, Verona 2001) è
una sorta di catechismo per aneddoti che va dai Paleoveneti
agli imprenditori del nord-est. Faccio una parentesi sui Paleoveneti.
Luciano Bianciardi ha scritto pagine esilaranti sugli studiosi
che inventavano gli Etruschi e li vedevano dappertutto. Chissà
che cosa avrebbe scritto se questi studiosi avessero parlato
di Paleotoscani. Per quanto non se ne sappia quasi niente, di
sicuro le fonti parlano di Eneti o Veneti. Paleoveneti è
una espressione che si può usare solo se li si immagina
come i progenitori di Neoveneti abitanti dentro i confini dellattuale
regione del Veneto, o di qui emigrati nel corso dei secoli,
rimanendo Veneti.
Immaginiamo un festival. Il rito inizia con il discorso di una
autorità politica. Porta i saluti, come si dice. Ecco
più o meno il discorso: Gaelici! È con grande
piacere del mio cuore gaelico che oggi mi trovo qui con voi
a parlare gaelico, in questa sagra gaelica, nel punto centrale
dellarea di lingua gaelica. Devo forse dirvi che sono
un gaelico?! Ebbene sì, sono gaelico dalla cima della
testa fin sotto la pianta dei piedi, davanti e didietro, sopra
e sotto. E anche voi siete tutti veri gaelici. Siamo tutti veri
gaelici di vera stirpe gaelica. Chi è gaelico, sarà
per sempre gaelico. [
] Sissignori, se vogliamo essere
veri gaelici, dobbiamo discutere costantemente il problema della
rinascita gaelica e la questione della gaelicità. Inutile
avere la lingua gaelica, se dobbiamo usarla per parlare di argomenti
non gaelici. Chi parla gaelico ma dimentica di parlare del problema
della lingua, non è un vero gaelico; una condotta simile
non è di alcun beneficio alla causa della gaelicità,
anzi, significa che costoro si prendon gioco del gaelico, insultano
gli stessi gaelici. Non cè niente al mondo di altrettanto
bello e altrettanto gaelico quanto i gaelici autenticamente
tali che parlano nel più gaelico dei gaelici della vera
lingua gaelica. Dichiaro quindi gaelicamente aperta questa sagra.
Viva i gaelici e lunga vita alla vita gaelica! (Flann
O Brien, La miseria in bocca. Prefazione di Gianni
Celati, Feltrinelli 2000, pp. 84-85).
Dopo il discorso iniziale, tocca ai gruppi musicali. I gruppi
sono diversi luno dallaltro. Ci sono di quelli che
fanno vere canzoni gaeliche, e che chiuderanno il concerto con
un inno alle glorie dellanimale totemico dei Paleogaelici,
che è il cavallo. Non è detto che questi siano
la maggioranza di quelli invitati a cantare.
Tra i gruppi che fanno canzoni in gaelico, ce ne sono di quelli
che trovano pericoloso distinguere tra veri gaelici, gaelici
traditori e non gaelici. Questi gruppi partecipano ugualmente
alliniziativa e per prendere le distanze scelgono canzoni
di lotta in gaelico. Nessuno può prevedere lesito
di una canzone. Potrebbe succedere che qualcuno che credeva
di essere un vero gaelico, sentendo una canzone del genere,
cominci ad avere dei dubbi. Ma più dubbi ancora
stiamo sempre immaginando vengono a questi gruppi musicali
quando si accorgono che tutti prendono le loro canzoni come
canzoni gaeliche e che il più entusiasta di tutti è
lautorità seduta in prima fila, lo stesso che ha
portato i saluti. Le cose non succedono nel corso di una serata.
Anche qui, tutto è questione di tempo e di vocabolario.
La canzone di lotta in gaelico diventa dapprima una canzone
gaelica di lotta, e poi una canzone di lotta gaelica.
Ci saranno poi gruppi che vanno dove si svolge il festival,
dichiarano di non collaborare, fanno appello alla diserzione,
e continuano a suonare dove e con chi lhanno sempre fatto.
Infine è possibile, soprattutto nelle prime fasi delle
sagre gaeliche, che ci siano gruppi invitati al festival per
sbaglio. Quando capiscono di cosa si tratta, si chiedono cosa
ci stanno a fare e ci danno dentro con Nostra patria il
mondo intero; e potrebbe anche succedere che il pubblico
si metta a pogare cantando in coro con il pugno chiuso alzato,
e che il festival ottenga leffetto opposto. Questo gruppo
non verrà più invitato, a meno che non addomestichi
il repertorio.
Solidarietà, non identità
Come sempre, le situazioni sono più sfumate. Ma è
per dire che io sostengo lidea di non collaborare. Credo
che la singola canzone derivi il suo significato soprattutto
dalle altre canzoni a cui si accompagna e dal contesto in cui
è inserita. Cito Alessandro Portelli: Ho sentito
O Roma o Roma città tanto cara cantata da una
famiglia di ferrovieri comunisti della borgata di Val Melaina,
dopo La guardia rossa e prima di Su comunisti della
capitale: non cè alcun dubbio che questo contesto
precisasse la protesta di per sé generica della canzone
(Tipologia della canzone operaia, Movimento operaio
e socialista, n.s., VI, 1983, 2, p. 215).
Sono inoltre per la non collaborazione perché trovo buoni
gli insegnamenti di Tolstoj, quando dice che il potere ha prestigio
solo perché cè chi obbedisce: solo per chi
obbedisce. Quando si disobbedisce, il re appare nudo. La tradizione
libertaria mostra che il potere e in primo luogo gli Stati si
impongono perché gli individui hanno paura della libertà,
e che le istituzioni politiche sono tanto più forti quanto
più indeboliscono la capacità che i singoli e
gli individui associati hanno di pensare, di incontrarsi, di
decidere, di autogovernarsi, di attribuire un senso alle cose
che fanno. Libertà e autonomia non sono obiettivi da
rivendicare, ma un valore da mettere in pratica: non vanno richieste
e attese da una qualche autorità, ma vissute.
Qualche giorno fa cè stato un convegno promosso
dallIrre e dallassessorato regionale alle politiche
per la cultura e lidentità veneta, dal titolo Insegnare
le storie locali nelletà della globalizzazione
(Treviso, 23-24 settembre). Ci hanno collaborato le principali
associazioni di storia. Lassociazione storiAmestre ha
dichiarato di non collaborare perché le politiche per
lidentità veneta sono politiche per la discriminazione,
e sono incompatibili con la libertà della ricerca
e con labitudine alla critica auspicabile nellinsegnamento;
e ha invitato relatori e partecipanti a chiedere labolizione
del nome dellassessorato. Il documento è stato
volantinato al convegno. Nel frattempo anche lIstituto
veneziano per la storia della Resistenza, riprendendo il documento
di storiAmestre, si era dissociato. Questo ha dato più
forza ai relatori che condividono queste idee, tanto che al
convegno praticamente tutti, in modo più o meno esplicito,
si sono dissociati dalle politiche dellassessorato. La
vicenda è importante perché ha fatto capire che
si deve rompere il cerimoniale, e che questo è possibile.
Le ideologie che mobilitano sulla base di una identità
etnico-culturale non parlano di amore per un territorio, ma
dicono a chi obbedire e come si debba organizzare una società.
Identità non è opposto di omologazione,
come proclama, ma di uguaglianza. Solo contrastando apertamente
tali ideologie solo dicendo questo non mi piace
si possono attivare pratiche di ricerca, di solidarietà
e di mutuo aiuto nellambito locale, in cui viviamo.
Piero Brunello
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