Ad ogni inizio danno è
difficile per un commentatore politico sfuggire alla suggestione
di tentare un bilancio dellanno appena trascorso. È
una suggestione tutto sommato futile: i tempi relativi delleconomia,
della politica, della trasformazione della società non
si lasciano cadenzare dallanno solare; importante, viceversa,
questultimo, per le ormai scomparse comunità contadine
tradizionali, per le quali dal succedersi ordinato delle stagioni
dipendeva la prosperità o meno della quotidianità
annuale.
Nelle lente dinamiche dei processi di lungo periodo, tuttavia,
si aprono delle crepe, degli spiragli attraverso i quali è
possibile illuminare scorci di vita vissuta nei quali si rivelano
le tendenze complessive, ma anche le perversioni che le attraversano
e le sofferenze che provocano.
In questo senso lanno appena trascorso non è stato
un anno ininfluente, in primo luogo perché ha sancito
in maniera esplicita il primo epilogo di un processo che parte
da tempi assai lontani, secondo alcuni addirittura dalla scoperta
dellAmerica e linizio delle grandi colonizzazioni;
secondo il mio modesto punto di vista, assai più recentemente,
dalla definitiva sconfitta della Rivoluzione dOttobre,
dallunico tentativo concreto, cioè, di temperare
legemonia del mercato con politiche sociali eticamente
volte ad una ridistribuzione più equa della ricchezza
ed alla valorizzazione del lavoro, inteso come strumento di
promozione individuale e collettiva in una società pacificata:
quel processo di lungo periodo dicevamo che, come
tappa fondamentale registra lunificazione sostanziale
dellOccidente sotto legemonia americana e lemarginazione,
al sue esterno, di tutto il resto del mondo. Con la parallela
beatificazione del sistema di produzione capitalistico, identificato
con il Bene assoluto, da contrapporre al Male, rappresentato
da istanze politiche, religiose o semplicemente di visioni del
mondo che allOccidente si contrappongano.
In un articolo precedente mi sono già occupato di quel
documento dellamministrazione Bush, reso noto nel mese
di settembre, nel quale, senza alcun pudore, lAmerica,
prendendo coscienza della sua smisurata potenza militare, pretende,
nella sostanza, di decidere le sorti del mondo e di demarcare
una volta per tutte la linea di separazione tra il suo diritto
affermato come lunico legittimo di conseguire
i suoi fini e di perseguire con ogni mezzo chiunque a questi
fini dovesse in qualche modo opporsi, e il diritto alla sopravvivenza
degli altri.
Lenormità delle affermazioni contenute nel documento
porterebbero a definirlo in prima istanza demenziale; poi, però,
ci si pensa un po e si scopre che, nei fatti già
accaduti o in via di accadimento, quelle che a prima vista sembrano
farneticazioni, sono il registro corretto dello stato del mondo.
Nellultimo decennio, a partire, cioè, dalla Guerra
del Golfo, il diritto internazionale che, bene o male,
aveva regolato i rapporti tra le nazioni e le cui trasgressioni
erano individuate sulla base di norme largamente condivise
è stato vanificato dallarroganza di unAmerica
in pieno delirio donnipotenza, spalleggiata dal resto
dellOccidente che, per calcolo o per debolezza, non ritiene
di avere altra alternativa se non quella di agganciare il proprio
vagone al treno statunitense.
Occidentalizzare il mondo?
Da parte di tutte le potenze industrializzate cè,
naturalmente, lesigenza di assicurarsi le risorse energetiche
(e a prezzi sostenibili) in una congiuntura economica assai
difficile, e per i dati congiunturali e per il processo di globalizzazione
tuttaltro che agevole, anzi fortemente contrastato, oltre
che da spinte eversive esterne, dalla contraddittorietà
delle stesse dinamiche interne alla struttura capitalistica:
da questo punto di vista, linstabilità dello scacchiere
mediorientale è un pericolo incombente difficile da controllare
se non con misure pesantemente repressive.
Daltra parte, una linea meramente repressiva, attuata
con il consenso di tutte le maggiori potenze, Russia e Cina
comprese, assicura linalterabilità delle zone dinfluenza
che tali potenze vantano nellAsia centromeridionale. Così,
per esempio, la Russia ottiene mano libera nello sconcio conflitto
che la oppone al popolo ceceno; alla Cina nessuno contesta più
la sistematica repressione attuata nei confronti delle popolazioni
del Tibet; per non parlare della concussione dei diritti dei
curdi, dei palestinesi e delle minoranze etniche oppresse in
molte parti del mondo.
In questo panorama, il declino dellONU è la lapalissiana
controprova delleclissi di un progetto di convivenza internazionale
basata su norme largamente condivise.
Ormai questa è lamara verità
si tende a prendere atto che la guerra è lunico
mezzo per tacitare quelle voci che non siano in sintonia con
le dinamiche imposte dal modo di produzione capitalistico. La
legge del mercato, la competizione e le disuguaglianze evangelizzate
come naturali e insostituibili motori del progresso,
hanno innescato un processo che prevede leliminazione
fisica dei diversi, di quanti, cioè, non intendono adeguarsi
alla nuova morale della produzione e del consumo.
Nella stolida lucidità di vecchio nostalgico di regimi
totalitari, Gustavo Selva ha mirabilmente sintetizzato questa
filosofia, quando, se non vado errato, in Parlamento, ha dichiarato
che la Terza Guerra Mondiale è necessaria per occidentalizzare
il Pianeta. Solo che, se si accetta questa logica, sarà
difficile non relativizzare il concetto di Occidente,
perché il conflitto tra i ricchi e i poveri, i potenti
e gli inermi che questa visione del mondo cristallizza, non
si articolerà più, come si pretenderebbe, tra
nazioni elette e paesi canaglia, ma estenderebbe
le conseguenze della naturale inevitabilità e radicalità
del conflitto allinterno stesso dei paesi che si
ritengono forti e potenti.
Ed è questo un fenomeno che possiamo toccare con mano,
un fenomeno crescente che intravediamo attraverso una di quelle
brecce che illuminano il corso della vita concreta delluomo
contemporaneo, nellalveo di quei processi di lungo periodo,
cui abbiamo accennato allinizio del nostro discorso: per
effetto di unesistenza sempre più scandita dalla
legge del più forte, lindividuo avverte la propria
vulnerabilità, si sente impotente, ininfluente rispetto
agli avvenimenti e tende naturalmente a schierarsi con i più
forti, o, almeno, con coloro che avverte come tali, rinunciando
a regolare la propria condotta secondo principi etici che indichino
la via del giusto piuttosto che quella dellutile.
Un egoismo pavido e infelice, privo di passione e di futuro,
che emargina luomo nella zona grigia della paura e dellirresponsabilità.
In questottica va vista e spiegata la crisi della sinistra
nel mondo occidentale.
In un contesto privo di regole che non siano quelle dei potenti,
dispiegate quotidianamente con arroganza impunita, è
difficile richiamare e coalizzare i cittadini in nome della
solidarietà e della giustizia sociale. Il compromesso
e la ragion di stato finiscono collappannare le motivazioni
e la condotta di quanti dovrebbero rappresentare, nelle istituzioni,
le ragioni dei più deboli.
Così, tra la partecipazione (sofferta?) ad iniziative
belliche insensate (ammesso che ve ne siano di sensate) e il
collateralismo a politiche di affossamento dello stato sociale,
la sinistra, specie in Europa, si illude di potersi ancora sedere,
da comprimaria, nel tavolo in cui si svolge un giuoco che dovrebbe
esserle del tutto innaturale.
Questo, purtroppo, è quanto avviene nello scenario internazionale,
che si riverbera poi, naturalmente, nei rapporti di forza tra
progressisti e reazionari allinterno delle singole nazioni.
Alcuni scricchiolii
Per fortuna, però, la storia non ha mai registrato processi
irreversibili: imperi, dominazioni, dittature non sono mai riusciti
a sottrarsi al principio naturale che qualunque cosa si muova
sotto il sole ha un inizio, uno sviluppo ed uneclissi.
Sarà così anche per il modello di sviluppo, per
le logiche oppressive che attualmente prevalgono nel mondo occidentale.
E alcuni inghippi, alcuni scricchiolii significativi cominciano
a manifestarsi.
Intanto leconomia: nel medio periodo, le borse hanno accusato
perdite significative: segno che la speculazione trova sempre
meno spazio per mascherare lobiettiva debolezza degli
apparati industriali in America e in Europa. Si comincia a produrre
con difficoltà e le risposte dei consumatori sono sempre
più timide. Linsicurezza del quadro politico complessivo
consiglia di misurare con più oculatezza le spese. Così
i consumi che sono gli indici più credibili per
giudicare gli andamenti economici sono dovunque decrescenti.
Il rapporto deficit/Pil è in sofferenza sia in Europa
che in America, e ciò significa che, per mantenere in
qualche modo in equilibrio i bilanci annuali, le economie nazionali
sono costrette come avviene in Italia grazie al genio
di Giulio Tremonti a ipotecare sempre più spesso
ricchezze future ed eventuali: che è un modo ingenuo
di mascherare i deficit reali.
Questo quadro, che, con sottolineature diverse, è generalizzabile
a tutto il fronte del capitalismo maturo, ha unimportanza
determinante nella gestione dei conflitti. Così, mentre
la necessità di controllare sempre più rigidamente
le fonti energetiche dovunque esse si trovino, porta ad inasprire
i conflitti con gli stati non allineati che le detengono, le
guerre regionali che si scatenano di volta in volta hanno, per
coloro che si proclamano i guardiani del mondo, costi sempre
meno sostenibili, specie in periodi di ristagno, se non proprio
di recessione.
Forse è solo una coincidenza che proprio adesso la Corea
del Nord rilanci platealmente i propri programmi di riarmo nucleare.
Può pure darsi però che i topolini prendano coscienza
della loro capacità di terrorizzare gli elefanti.
E questa eventualità richiama precedenti storici inquietanti
per i massimi sistemi che pretendono di governare il mondo.
Antonio Cardella
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