Esiste una teoria e una pratica
dellarroganza?
Luomo e la donna sono arroganti quanto lo sono gli altri
esseri viventi?
Sembra proprio che larroganza sia una caratteristica storica
piuttosto che antropologica e che questa sia molto più
accentuata in determinate società piuttosto che in altre.
Ma occorre sempre prendere un termine di paragone e quindi riformulare
la questione: rispetto a che cosa o a chi un uomo e una donna
sono arroganti?
Penso che tentare di rispondere a queste domande serva alla
causa della libertà perché non vi può essere
libertà dalla schiavitù delle cose se non vi è
libertà dalla schiavitù che deriva dalla cultura
e dal pensiero.
Mi ritorna in mente un monito molto intrigante di Stirner quando
sosteneva che occorre liberarsi dalle rotelle del
nostro pensiero, vale a dire che la libertà è
anche una libertà dai condizionamenti della cultura.
Larroganza dellindividuo moderno era determinata
dalla convinzione che lindustrializzazione della società
potesse produrre uno sviluppo che finalmente realizzava la liberazione
delluomo dalla schiavitù della natura.
Così si è pensato che lo sviluppo della tecnica
potesse affrancare lessere umano dalle imperfezioni
dettate dalla natura. La grande scommessa della rivoluzione
industriale e dellilluminismo positivista ha consegnato
alluomo una cultura del fare e del progresso che ha fatto
sì che una parte del mondo abbia affidato a nuove divinità
il potere taumaturgico di liberare lindividuo da tutte
le catene che lo opprimevano. Si è trattato di un processo
che ha posto la fiducia totale nella scienza del progresso piuttosto
che nel progresso della scienza.
Storia di arroganza
Infatti per decenni e decenni molti hanno creduto che il solo
fatto di progredire nellaffinamento della tecnica potesse
garantire uno sviluppo senza limiti e senza condizioni degli
esseri umani, senza accorgersi (o forse volendolo esplicitamente)
che nuove forme di schiavitù si profilavano allorizzonte.
Questa storia è stata una storia di arroganza perché
insolenti e presuntuosi sono gli uomini che lhanno determinata.
Fini che diventano mezzi e soprattutto mezzi che diventano fini.
Ogni cosa assolve in sé il senso della sua esistenza
e perlopiù determina lesistenza degli esseri viventi.
Una continua autoriproduzione di se stessi senza nessuna possibilità
di controllo collettivo. Qui gli esempi si potrebbero sbizzarrire
ma ciò che conta è capire che larroganza
è un prodotto della società industriale che ha
fondato la sua vittoria sul terrore e la violenza. Capitalismo
e comunismo hanno specularmene dato ragione allindustrialismo,
alla sua concezione del progresso e alla sua concezione etica
della scienza.
Attorno al concetto di sviluppo, alla sua divinizzazione si
è formata questa morale dellarroganza. Attenzione
però! I sostenitori dei limiti dello sviluppo non sono
stati diversi nella loro logica industriale. Hanno semplicemente
capovolto la questione e fornito nuova linfa allo sviluppo stesso,
marchiandolo con opzioni alternative.
Ogni volta, ad esempio, che succede un black out di energia
si spendono le teorie dellindustrialismo (occorre
ammodernare le centrali e lintera rete di erogazione,
oppure occorre investire in fonti alternative) ma
anche quelle del primitivismo (bisogna ritornare alla
natura e alle sue primordiali caratteristiche).
Seppure in modo radicalmente diverso queste opzioni hanno inevitabilmente
preso come termine di confronto la modernità dellindustrialismo,
chi per sostenerlo, chi per modificarlo, chi per rifiutarlo.
Tutti sono cioè figli di questa storia e di questa cultura
e quindi figli dellarroganza.
Si discute esclusivamente di aspetti tecnici (il buco dellozono,
il surriscaldamento della terra, la non infinità delle
risorse naturali, ecc.) mai dei limiti psicologici. La vera
questione però è che esiste una cultura, anzi
una psicologia dellarroganza. Perché non riusciamo
a limitare i nostri bisogni, che altro non sono diventati che
la realizzazione dellarroganza e della sopraffazione.
Quanto è ridicolo, per non dire tragico, assistere a
questo sviluppo senza fine e non porsi mai la domanda vera che
andrebbe posta: perché non siamo capaci di chiederci
perché tendiamo ad uno sviluppo senza limiti.
Perché non ci accorgiamo che la risposta non si può
trovare solo nella storia e nella società ma è
necessario cercarla dentro di noi, in ognuno di noi, e al contempo
nella nostra storia recente. E inoltre perché non comprendiamo
che luscita dalla modernità non è stata
poi così esaltante visto che luomo post-moderno
non ha saputo rinunciare allindustrialismo ma lo ha solo
delocalizzato?
Regole intrinseche
La vera fuoriuscita e la più autentica rivoluzione consiste
probabilmente nellaccettare di avere dei limiti invalicabili
oltre i quali ogni forma di progresso diventa arroganza nei
confronti della terra, dellaria, dellacqua, degli
animali e dei nostri simili.
Questi limiti non possono però esseri definiti da entità
che siano al di fuori delluomo e della donna. Non vi possono
essere Dei o Stati che li definiscono arbitrariamente e per
conto degli esseri umani.
Occorrono delle regole intrinseche alla stessa natura delluguaglianza
possibile: tutti devono avere accesso in egual misura allo sviluppo
e nessuno può appropriarsi dei risultati di questo per
scopi di dominio.
In fin dei conti la condizione più profonda dellessere
umano è quella di sempre. Le cose che tormentano o esaltano
luomo e la donna di oggi sono ancora le domande esistenziali
di sempre: la vita, la morte, la passione, il dolore, lamore.
Attorno a queste questioni il pensiero occidentale è
ancora il pensiero dellantichità.
La babele creata dal mito del progresso, dallarroganza
della sua quotidianità, non sono ancora riusciti a modificare
la natura più profonda dellessere e della sua esistenza.
Non esiste alcuna forma di progresso se non vi è rispetto
delle regole che ho sopra definito. Non vi può essere
sviluppo sostenibile se non sono gli esseri viventi, ma proprio
tutti, il riferimento di ogni cultura, la loro libertà,
la loro diversità e la loro uguaglianza.
Una nuova stagione di essenzialità
Siamo in grado di accettare i limiti psicologici dellidea
di sviluppo, di riconoscerci in questa modesta e umile realtà
piuttosto che divinizzare la nostra arroganza?
Si sostiene che viviamo in unepoca di consumismo. È
sicuramente vero per un verso. Ma se riflettiamo un po
più a fondo, in realtà noi non consumiamo mai
nulla fino in fondo, perché cambiamo modello, prestazioni,
caratteristiche di ogni oggetto che acquistiamo senza averlo
veramente consumato.
Allora probabilmente per recuperare la nostra natura più
autentica, la strada non è quella di ritirarci con aristocratico
distacco nel primitivismo, non è daltronde neanche
quella di tuffarci nellindustria dellalternativo,
ma, forse, più semplicemente, nel cercare di vivere assieme
a più esseri umani possibile, una nuova stagione di essenzialità,
di semplicità, di lentezza, riscoprendo la nostra più
autentica essenza.
E pretendere di condividere con gli altri ogni nuova e più
evoluta forma di tecnica che possa al contempo liberare luomo
dalla schiavitù ma anche non pregiudicarne la sua autonomia.
Almeno proviamoci.
Francesco Codello
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