Sul finire dell800,
latteggiamento della cultura e della politica argentina
nei confronti dellimmigrazione italiana era notevolmente
mutato rispetto alla linea delle «frontiere aperte»
che la classe dirigente liberale, guidata da Juan Batista Alberdi
e Domingo Faustino Sarmiento, aveva posto a fondamento dellopera
di costruzione dellidentità nazionale, sulla base
dellequazione: progresso = espansione della frontiera
= immigrazione europea.
Le cause che determinarono nella borghesia argentina un clima
di avversione nei riguardi dellimmigrazione italiana e
meridionale in particolare erano diverse. Certamente i problemi
legati alla mole del flusso migratorio, superiore alle attese,
che pesavano in un momento di crisi economica protrattasi per
alcuni decenni e gestita dal governo con un uso antioperaio
dellimmigrazione. Probabilmente anche larrivo in
massa dei meridionali italiani, ben diversi dagli attesi cittadini
dei più progrediti paesi del Nord Europa. Ma soprattutto
la convinzione che i meridionali italiani « erano una
presenza laboriosa e necessaria ma anche pericolosa, perché
sovversiva» (R. Paris). Alla base di questa opinione stava
lo stereotipo dellemigrato calabrese come «primitive
rebel», in quanto legato a schemi mentali precapitalistici
e privo di esperienze sindacali o di partecipazione politica
e quindi predisposto al sovversivismo istintivo, il più
temuto dai benpensanti e dagli uomini di governo.
È quasi superfluo osservare che questi stereotipi non
sempre corrispondevano alla realtà.
Molti calabresi, che nelle terre di origine non avevano avuto
alcuna esperienza di aggregazioni collettive e sindacali, trovandosi
per la prima volta in un contesto di aspre lotte sociali e di
fronte a una realtà che consideravano ostile e incomprensibile,
si rifugiarono nel grembo delle tante società mutualistiche
a base etnica e nazionalista. Qui non solo trovavano usi, tradizioni
e sicurezze delle comunità lasciate nel paese di provenienza,
ma scoprivano anche la consapevolezza dellidentità
italiana che spesso non era stata ancora raggiunta nellarea
di origine (Silvio Lanaro, Da contadini a italiani
).
Altri, forse la maggioranza, uscirono dallisolamento integrandosi
acriticamente e in posizione subordinata nella società
ospitante (E. Sori ).
Spirito di ribellione
Alcuni, invece, in effetti si calarono nelle lotte sociali
argentine con orgoglio e spirito di ribellione e furono inevitabilmente
attratti dalle idee anarchiche che tanti proseliti avevano allepoca
nel paese sudamericano.
Soprattutto dopo larrivo a Buenos Aires di Errico Malatesta
nel 1885 e di Pietro Gori nel 1898, il movimento anarchico ha
vissuto in Argentina una stagione di espansione che non ha avuto
eguali, grazie alla sua capacità di saldarsi con le organizzazioni
operaie e di superare loriginaria fase dellindividualismo
romantico. La FORA, la federazione sindacale guidata dagli anarchici,
è stata la protagonista, soprattutto nei grandi centri
urbani, delle lotte sindacali, delle battaglie politiche, degli
scontri anche violenti con la polizia nei momenti di repressione,
per circa tre decenni e quanto meno fino al momento in cui i
conflitti allinterno dello stesso movimento ne accentuarono
il declino. Penso al periodo degli «anarchici espropriatori»
guidati da Severino Di Giovanni i quali, rifiutando ogni ipotesi
organizzativa del movimento, si ispiravano allindividualismo
anarchico di azione con gesti clamorosi quali rapine, attentati,
che determinarono una netta spaccatura nel movimento libertario.
Nello stesso tempo le idee anarchiche si diffondevano grazie
allopera di proselitismo dei lingeras, personaggi tipici,
spesso vagabondi politicizzati, che con il loro fardello carico
di materiale di propaganda, senza un domicilio fisso, senza
una stabile professione e pronti a esercitare qualsiasi mestiere
raggiungevano anche le zone più sperdute della pampa
sconfinata per portare qua un giornale, là degli opuscoli,
per ripartire subito dopo per un altro posto ancora più
lontano. Personaggi tolstoiani, come li definì forse
con enfasi ma non impropriamente Osvaldo Bayer, che viaggiavano
sui treni merci, lavoravano nei campi e diffondevano le idee
di ribellione sociale.
Molti contadini, calzolai, braccianti, barbieri, ecc., partiti
dalla Calabria con nessuna o poche idee politiche in testa,
entrarono in contatto con questo vasto movimento. Cominciarono
così a frequentare circoli politici, parteciparono alle
iniziative e alle lotte sindacali, si cimentarono nella produzione
di opuscoli e giornali di informazione e propaganda, in un lavoro
oscuro, faticoso, portato avanti senza alcuna soddisfazione
personale se non quella ideale.
Di questi uomini semplici, spesso autodidatti, combattuti tra
le nostalgie e i ricordi della terra e degli affetti lontani
e gli ideali di lotta sociale, non si occuperà mai la
storia. Di loro si interesseranno solo le forze di polizia che
si preoccuperanno di annotarne minuziosamente le iniziative
di lotta sindacale, le frequentazioni politiche, gli articoli
su opuscoli o giornali, le attività intraprese allinterno
del movimento operaio e che immancabilmente li segnaleranno
come pericolosi sovversivi. E dal loro punto di vista forse
non avevano tutti i torti giacché la coscienza di classe
e le idee anarchiche avevano trasformato quei contadini, calzolai
e vagabondi da emigranti in ribelli.
Dai documenti del Casellario Politico Centrale, fonte di facile
consultazione ma da utilizzare con circospezione, è possibile
comunque trarre dati di fatto significativi in base ai quali
si possono ricostruire le attività degli emigranti calabresi
in odore di anarchia.
Prevalenza cosentina
Nellarco di tempo che va dagli anni ottanta allo scoppio
della seconda guerra mondiale i calabresi qualificati come anarchici
che si trasferirono in Argentina furono 288. Di questi ben 248
si stabilirono a Buenos Aires, mentre gruppi minori si fermarono
a Rosario, Mendoza o San Juan. La loro provenienza indica la
netta prevalenza della provincia di Cosenza con nuclei abbastanza
numerosi dai comuni di Rossano (19 unità), San Benedetto
Ullano (13) e Cetraro (11). I dati biografici dei sovversivi
segnalati dal Casellario denotano una condizione sociale generalmente
modesta. Le categorie professionali più rappresentate
sono quelle dei calzolai, dei contadini, dei braccianti e giornalieri,
dei sarti, dei falegnami. Pochi sono gli addetti al commercio
e pochissimi gli impiegati.
Il Casellario segnala 41 calabresi appartenenti alla FORA. Per
gran parte di costoro la documentazione della polizia non indica
attività sindacali specifiche per cui lidentità
politica è desunta dalla mera appartenenza alla confederazione
anarchica. Ciò chiaramente non è sufficiente a
trarre convincimenti sicuri circa le idee politiche di questi
lavoratori. Per altri calabresi iscritti alla fora invece sono
specificate iniziative di lotta, organizzazione di conflitti
sindacali, pubblicazione di opuscoli e articoli, dai quali la
militanza anarchica e le idee libertarie risultano evidenti.
Numerosi sono gli anarchici calabresi protagonisti in momenti
di particolare tensione sociale. È il caso dello sciopero
generale indetto dopo la promulgazione della Ley de residencia
del 1902, delle agitazioni anarchiche del 1903 dopo la proclamazione
dello stato di assedio, del grande sciopero generale del gennaio
del 1907, delle imponenti manifestazioni di protesta dopo il
primo maggio 1909, allorché furono uccisi dalla polizia
8 manifestanti, nonché delle altre manifestazioni indette
dalla FORA nel 1910, nel febbraio del 1912 e nel gennaio del
1919 in occasione dei fatti della semana tragica. La
presenza attiva di calabresi è segnalata anche nelle
manifestazioni che si tennero in diverse città dellArgentina
per Sacco e Vanzetti. La descrizione di queste vicende e i dati
biografici forniti dal Casellario dimostrano che questi calabresi
erano stati più volte fermati e arrestati ed erano continuamente
tenuti sotto controllo dalle forze di polizia.
Un gruppo di 10 calabresi, residenti a Buenos Aires, è
ritenuto vicino a Severino Di Giovanni e agli anarchici espropriatori.
In verità la contiguità con Di Giovanni è
desunta solo dal fatto che i loro nominativi erano inseriti
in un elenco trovato nelle carte sequestrate a questultimo.
Per alcuni di loro la militanza anarchica e la partecipazione
anche ad attentati dinamitardi è comunque indiscutibile.
Il più noto di costoro è senza dubbio Francesco
Barbieri, strettamente legato a Di Giovanni e ai fratelli Scarfò
e autore di azioni dimostrative e anche del sanguinoso attentato
del 3 maggio 1928 al Consolato dItalia. Esperto artificiere
aveva preparato per Di Giovanni lordigno esploso nellatrio
del Consolato; sfuggito alla cattura riparando in Uruguay, viene
in seguito espulso e rimandato in Italia. Ma continua la sua
lotta politica e con la passione di sempre si reca in Spagna
per combattere durante la guerra civile. A seguito del conflitto
tra anarchici e marxisti a Barcellona nel maggio del 1937, viene
arrestato dai comunisti e ucciso insieme a Camillo Berneri e
ad altri tre anarchici.
Isola di Favignana, 15 dicembre
1926. Un gruppo di antifascisti al confino. Il primo da destra
è l’anarchico calabrese Nino Malara (foto Archivio
della Biblioteca "Franco Serantini", Pisa - grazie
a Furio Lippi)
Proselitismo, opuscoli e volantini
La militanza di molti immigrati calabresi si desume in modo
incontrovertibile dalla loro appartenenza a una delle tante
associazioni di ispirazione libertaria che si erano costituite
soprattutto a Buenos Aires. Alcune di queste erano di particolare
consistenza come Umanità Nova, costituita prevalentemente
da italiani tra i quali ben 17 calabresi. Altre erano di più
ridotte dimensioni ma non meno attive sul piano politico. Lattività
di proselitismo avveniva tramite la distribuzione di opuscoli,
volantini, numeri unici di giornali pubblicati dai militanti.
A volte il gruppo si identificava con un giornale pubblicato
con regolarità, come è il caso del quotidiano
«Antorcha» e dei periodici «Sorgiamo»
e «LAllarme». In tutti questi organismi e
in altre di chiara impostazione antifascista la presenza di
piccoli gruppi di calabresi era costante.
A volte alcune associazioni, fondate su basi etniche e mutualistiche,
assunsero in seguito un chiaro connotato politico. Tale è
il caso dellassociazione costituita da un gruppo di cetraresi
che assunse nel corso del tempo le denominazioni di «Gruppo
anarchico cetrarese» e poi «Senza patria»
e infine «Senza patria e senza Dio». Oppure quello
dellassociazione costituita da immigrati coriglianesi,
originariamente denominata «I coriglianesi uniti»
e poi divisa in due entità distinte una delle quali,
la «Cor bonum», assunse una netta impronta anarchica
sotto la guida di Luigi Tassitani.
Da questi dati si può trarre una considerazione: la quasi
totalità degli emigrati segnalati dal Casellario come
anarchici non risulta avere svolto in patria attività
politica di qualsiasi genere, fatta eccezione per i pochi noti
e politicamente attivi.
Ma ciò non deve trarre in inganno. I contadini e i piccoli
artigiani calabresi non erano estranei e totalmente insensibili
alle idee di rivolta che il movimento anarchico e socialista
diffondeva a cavallo tra i due secoli. Molti di loro non poterono
partecipare in patria alle battaglie politiche più radicali
perché costretti a scegliere, per svariati motivi, unaltra
forma di ribellione: la via dellemigrazione, la
rivoluzione silenziosa dei calabresi, secondo la bella
immagine di Giustino Fortunato.
La storia dellemigrazione calabrese in Argentina dimostra
che quegli stessi uomini, apparentemente rassegnati nelle terre
dorigine, erano pronti a dare battaglia politica, anche
con non trascurabili rischi personali, in presenza di condizioni
ambientali che favorivano lo scontro sociale. È per questo
motivo che la storia del movimento operaio calabrese non può
non tener conto anche del contributo di quanti nelle nazioni
di adozione hanno partecipato alle lotte di emancipazione e
di libertà insieme alle organizzazioni operaie di quei
paesi.
Oscar Greco
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