Allorché
Sulpicio Severo tira le fila della Vita di Martino, vescovo
di Tours, evangelizzatore delle Gallie dai modi spicciativi
e taumaturgo, ritiene di farne buon elogio assicurando che "nessuno
mai lo vide adirato, nessuno turbato, nessuno affliggersi, nessuno
ridere". Sulpicio, che conosce personalmente Martino negli
ultimi anni del trecento, così dicendo, non sa di toccare
un tasto particolarmente delicato per i cattolici.
Luca, l’evangelista, aveva ammonito: "guai a voi
che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete".
Ambrogio e Giovanni Crisostomo, che di Sulpicio e Martino sono
stati più o meno coevi, gli sono andati dietro, l’uno
condannando tutti i giochi in generale, l’altro dicendo
che lo scherzo è comunque opera del demonio.
Non è un caso, dunque, se Umberto Eco, nel 1980, sul
rapporto tra riso e cristianità ha potuto imbastire quel
Nome della rosa che costituisce a tutt’oggi
l’opera sua di maggior successo. Nella Chiesa agivano
forze che sentivano oltremodo necessario tener segreto il testo
del secondo libro della Poetica di Aristotele
– dedicato, per l’appunto, al riso. Il riso, infatti,
libererebbe dalla paura e, per qualcuno, la paura è l’alimento
principale e indispensabile alla fede. Da ciò una catena
di delitti e l’incendio purificatore conclusivo, mentre,
a fatica, avanza la fazione opposta, quella che, per esempio,
fa aprire a Tommaso d’Acquino, parecchi secoli dopo Sulpicio
e Martino, uno spiraglio a favore dell’umorismo che, pur
rimanendo cosa da evitarsi, come manifestazione della razionalità
umana, potrebbe anche risultare "virtuoso".
Che la questione sia lontana dall’essere risolta, lo dimostra
il "licenziato in teologia pastorale sanitaria" (cosa
sia lo sa Dio, ma debbo ammettere che l’ultimo aggettivo
mi preoccupa) Edoardo Gavotti, in un libro che, sotto il titolo
di Umorismo e salute (Edizioni Camilliane, Torino 2003)
non nasconde le sue mire più autentiche, quelle di discutere
"come aiutare la salute del corpo e la salvezza dell’anima
con l’allegria".
Convinto che oggi si sia "imparato a distinguere fra certezze
dogmatiche e dogmatismo" – e, a differenza di me,
convinto che questa distinzione abbia un senso –, Gavotti,
riesce a scovare nell’Antico Testamento una ridda di buontemponi
e, forte di dotte citazioni, riesce perfino a disegnare la figura
di Gesù Cristo come quella di un umorista, maestro di
giochi di parole, d’ironia e di satira – senza contare
che, a suo avviso, saremmo tutti "figli di un Dio che ride".
Alla base del suo ragionamento, sta l’idea che "come
ogni realtà mondana, l’umorismo è cosa buona
in sé, perché prevista dal creatore" e che,
tuttavia, sarebbe "esperienza che va redenta".
Qui non si tratta più soltanto di contraddizioni interne
alla Chiesa – quelle ci sono, palesi, nonostante tutti
i tentativi di nasconderle, nonostante la Chiesa più
o meno sorridente di oggi sembri (sottolineo
il verbo) preponderante rispetto alla Chiesa cupa e torva. Qui
c’è la contraddizione tutta filosofica della "cosa
in sé" e della cosa addirittura "buona in sé"
– una bontà comunque sospetta, perché bisognosa
purtuttavia di un lavaggio ulteriore con il misterioso sapone
della redenzione (una fortunata metafora, dal latino "emere",
che sta per "comprare una seconda volta" o "riscattare",
come il "riscattare gli schiavi", antecedente e calco
per il "riscattarsi dal peccato originale"). C’è,
in altre parole, una versione particolarmente estesa della vecchia
protervia cattolica che decide cosa è bene e cosa no.
Qui, bene, praticamente, è tutto e, dunque, nulla è
più distinguibile dal suo opposto. Anche perché,
come sostiene Gavotti rispolverando la tesi della predestinazione
delle anime – una tesi che è costata l’accusa
di eresia a tanti –, l’umorismo cristiano sarebbe
l’ "ammiccante e sereno sberleffo di chi sa che i
giochi sono già stati fatti da Dio".
Felice Accame
P.s.: Se il tasto dell’umorismo è particolarmente
delicato per i cattolici, non è detto che non lo sia
anche per altre categorie sociopolitiche. Per esempio, per i
marxisti. Vita di Martino di Sulpicio Severo è pubblicato
con testo latino a fronte, ben curato da Fabio Ruggiero, dalle
Edizioni Dehoniane, Bologna 2003.
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