Ursula Le Guin ha gentilmente concesso a noi di Anarchy
di rivolgerle alcune domande. Quella che segue è la collazione
di due interviste condotte per email nel frenetico periodo di
fine anno, in cui era occupata dalle visite di amici e parenti.
Vi è
la tendenza ad ambientare le utopie in luoghi in cui il problema
della scarsità non esiste; in cui la gente, sul piano
materiale, ha tutto ciò che le serve. Da dove pensi ti
sia nata l’idea di scrivere di un’utopia in cui
i bisogni materiali della gente non siano interamente soddisfatti?
I reietti dell’altro pianeta (The Dipossessed,
in Italia anche conosciuto col titolo Quelli di Anarres,
N.d.T.) avanza la tesi che i bisogni materiali non siano l’aspetto
fondamentale di un’utopia…
Credo che l’idea di ambientare un esperimento utopico
in un contesto ambientale molto difficile e povero mi sia venuta
dal voler reagire alla confusione tra il concetto di “vita
buona” e di “La Vita dei Beni”, se è
chiaro quel che intendo (nell’originale inglese, gioco
di parole tra “a good life” e “The Good Life”,
N.d.T.). Per molti l’“utopia” assomiglia
a un enorme supermercato, in cui tutto abbonda, tanto il necessario
quanto il voluttuario. A molti degli abitanti dei paesi più
poveri, l’America è sempre apparsa una specie di
utopia, non è vero?
Ma c’è una grande differenza tra “abbondanza”
e “abbastanza”. Nessuna utopia che si basi su un’equa
distribuzione potrà mai promettere più del sufficiente.
Il sovrappiù è una necessità solo per il
capitalismo, il quale si basa sulla crescita perpetua e su una
radicale ineguaglianza della prosperità materiale.
Inoltre, ambientando il mio esperimento anarchico su un pianeta
povero di materie prime, è stato più semplice
(e un autore di romanzi deve semplificare) mostrare come funzionasse
la società. Quando c’è a malapena di che
sfamare tutti e tutti devono lavorare per ottenerlo, garantire
un’equa distribuzione è molto più facile.
Ursula Le Guin
L’anarchia al femminile
In un’altra intervista (letta in rete) si afferma:
«LeGuin spiega che ‘storicamente l’anarchia
è stata identificata con il femminile. L’ambito
riservato alle donne… “la famiglia”, per esempio…
è il campo dell’ordine senza la coercizione del
governo, attraverso la consuetudine e non attraverso la forza.’»
Ci piacerebbe che ci dicessi qualcosa di più in proposito,
sul quel che pensi dell’idea di anarchia come femminile,
del governo attraverso la consuetudine e non la forza.
Intanto correggiamo l’ortografia, se c’è
qualcosa rispetto a cui non sono anarchica è l’ortografia
e la grammatica – si scrive Le Guin. OK. Be’, è
una questione filosofica enorme e non sono sicura di volerla
affrontare daccapo. Vi sono parecchie prove fondate del fatto
che il modo delle donne di condurre le cose (nella loro sfera
di potere solitamente limitata) sia ben diverso dal modo tipico
degli uomini (i quali, di solito, iniziano col riservarsi quasi
interamente il potere). Il fatto stesso che le donne generalmente
accettino questo stato di cose è significativo. Le donne,
di norma, sembrano non desiderare il tipo di potere che gli
uomini vogliono con tanta determinazione. Alle donne sembra
non importare un bel nulla chi è il re e chi è
il capo e così via, fintanto che possono gestire la propria
vita – che necessariamente tende a incentrarsi sulla famiglia,
la quale, naturalmente, nella maggior parte delle società
non si riduce a una coppia, ma è un gruppo più
esteso, una tribù o un villaggio. E in quest’ambito,
il modo preferito dalle donne di mantenere l’ordine non
è con la forza, ma con la persuasione, attraverso l’utilizzo
di premi e della riprovazione – strumenti di natura sociale
piuttosto che la forza bruta. E tendono a ricercare il consenso,
piuttosto che a voler imporre la propria personale volontà.
Le donne sembrano preferire la collaborazione alla gerarchia.
Non saprei dire quanto questo modo di governare senza autorità
centrale sia davvero connesso al genere – penso che nessuno
lo sappia. Potrebbe non essere affatto tipicamente femminile.
Potrebbe semplicemente essere l’eccessivo machismo della
nostra società a vedere tutto ciò come femminile.
Il governare attraverso il consenso, senza un capo, era piuttosto
comune tra le popolazioni dei nativi americani. Gli europei
invasori – tutti uomini, naturalmente – non riuscivano
assolutamente a capirlo; dissero agli indiani, dovete avere
un Grande Capo; non può esistere una società senza
un Uomo al Vertice! Così gli indiani furono costretti
a tirar fuori un qualche vecchio dei loro che era capo guerriero
o maestro di danza o che aveva qualche carica, e con questi
i bianchi fecero un accordo, per poi infrangerlo. Lo statuto
delle donne era molto diverso a seconda dei popoli nativi; in
alcune società le donne avevano l’autorità
ultima, e nominavano i capi; in altre – particolarmente
tra i popoli guerrieri molto ammirati dai bianchi – le
donne erano trattate da serve e da beni di scambio. E tuttavia,
perfino queste società erano governate per consenso e
non per decreto imposto dall’alto. Attraverso la consuetudine
e non attraverso la forza.
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Mangiare il brodo con le mani
Come giudichi la forza della tecnologia nelle nostre
vite? Buona, cattiva, irrilevante?
Tecnologia significa uso di strumenti. La tecnologia e il linguaggio
sono ciò che ci ha diversificati da qualunque altro essere
sulla terra. Chiunque pensi che la tecnologia è irrilevante
dovrebbe provare a mangiare brodo di pollo con le mani.
Quanto si ripercuote l’aumento della visibilità
e dell’accettabilità dei transgender sulla
tua visione di ciò che è possibile/desiderabile?
Mi rallegra. Mi fa pensare che forse la gente non è
tutta fatta di stupidi bigotti che invocano la religione per
giustificare l’odio e la paura. Fa capire che le persone
possono cambiare – piano piano… che possono imparare
– piano piano…
Quanto la tua opera continua a essere attraversata
dall’anarchismo, in modi più sottili? Ti pare un
tema duraturo?
Sì, in quanto è connesso al taoismo, e a un generale
istinto alla sovversione intellettuale, all’antiautoritarismo,
all’opposizione alla gerarchia e a un’estrema eterodossia
religiosa.
Molto interessante. Potresti approfondire?
No, davvero, a questo punto non posso. Mi dispiace.
Qual è attualmente la tua relazione con il pensiero
anarchico? Hai fatto cenno a qualche rivista autoprodotta e
a Moe Bowstern – ci sono delle idee che ritieni stimolanti,
che ti fanno riflettere, tra le cose che leggi o che ascolti
in giro?
Non molte, francamente. Ma non sono una persona politicizzata.
I miei interessi non sono propriamente di natura politica, quanto
sociale e morale. E la cosa terribile che sta succedendo al
mio paese sotto l’amministrazione Bush ha limitato la
mia attenzione al tentativo di trovare modi e alleati per resistere
alla conquista corporativa/fondamentalista. Troverei stimolante
chiunque avesse una chance di sconfiggere con l’intelligenza
questa gang.
Utopie pianificate
Hai letto qualche saggio/opera di fantascienza simile
a (o che ti ricordi, o che si sia ispirata a) I reietti
dell’altro pianeta? Trovi frustrante che si continui
a far riferimento a un libro che hai scritto tanti anni fa?
Hai rivisitato ultimamente quelle questioni in un modo che oggi
abbia per te maggior significato?
Be’, ho parlato delle utopie pianificate (come Anarres)
in un saggio intitolato “Una visione non euclidea della
California come luogo freddo di domani” che è stato
pubblicato nel mio libro Dancing at the Edge of the World
del 1989; l’edizione tascabile era ancora in commercio
l’ultima volta che l’ho cercata.
Lì proponevo (a me stessa, in ogni caso) di lasciare
l’utopia modello per arrivare a qualcosa di più
selvaggio – intento con cui ho scritto il romanzo utopico
Sempre la valle, che difficilmente è visto come un’utopia
perché non ha un progetto o un’affiliazione di
natura politica.
Si tende a pensare che questo romanzo parli degli indiani. In
effetti ho preso qualche elemento da diverse società
native americane, ma credimi, i kesh del mio libro non sono
indiani, né nessun’altra popolazione di mia conoscenza;
ho tratto ispirazione da tutte le società non-capitaliste,
più o meno basate sul consenso di cui ho trovato traccia.
E per di più, mi sono concessa qualche libertà
nei confronti di quella che chiamiamo “natura umana”.
(E questo perché, da brava figlia di un antropologo,
sono stata educata a diffidare di qualsiasi discorso sulla o
convinzione nella “natura umana”. Perché
finora la “natura umana” si è sempre rivelata
una questione di opinione, non di osservazione.)
In quel libro, cercavo di parlare della stessa dicotomia che
abbiamo sollevato qualche domanda fa – la società
del consenso contro la società gerarchica; il governo
attraverso la consuetudine piuttosto che per decreto; assegnazione
dell’autorità in determinate occasioni, ma assenza
di qualsiasi autorità permanente di alcun genere; obbligo
di condivisione della ricchezza invece che aspettative di ammassare
ricchezze; assenza di classi sociali, compresa la fondamentale,
classista/di potere “divisione del lavoro” secondo
linee di genere, una spiritualità costante, quotidiana,
comunitaria, al posto di un unico dio, di una casta sacerdotale,
del dogma, della “fede” – ecc.
Sullo sfondo della storia ho piazzato una società molto
maschilista, gerarchica, bellicista, monoteista, per far risaltare
il contrasto. Ma è un libro molto complesso, e in un
certo senso elusivo, poiché davvero non volevo predicare
ma semplicemente condividere questa idea, che ritenevo promettente,
bella e appassionante. Ma non si presenta come un’utopia.
Perciò nessuno è d’accordo con me nel sostenere
che Sempre la valle sia in realtà una visione
utopica molto più radicale di quanto non sia Anarres
ne I reietti dell’altro pianeta.
Ad ogni modo, il libro rappresenta il mio punto di arrivo in
quella direzione.
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Le persone sono persone
In che modo il genere dei tuoi personaggi, specialmente
Odo e Shevek, è per te importante?
Be’, come penso di aver provato a spiegare prima, in
un romanzo le persone sono persone. Capita che abbiano un genere,
nel modo in cui generalmente ce l’hanno le persone –
fintantoché siamo d’accordo nel ritenere che per
una buona parte delle persone, se non per tutte, il genere è
in larga misura una costruzione sociale, non una fatalità
fisica. OK?
Odo era una donna – forse perché così avrebbe
potuto letteralmente incarnare alcune di quelle qualità
anarchiche “femminili” di cui parlavamo –
forse perché mi stuzzicava l’idea che fosse una
donna (invece di un qualche tizio barbuto) a fondare un intero
movimento sociale e infine un’intera società –
Forse soltanto perché voleva essere una donna. Per quanto
riguarda Shevek, be’, è un uomo, ecco chi è,
chi vuole essere. Mi piace scrivere di uomini, e di signorine,
di gay, e di etero e di gatti, chiamali come vuoi.
La gente è strana. Ecco perché ci sono gli scrittori.
Se dovessi riscrivere oggi I reietti dell’altro
pianeta, che cosa cambieresti? Come sono cambiate le tue
idee in merito all’anarchia?
Le mie idee non sono molto cambiate, ma lo sono io, motivo
per cui oggi non potrei riscrivere quel romanzo – non
sono più la stessa persona. Un romanzo non è fatto
solo di idee. Coinvolge il corpo tanto quanto la mente, forse
anche di più. Le idee sono belle e salde e solide e durature.
I corpi no. I corpi sono molto anarchici e inaffidabili e, be’,
vivi.
Fino a quando non muoiono e diventano idee. Io intendo rimanere
corpo il più a lungo possibile.
Lawrence Jarach
Leona Benten
L. D. Hobson
(ripreso da “Anarchy” primavera-estate 2004
traduzione dall’inglese di Anna Spadolini)
Riportiamo
un’ampia bibliografia (non definitiva) di traduzioni
dei libri di Ursula Le Guin, curata da Riccardo Caneba
e ripresa dal sito: www.feministsf.org/femsf/authors/leguin/italianbib.html
- 1971
- La mano sinistra delle tenebre (The Left
Hand of Darkness), Libra Editrice
- 1973
- L'ultimo pianeta al di là delle stelle
(Rocannon's World), Ed. Delta
- 1974
- La falce dei cieli (The Lathe of Heaven),
Ed. Nord, successivamente ripubblicato nel 1983 e nel
1992, traduzione di Riccardo Valla
- 1975
- Citta’ delle illusioni (City of
Illusions), Ed. Longanesi, traduzione di Margherita
Molinari
- 1976
- I reietti dell'altro pianeta (Dispossessed),
Ed. Nord, traduzione di Riccardo Valla, successivamente
ripubblicato nel 1990 e nel 1994 con il titolo Quelli
di Anarres
- 1977
- Il mondo della foresta, Ed. Nord, comprende
Il mondo della foresta (The Word for World
Is Forest) ed il racconto La nuova Atlantide
(The New Atlantis), traduzione di Riccardo
Valla
- 1978
- Le donne del millennio (Millennial Women),
Ed. Nord, raccolta di racconti e romanzi brevi comprendente
L'occhio dell'airone, traduzione di Roberta
Rambelli
- 1979
- I dodici punti cardinali (The Wind's
Twelve Quarters), Ed. Nord, con premessa e note
introduttive dell'autrice, presentazione di carlo Pagetti,
traduzione di Roberta Rambelli
- 1979
- Donne del Futuro, Ed. Savelli, raccolta di
racconti comprendente Il giorno prima della rivoluzione,
traduzione di Donatella Cerutti
- 1979
- Il mago di Earthsea (The Wizard of Earthsea),
Ed. Nord, traduzione di Roberta Rambelli
- 1979
- Pianeta dell'esilio (Planet of Exile),
Ed. Nord, traduzione di Riccardo Valla
- 1980
- Il meglio di Galaxy vol. II, Ed. Mursia,
raccolta di racconti comprendente Il campo della
visione (Field of Vision), traduzione
di Iole Luisa Rambelli
- 1980
- Le tombe di Atuan (The Tombs of Atuan),
Ed. Nord, traduzione di Roberta Rambelli
- 1981
- La soglia (Beginning Place), Ed.
Nord, traduzione di Roberta Rambelli, ripubblicato nel
1991
- 1981
- La spiaggia piu’ lontana (The Farthest
Shore), Ed. Nord, traduzione di Roberta Rambelli
- 1984
- Il mondo di Rocannon (Rocannon's World),
Ed. Nord, comprende il racconto La collana
(Samley's Necklace – The Dowry of Angyar)
come prologo, traduzione di Riccardo Valla
- 1984
- La mano sinistra delle tenebre (The Left
Hand of Darkness), Ed. Nord, traduzione di Ugo
Malaguti
- 1984
- La rosa dei venti (The Compass Rose),
Ed. Nord, raccolta di racconti, introduzione dell'autrice,
presentazione di carlo Pagetti, traduzione di Roberta
Rambelli
- 1985
- Nove vite, Editori Riuniti, antologia comprendente
il racconto Nove vite (Nine Lives)
- 1986
- Il linguaggio della notte (The Language
of the Night), Editori Riuniti, raccolta di saggi,
traduzione di Anna Scacchi
- 1986
- Sempre la valle (Always Coming Home),
Ed. Mondadori
- 1987
- L'occhio dell'airone, Ed. Eleuthera, comprende
L'occhio dell'airone (The Eye of the Heron)
e Il giorno prima della rivoluzione (The
Day Before the Revolution), traduzione di Roberta
Rambelli
- 1989
- La saga di Earthsea, Ed. Nord, antologia
comprendente i tre romanzi di Earthsea
- 1990
- Aliene Amazzoni Astronaute, Ed. Mondadori,
raccolta di racconti, comprendente Sur e Intracom,
entrambi tradotti di Oriana Palusci
- 1991
- I premi Hugo 1984/1990, a cura di Piergiorgio
Nicolazzini, comprende il racconto Le ragazze bufalo
(Buffalo Gals, Won't You Come Out Tonight),
traduzione di Riccardo Valla
- 1991
- Agata e pietra nera (Very Far Away Anywhere
Else), Ed. Salani, traduzione di Mariarosa Giardina
Zannini
- 1992
- L'isola del Drago (Tehanu), Ed.
Longanesi, traduzione di Riccardo Valla, ripubblicato
nel 1995 per la TEA
- 1992
- I mondi di Ursula Le Guin, Ed. Nord, comprende
Pianeta dell'esilio, La falce dei cieli,
Il mondo della foresta, ed il racconto La
nuova Atlantide, traduzioni di Riccardo Valla
- 1994
- Quelli di Anarres (Dispossessed),
Ed. Nord, riedizione de I reietti dell'altro pianeta
- 1994
- La via del mare (Searoad Chronicles of
Klatsand), Ed. Eleuthera, traduzione di Vincenzo
Mantovani
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