Gli anarchici
genovesi
dal 1943 al 1950
È uscito, per le edizioni Annexia, il libro Il
movimento anarchico a Genova (1943-1950) di Anna Marsilii.
Il periodo a cavallo della fine della seconda guerra mondiale,
dalla lotta resistenziale agli inizi degli anni ’50 è
cruciale per le sorti del movimento anarchico uscito dal lungo
tunnel del fascismo, della clandestinità, delle persecuzioni
e del confino, dell’emigrazione. Gli anarchici genovesi,
così come quelli di molte altre parti del Paese, si ritrovano
dapprima nella lotta partigiana – costituendo formazioni
combattenti autonome – e in seguito, nella costituzione
della Federazione Anarchica Italiana, sintesi unitaria di federazioni
e gruppi locali di notevole consistenza. Il peso del movimento
non è certo paragonabile a quello ante fascismo, ma,
ad esempio, la Federazione Comunista Libertaria ligure assomma
ad almeno 2.000 militanti e iscritti, è in grado di pubblicare
un proprio organo di stampa (L’Amico del popolo)
e numerose sono le sedi aperte nei vari quartieri e delegazioni
del genovesato. Anche in campo sindacale la situazione non è
facile, l’unità d’azione sviluppata durante
la Resistenza con i militanti degli altri partiti, porta gli
operai anarchici ad aderire alla CGIL, rinunciando alla ricostituzione
dell’USI, e organizzandosi come minoranza nei Comitati
di Difesa Sindacale. Tuttavia gli anni dell’immediato
dopoguerra sono anni di vitalità del movimento anarchico
genovese e italiano, che si propone come minoranza battagliera
e intransigente. Il 1948, però, segna uno spartiacque.
La rottura dell’unità sindacale, il passaggio dei
socialcomunisti all’opposizione, segna una fase di incertezza
in molti militanti anarchici e in alcuni, un passaggio al PCI.
Si apre un periodo di staticità e di ripiegamento al
proprio interno e le spinte al rinnovamento che vengono da molti
giovani sfoceranno nella dolorosa scissione dei GAAP. Il movimento
anarchico privato di una parte del suo elemento più propulsivo
si avvierà verso una fase di lento declino, interrotta
solo dalla primavera del ’68.
Alle vicende genovesi di questo periodo – paradigmatiche
comunque di un trend nazionale – è dedicato questo
lavoro di Anna Marsilii. La ricostruzione dei fatti e del dibattito
è rigorosa e – per quanto permettono ormai le scarse
fonti rimaste – dettagliata e documentata. Largo spazio
è anche dedicato alla vicenda dell’attentato al
consolato spagnolo di Genova, ad opera dei tre giovani anarchici
Delucchi, Mancuso e Busico, alla sua risonanza e al movimento
di solidarietà che, a livello nazionale, si sviluppò
nei loro confronti. Un libro importante, di cui c’era
estremo bisogno, necessario per riportare alla luce un pezzo
di storia determinante del nostro movimento e per riprendere
la riflessione su scelte, o magari occasioni mancate, dei militanti
di allora.
Guido Barroero
Il libro può essere richiesto alla Libreria
Annexia di Stradone S. Agostino, 8r – 16123 Genova –
tel. 0102534237 – e-mail: annexia23@libero.it.
Il costo del volume di 192 pagine è di 15,00 euro, spese
di spedizione incluse, pagamento contrassegno. Per gli ordinativi
di almeno cinque copie sarà praticato lo sconto del 40%.
Penso a
Verlaine
Io invece penso a Cristalli (Paolo Cristalli, Io penso
alla strada, io penso a Verlaine, Editrice Rivista
Abruzzese, 2003), penso alla notte. Lo penso di notte nelle
strade proprio come quell’ombra lunga che si staglia,
nelle suggestive foto di Pasquale Comegna, sul selciato pietroso
di un qualunque chissà dove del mondo o della sua solitudine.
La notte è la matrice-divoratrice che genera il sogno,
come anelava Rimbaud, di “un’altra vita” e
che per ferocia ineluttabile ne determina, al tempo stesso,
anche il crollo istantaneo o un franare retroattivo, lento e
rituale, come un’esecuzione ripetuta all’infinito
sul corpo martoriato del ricordo. Paolo Cristalli è un
poeta dolente nel senso più fisico e sacrificale del
termine.
Sulla scia dei poeti “maudit” pare toccato, nella
buona e nella cattiva sorte, da un senso di predestinazione,
anche quando questa ipotesi non ha senso alcuno o, al contrario,
è provocata dall’ottusa indifferenza del “prossimo”
distante. Un poeta diviso tra un’acida mestizia e un dolcissimo
furore, sbattuto da marosi esistenziali contro una terra dura
che non è la sua poiché apolide all’interno
di un tormentato movimento interiore che non lo porta da nessuna
parte, se non nell’altrove, in quella zona parallela di
apparente armistizio dove rifugiarsi come un profugo depredato
in un campo di rovine intimiste.
Ma la reattività di Cristalli è indomita, somiglia
al colpo di coda di uno squalo che anche all’ultimo morso
può essere pericolosissimo. È sicuramente un poeta
isolato, fuori clan, scomodo, eretico. L’ambiente dei
poeti accademici, cosi glaciali e letargici, non conoscono fraternità
verso i loro consimili “dall’altra parte della riva”.
Questa genia di polli freddi rivolti al sublime e alla celestialità,
questi chierichetti del verso puritano e asettico, questi aristocratici
astensionisti che non si sporcano le mani con la vita reale,
hanno contribuito ad affossare la poesia, ad allontanarla dalla
gente, a renderla elitaria, a spegnere l’indignazione
civile. Cristalli rigetta i giochi formali estremi che altri
manipolano e venerano come unica finalità della poesia
stessa, Cristalli apre un altro gioco: le jeu de massacre. E
il primo a andare al massacro è proprio lui quando massacro
vuol dire spogliazione di sé, scandalo, provocazione,
invettiva, insulto. È la poesia dello “strappo”
nel senso della lacerazione, della visceralità sviscerata,
del corpo poetico sanguigno perché sanguina, va in brandelli,
si disintegra, e si ricostituisce solo in un esacerbato solipsismo
che ha dell’eroico, l’eroismo di chi, inadeguato
ai sistemi sociali vigenti, trova una sua uscita di soccorso
nell’anatema rancoroso e nel pedinamento di teneri fantasmi
d’amore per un attimo apparsi con la loro offerta di carnale
conforto. Ma oltre a questo conforto, ci sono dei compagni di
viaggio che non lo abbandonano mai: Léo Ferré
e Jean Roger Caussimon due grandi poeti anarchici che assumono
le sembianze di fraterni angeli notturni col pugno chiuso e
la gola aperta. La notturnità di Baudelaire.
Cristalli, più francese che italico, è figlio
dei bistrot parigini, quelli che – dagli anni ’40
agli anni ’50 – hanno visto la nascita della canzone
d’autore, la Poesia in musica, il concerto dell’utopia
libertaria. In quei bistrot dove letterati come Sartre, De Beauvoir,
Vian, Camus, Breton, Prevert, interagivano con gli artisti del
cabaret intellettuale dando vita a un nuovo modo di fare e percepire
la poesia cantata, rendendola un genere di pari livello con
le altre forme espressive storicamente consolidate. Questo libro
cosi fuori schema unifica in un intreccio ombelicale, formule
creative diversificate: canzoni, poesie, prose. Bisogna stare
attenti quando lo si tocca: urla. E non urla solo sdegno e rabbia,
ma un infinito amore, eternamente adolescente, puntualmente
disilluso, caparbiamente testardo nell’offrirsi in una
clonazione continua come un punto sorgivo al quale noi tutti
ci abbeveriamo nella speranza di placare una sete che di questi
tempi rischia di diventare arsura. E se questo non sarà
possibile, allora, a denti stretti, proprio come Cristalli diremo:
vaffanculo!
Mauro Macario
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