My
favorite string
Lui suona la chitarra ma, insomma, ciò che ne viene
fuori non è proprio quello che ci si aspetta da un
chitarrista normale. Il suono delle sue canzoni, che poi non
sono neanche canzoni, è storto, angolare, bislacco,
contorto. Sembra venga da chissà dove, invece che da
una chitarra. Mah.
Luciano Margorani brilla. Brilla per la sua assenza testarda
dalle scene musicali (da tutte) e per la sua lontananza dai
“giri” (da tutti), e non perché preferisca
rintanarsi nel suo monolocale in cima alla torre, quanto per
quel suo sentirsi a disagio nei salotti con la bella gente
che tutto conosce e tutto ha già sentito. Brilla, Luciano.
Brilla per i salti mortali di genio delle sue registrazioni
che rende pubbliche solo raramente, quasi fossero profezie,
o stelle comete: è uno di quelli che bisogna cercare,
e che non si fanno trovare dove te li aspetteresti.
Prendiamo adesso questo suo lavoro recente; senza contare
un incredibile cd-rom dal vivo autoprodotto e casalingo e
mai circolato al di sopra dell'orizzonte, l’altro suo
cd da solista Home recording is killing studios mi
sembra sia uscito nell’89, e sono di prima ancora gli
album del suo gruppo LA1919 (magari qualcuno dalla memoria
lunga si ricorda dei loro nodi sonori inestricabili su F/Ear
this!).
My favorite strings è un titolo che accarezza
Coltrane per abbandonarlo subito dopo su una piazzola dell’autostrada,
titolo divertente e irrispettoso appiccicato a un cd anche
questo introvabile nei negozi soliti.
È il documento di quattordici diverse collaborazioni
più o meno a distanza, definibili come rimaneggiamenti
e rimescolamenti incrociati ad opera di Luciano e di un diverso
compagno di chitarre, da Franco Fabbri ad Elliot Sharp, da
Eugene Chadbourne a Roberto Zorzi più altri dieci.
Come dire, alcune tra le dita migliori che abbiano mai accarezzato/strappato/amato/pestato
corde in quest’ultimo quarto di secolo (manca solo Fred
Frith… però peggio per lui).
Il progetto, di una semplicità organizzativa disarmante,
in altre mani potrebbe rischiare di trasformarsi in un becero
dépliant d’agenzia immobiliare, o in un sampler
da palestra con trionfo di bicipiti e abbronzature artificiali.
Per sua e soprattutto nostra fortuna, invece, il Luciano Margorani
non ci casca, e offre musica come offrisse cibo ai suoi amici,
che in cambio gli hanno offerto sorridendo altra musica-come-cibo:
la loro. Il risultato è, più che luminoso, abbagliante.
Finché non lo ascolterete, vi lascio solo immaginare
la gioia pura che si prova ad accorgersi di tutti questi nuovi
riflessi, di tutte queste nuove onde del suono. Da questo
cd escono spettri, fumi, risate (molte), macerie e finalmente
musiche nuove e distanti.
Immaginate il Grande Vecchio Derek Bailey trattato da compagno
di briscola invece che da santino col lumino acceso davanti.
Immaginate chitarre con la voce di scoiattolo, di giornata
libera, di nebbia in Valpadana. Immaginate tutto questo come
un grande gioco di scambi ed abbracci che porta divertimento
e spalanca le finestre della mente e vi cambia l’aria
ferma in testa.
Voi, che amate ascoltare i chitarristi: dopo una sola dose
di questa musica dimenticherete Eric Clapton e come-si-chiama-quello-lì-dei-Dire-Straits…
(ecco, dimenticato: ve l’avevo detto).
Cercate questo cd come si cerca il mattino dopo una notte
nera lunga quindici anni (contatti: Luciano Margorani, corso
22 Marzo, 61 20129 Milano).
Ecologia della musica
S’era incrociato tempo fa su queste pagine Antonello
Colimberti per segnalare il curioso libro+cd Musiche e sciamani;
rieccolo a curare un’importante ed impegnativa antologia
di scritti, a nome Ecologia della musica (Donzelli
Editore).
Il libro – a volte didattico e scorrevole, altre volte
invece inaccessibile come
un testo per iniziati – è un’ascensione
che avvincerà chi non s’accontenta di scivolare
sulla superficie del suono, e desidera investigare nel tempo,
nei diversi posti e culture dell’uomo, nelle pieghe
del pensiero.
Antonello ha ricercato e raccolto un grande cesto di contributi,
ciascuno volto a svelare misteri, a spiegare ragionamenti,
a cercare radici e propaggini in una storia umana e sonora
lunga mille e mille anni.
Uomo e suono assieme indissolubilmente da ancor prima della
nascita (illuminanti le osservazioni di Marcel Jousse sul
mondo sonoro dei bambini), fusi dalla tradizione e dal destino
(nel saggio di
R. Murray Schafer qui tradotto si comparano i miti della creazione
del mondo propri delle culture geograficamente più
distanti, per scoprirne affinità sconcertanti), parti
inscindibili della stessa Natura (si legga, a questo proposito,
quanto qui scritto da David Rothenberg).
Un libro interessante e importante, che non solo fa riflettere
sulle motivazioni del suono e della creatività, ma
spinge addirittura alla meditazione.
Marco Pandin
Il
Premio Ciampi ai Marmaja
Se volete il loro terzo Cd…
Istituito
per volontà dell’associazione culturale
omonima e dell’ARCI di Livorno in ricordo del
“controverso” cantautore anarchico, il
Premio Ciampi è divenuto nelle sue dieci edizioni
un importante punto di riferimento per quei “musicisti
che stentano a porsi all'attenzione di pubblico e
critica, rigettati da un mondo che si muove in base
a regole commerciali che finiscono con il mortificare
ogni forma di creatività”. Conferito
nel passato a Fabrizio De André (premio alla
carriera, 1997), a Lalli (premio speciale della giuria,
1999) e a Les Anarchistes (premio al miglior debutto
discografico, 2002), quest’anno il premio va
ad altri nostri compagni di strada, i Marmaja.
La
storia del gruppo rodigino (potete contattarli direttamente
sul sito www.marmaja.com)
si può paragonare ad una brutta strada montana
in salita, ricca di curve improvvise e sassi taglienti,
frane e voragini inaspettate. Una strada difficile
su cui si sono incontrati e persi tragicamente amici
fraterni, lungo la quale s’è condiviso
pane e vino, risate e disperazione.
È grazie a compagni come questi che la musica
migliore, quella che viene in viaggio dal cuore passando
prima per la testa e si nutre della nostra incazzatura
e del nostro piangere, ha saputo rimanere estranea
ai meccanismi del mercato, è riuscita a sopravvivere,
ad andare avanti e a costruirsi una strada. Strada
stretta, fatta anche questa di sassi e frane, spine
di rovo ai fianchi e nessun riparo, spesso. Strada
in salita, sempre.
Abbiamo a disposizione (per ora) 100 copie del loro
terzo ed omonimo cd: una parte del ricavato va in
sottoscrizione a sostegno di “A”. Il cd
costa 12,00 euro e viene da noi diffuso a questo prezzo,
spese di spedizione postale comprese, secondo il nostro
consueto “stile”. Per chi ne acquista
almeno 3 copie, il prezzo scende a 11,00 euro.
|
Per
ordinarlo, basta effettuare un versamento sul
conto corrente postale o un bonifico bancario
a nostro favore. Per accelerare i tempi, consigliamo
di inviarci per fax o scannerata via email l’attestazione
dell’avvenuto pagamento, cosicché
possiamo effettuare subito la spedizione. Aggiungendo
4,00 euro (fissi, indipendentemente dal numero
di copie ordinate e dall’importo totale)
si può ricevere il pacchetto a casa in
contrassegno.
Naturalmente, il cd dei Marmaja può essere
ordinato insieme a tutti gli altri nostri “prodotti”
(dall’abbonamento ad “A”, alle
letture, dai cd e dvd di De André alla
“Musica per A”). In ogni caso, vi
rinviamo al modulo
d’ordine online. |
|
Musica
a cui voler bene
Il
titolo della rubrica va un po’ stretto ma, con
un po’ di pazienza, si dovrebbe capire perché
si parla di cinema in uno spazio dedicato alla musica.
Almeno lo spero.
Punto primo: questa non è una recensione in quanto
il film Nemmeno il destino esce nelle sale
a fine ottobre e io non l’ho visto. Conosco il
regista Daniele Gaglianone per il suo primo film I
nostri anni e conosco (ma forse dovrei scrivere:
conosciamo) Lalli, cantante e autrice – nei Franti,
anni ‘80, con il sottoscritto; come solista, due
album molto apprezzati per “il manifesto”
– e ora anche una delle protagoniste di questo
lungometraggio. Attrice dunque. Via mail le ho rivolto
alcune domande ma le risposte le troverete qui al fondo,
dopo una breve scheda del film in questione, largamente
tratta dal sito della Fandango, la casa di produzione.
Al festival del cinema di Venezia ha avuto un buon successo,
il film precedente, I nostri anni, era molto
bello ed emozionante, Gianfranco Bettin, autore del
libro da cui è tratto il soggetto è uno
scrittore noto per l’impegno politico e sociale
(Pietro Maso, una storia dal vero 1992, Sarajevo,
maybe 1994, Piazza Fontana 1999, Petrolkiller
2002), quindi direi che se ne consiglia la visione,
come dicono in televisione i critici veri.
Daniele
Gaglianone
Nato
ad Ancona il 4/11/1966, si laurea in Lettere Moderne
all’Università di Torino, corso di laurea
in Storia e critica del cinema con il professor Gianni
Rondolino. Dal 1991 collabora all’Archivio Nazionale
Cinematografico della Resistenza (ANCR) di Torino, per
il quale produce, tra gli altri, Alla ricerca di
Gobetti 1992, Lancia di Chivasso, una comunità
operaia non rassegnata 1994, Le stagioni della
Resistenza 1996, Antonio Gramsci. Gli anni
torinesi 1997. È assistente alla regia per
Gianni Amelio nel film Così ridevano.
Primo lungo I nostri anni presentato a Cannes,
vincitore del Premio Sacher D’Oro (opera prima).
Nemmeno
il destino
(commento del regista)
Nemmeno
il destino è una storia di periferia. Periferia
urbanistica e dell’anima, è questo lo spazio
fisico e mentale, il limbo esistenziale in cui si ritrovano
i due giovani protagonisti, Alessandro e Ferdi. Hanno
fra i 15 e i 17 anni , sono compagni di scuola insieme
all’amico Toni ed abitano in una città
post (ma forse sarebbe più giusto dire ex) industriale
in decadenza, in via di smantellamento e/o ristrutturazione
ed invasa da cantieri. Ale e Ferdi cercano un loro luogo,
il proprio posto nel mondo un’oasi fra le macerie
che non sono solo quelle delle fabbriche dismesse.
Le macerie sono anche quelle delle proprie famiglie…
Questo film è per quelli che non ci stanno, che
pensano che ci debba essere un altrove da conquistare,
è una rabbiosa elegia, un pianto gridato, un
urlo silenzioso e muto contro i fantasmi del passato
e i mostri del presente.
Intervista
a Lalli
Recitare
in un film, cantare, un palco, comporre canzoni. Come
ti sei sentita? In fondo, è una performance ma
dilazionata nel tempo. Che affinità hai trovato
nel gesto, nel comunicare?
Innanzitutto
devo dire che sono stata molto fortunata ad entrare
nel cinema diciamo così dalla porta principale,
cioè come attrice, il che comporta il fatto di
diventare oggetto di cure e di attenzioni, da parte
di tutta la troupe, davvero inusuali. Perché
se c’è una cosa che ho scoperto è
che il cinema è fatto in grande misura da persone
che svolgono lavori di fatica fisica.
In secondo luogo, Daniele è una persona profonda
e gentile, molto attenta alle persone e ai loro sentimenti,
mantenendo nel contempo molta chiarezza su ciò
che vuole e quindi se mai il mio problema era spesso
di non saper se fossi in grado di rendere ciò
che mi veniva richiesto.
Non so se sia davvero possibile fare un paragone con
la musica, ma forse, come diceva Marguerite Duras, se
scrivere è una solitudine di dubbi, allora penso
che anche cantare e recitare lo siano, solo che si tratta
di solitudini diverse.
Può sembrare assurdo parlare di solitudine mentre
reciti davanti a molte persone e, in primo luogo, davanti
ad una macchina da presa. Eppure mi è sembrato
così, la concentrazione che necessita per fare
ciò che stai facendo è talmente alta che
per forza deve quasi sparire tutto, deve rimanere l’albero
spoglio di te, con le tue mani, i tuoi piedi, la tua
voce, ma senza nessuno, solo Adele (questo il nome del
personaggio che ho interpretato).
Sì, in questo ho trovato similitudine tra i due
diversi linguaggi.
Tu
hai sempre legato moltissimo il tuo lavoro musicale
al cinema? Perché? Perché abbiamo bisogno
di raccontarci, di raccontare storie?
Be’,
credo di poter dire che tutto quanto parli delle persone
e dei sentimenti che le muovono sia in qualche modo
legato, la poesia è ovunque tu voglia vederla.
Il fatto che io abbia un modo di scrivere che spesso
si snoda per immagini credo abbia poi contribuito a
legarmi in modo quasi naturale al cinema, che da sempre
adoro, non foss’altro per la magia con la quale
riesce a trasportarti in un altro posto, in un altro
mondo, in un’altra storia, appunto.
Per quanto riguarda il bisogno di raccontarci e di raccontare,
non so, credo che a ognuno di noi, al momento della
nostra nascita, venga dato un sacchettino pieno di pietre.
Sta a noi decidere, nel corso del tempo della nostra
esistenza e relativamente alla parte del nostro libero
arbitrio, quale lasciar cadere e quale tenersi più
stretto. Non credo di aver “bisogno” di
raccontarmi e di raccontare, semplicemente qualcuno
lo fa e altri fanno altre cose.
Cinema
e impegno sociale. Mi racconti qualcosa degli ultimi
anni in Italia rispetto al cinema schierato o militante?
Così, facendo una brevissima antologia per me,
magari citiamo 2/3 titoli che i lettori di “A”
andranno a ritrovare.
Questa
domanda, forse, bisognerebbe farla a Daniele, o a qualcuno
che veramente ha il polso della situazione. Io onestamente
credo di non essere in grado di rispondere perché
credo di non conoscere gli autori e le loro storie.
Poi, bisogna capire cosa significa la parola militante,
perché credo che nell’accezione storica
della parola il campo debba ulteriormente restringersi.
Posso dirti che, in generale, penso che come per la
musica anche per il cinema questi ultimi anni non siano
stati, e non lo siano tuttora, tempi molto facili. L’Italia
è uno dei paesi d’Europa dove si investe
meno in cultura e dove se ne consuma meno. Si leggono
pochi quotidiani, si comprano pochi dischi e pochissimi
libri, il tutto aggravato dal fatto che, se per quanto
riguarda la musica è difficile trovare qualcuno
che abbia voglia di investire una quantità minima
di denaro, ma soprattutto lavoro, in dischi poco “appetibili”
per il mercato ma definiti di “alto profilo”,
per il cinema la quantità di denaro da investire
per la realizzazione di un film, anche a basso costo,
è decisamente più alta e quindi, per gli
autori, il lavoro di reperimento dei fondi è
davvero un’occupazione faticosa e deprimente.
Quindi, vorrei concludere con due parole solo sul nostro
film. Nemmeno il destino racconta una storia
al ritmo dei pensieri e, soprattutto, dei sentimenti
dei suoi protagonisti, che cercano di resistere agli
attacchi del mondo che li circonda, di resistere non
solo per sopravvivere, ma prima di tutto per non essere
schiacciati come individui, come persone.
Aver lavorato per la realizzazione di questo film è
stato davvero un regalo insperato che la vita mi ha
fatto e vorrei ringraziare te e la rivista “A”
per averlo voluto, con queste poche righe, condividere
con me.
Stefano Giaccone
|
Musica
per A/Rivista Anarchica
Musica
per A/Rivista Anarchica non è un negozio
né un catalogo di vendita per corrispondenza:
i materiali di questa lista non sono in vendita. Il
ricavato della diffusione di questi materiali va a finanziare
A/Rivista Anarchica, mensile anarcopacifista pubblicato
a Milano dal 1971.
Per
richiedere il materiale è sufficiente versare
sul c/c postale n.12552204 intestato ad Editrice A,
Milano una sottoscrizione che corrisponda almeno al
valore indicato complessivo dei titoli prescelti.
Non dimenticate di specificare autori e titoli nella
causale del versamento, e di riportare il vostro indirizzo.
Vi preghiamo di aggiungere al totale, come contributo
per le spese postali, almeno 3,00 euro per i pacchetti
più piccoli (spedizione via raccomandata) e da
5,00 a 7,00 euro per le spedizioni più consistenti
(come pacco, ordinario o urgente).
informazioni
e contatti:
Musica
per A/Rivista Anarchica - Stella*Nera A/Rivista Anarchica
c/o Marco Pandin c/o Editrice A
casella postale 86 35036 Montegrotto PD casella postale
17120 - 20170 Milano
e-mail: stella_nera@tin.it
- tel. 02 2896627 - fax 02 28001271
e-mail:
arivista@tin.it
A/Rivista Anarchica Online
http://www.arivista.org
Musica
per A/Rivista Anarchica
|
|