Perché “La
Question sociale”?
La questione sociale – che rimanda all’esigenza
di mettere termine all’alienazione salariale con l’emancipazione
dei lavoratori e con l’instaurazione di una società
di liberi e uguali, da cui dipende ormai la sopravvivenza del
genere umano – si pone oggi negli stessi termini delle
origini.
Nonostante tutte le elucubrazioni sulla fine della lotta di
classe, essa continua a occupare un posto centrale nella storia
e quindi nella vita degli uomini.
Non dimentichiamoci che la questione sociale è anche
una questione politica; che riguarda le modalità di organizzazione
delle lotte degli sfruttati e i loro rapporti con le istituzioni
di questo sistema, e soprattutto le forme di autogoverno loro
necessarie per modificare profondamente la società.
Un secolo e mezzo ci separa dalla nascita della Prima Internazionale,
ma i problemi che essa aveva sollevato sono sempre attuali.
La rivoluzione è ancora da fare e sarà fatta dai
lavoratori o non sarà affatto.
Ora, per prospettare la rinascita di un progetto di emancipazione
della società, è indispensabile ripartire da ciò
che lo aveva fatto esistere: un movimento sociale ampio, profondo,
radicale, come si è presentato nei momenti cruciali della
storia del movimento operaio in Francia, in Russia, in Germania,
in Italia, in Argentina, in Spagna…
Perché
“libertaria”?
Più che a un movimento costituito, questo termine per
noi dice la volontà di non bloccarsi sulla questione
dello Stato.
Dopo il crollo del blocco orientale, dopo il fallimento del
modello del socialismo/comunismo di Stato, ci sembra impossibile,
se si vuole ridare vigore all’utopia comunista, non prendere
una posizione chiara su un principio: l’emancipazione
degli sfruttati non può passare dalla conquista, pacifica
o violenta, con le elezioni o con un colpo di mano, dell’apparato
statale da parte di una minoranza di rivoluzionari che agisce
in nome loro. Se la questione delle forme che può e deve
prendere questa autoemancipazione rimane per noi aperta, cercheremo
però di evitare risposte sbagliate a domande mal poste.
Crediamo che si debba tornare alle fonti delle idee e delle
pratiche che hanno fondato la lotta per l’emancipazione
dei lavoratori: ai principi della Prima Internazionale e della
dichiarazione di Saint-Imier, alle molteplici esperienze dei
"wobblies", degli anarcosindacalisti, dei sindacalisti
rivoluzionari (anche se questo termine nasconde spesso una grossa
ambiguità sulla questione dello Stato), dei comunisti
dei consigli, dei marxisti antileninisti e di tutto ciò
che va nel senso di rimettere in discussione il dominio dello
Stato e del capitalismo sulla vita degli esseri umani.
Per certi aspetti, infatti, sembra che oggi il capitalismo ci
riporti a condizioni della lotta di classe non lontane da quelle
della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo, soprattutto
ripresentando una forte polarizzazione sociale e una democrazia
autoritaria.
Ma noi sappiamo anche che nei paesi in cui si è imposto
da molto tempo il capitalismo di mercato, lo Stato è
diventato a poco a poco un elemento quasi costitutivo, “naturale”,
dell’organizzazione sociale e che la domanda di sicurezza,
alimentata da contraddizioni sociali sempre più aspre,
gli restituisce ogni giorno una credibilità, quale unica
risorsa concepibile contro la decomposizione delle relazioni
e dei valori.
Per questo la critica allo Stato va riformulata, senza settarismo
ma senza riguardi, in termini che gli restituiscano una coerenza
agli occhi di tutti coloro che avvertono oramai la necessità
di una trasformazione radicale della società, senza trovarne
la strada.
Vogliamo infine precisare che non è nostra intenzione
lavorare contro le organizzazioni libertarie oggi attive, ma
operare accanto a loro per contribuire a un rinnovamento della
cultura militante in questo ambito, a elaborare una cultura
autenticamente critica che non si limiti alla ripetizione rituale
dei sacri principi dell’anarchia, ma che si dimostri all’altezza
delle sfide imposte dalle contraddizioni della società
in cui viviamo.
Sommario
del numero 1
Notre
projet
Edito: Des temps trop durs pour
se taire
Analyse politique: O. Mazzoleni, De
l’emprise de l’État
Luttes sociales:
N. Thé, Retour sur une longue saison de luttes
G. Soriano, L’expérience des collectifs
de solidarité parisiens: une nouvelle étape
Injustice: C. Guillon, Le temps
de vivre
Dossier: Droit (et pratiques) de
grève
France: G. Soriano, Un droit bien réel, mais
très dépendant des rapports de forces
Espagne: C. Vela, Un vide juridique consensuel
Suisse: A. Miéville, Un droit théorique
dans une “ paix du travail ” bien réelle
États-Unis: O. Bear, Un vrai corset législatif
Brésil: M. Sarda de Faria, Le “ nouveau
syndicalisme ” dans la fonction publique
International: Cl. Albertani, Les
dilemmes de l’empire
Histoire:
D. Giachetti, Les grèves sauvages dans l’Europe
de 1969
Un document de 1904: Émile Pouget, La genèse
de l’idée de grève générale,
texte introduit et annoté par M. Chueca
Lire et relire. Revue des revues
|
Per
chi e con chi?
Secondo lo spirito che ci anima, noi ci rivolgiamo prima di
tutto alle persone sensibili, disponibili, generose, capaci
di farsi domande su una società che non li soddisfa e
sui mezzi per cambiarla profondamente.
Più in generale a tutti coloro che pensano che il capitalismo
ci stia portando al disastro e che sono alla ricerca di un’alternativa,
senza esclusiva.
Sappiamo però bene che la rottura del consenso si pratica
non solo nella realtà delle lotte, ma è in quella
realtà che arriva a pensarsi, a cercarsi un orizzonte.
Per questa ragione uno degli obiettivi essenziali della rivista
sarà quello di articolare la riflessione teorica con
uno sguardo critico alle lotte odierne, alle loro potenzialità
e ai loro limiti, affrontando seriamente gli interrogativi che
pongono. In due parole: fare un uso pratico della teoria.
Per precauzione, però, dobbiamo precisare che noi non
ci confondiamo con le lotte e le manifestazioni di protesta
di un autoproclamato “movimento sociale” o di un
altermondialismo al cui interno si sente gracchiare ogni sorta
di pretendenti a una gestione razionale di un capitalismo irrazionale.
Per lotte noi intendiamo tutto ciò che mette concretamente
in discussione le regole del potere e che intende soddisfare
esigenze e bisogni collettivi.
Il fatto che si tratta di lotte che per lo più si conducono
nel contesto dello sfruttamento del lavoro, che contrappongono
i salariati ai loro padroni, non ce le fa affatto considerare
fenomeni di retroguardia, anzi ci riporta a quello che rimane
ai nostri occhi l’antagonismo centrale, quello che non
può eludere nessuna trasformazione rivoluzionaria.
Se speriamo davvero di contribuire a una “cultura del
conflitto” contro la società che ci circonda, vogliamo
anche praticare una “cultura del dialogo tra compagni”,
respingendo il “narcisismo della piccola differenza”
che consiste nel prendersela con chi ci sta più vicino
e che ha avvelenato la vita dell’estrema sinistra e degli
ambienti libertari.
Poiché riteniamo che si debba portare la riflessione
al livello imposto dai problemi teniamo molto ad avere uno sguardo
internazionale sui vari temi, e non solo sul piano teorico.
Andremo pertanto alla ricerca ci contributi che ci aiutino a
capire come, in luoghi diversi dai nostri, si pone la questione
sociale.
Il lavoro di ricerca nelle riviste straniere, le proposte dei
compagni stranieri, le traduzioni avranno quindi uno spazio
importante.
La
Question sociale è stato il titolo
(soprattutto in italiano) di diverse pubblicazioni del
movimento anarchico nel periodo che si colloca tra la
fine dell’internazionale antiautoritaria e la nascita
del movimento anarcosindacalista. Nel 1883 e poi nel 1894-96
uscì a Buenos Ayres, a Firenze dal 1883 al 1889,
a Paterson (New Jersey, USA) tra il 1895 e il 1908, a
Trieste (allora città dell’impero austroungarico)
nel 1910 e a New York dal 1914 al 1916: questi giornali
erano quasi tutti espressione di correnti favorevoli all’organizzazione
operaia ed espressioni di ambienti dell’emigrazione.
Grande spazio era riservato in genere al dibattito e le
lotte sociali vi avevano un posto centrale. Più
di una volta, e soprattutto nella Questione sociale
pubblicata nel 1899 a Paterson, tra i redattori si ritrova
il nome di Errico Malatesta. La città americana
fu teatro, nel 1913, di uno dei più grandi scioperi
dei tessili indetto dall’Industrial Workers of the
World, il sindacato che organizzava soprattutto la manodopera
immigrata e non qualificata. Tutto induce così
a pensare che quel giornale abbia svolto un ruolo importante
nella formazione politica dell’ambiente militante
che fu l’animatore dello sciopero come di quello
di Lawrence che l’aveva preceduto di un anno, e
più in generale nella formazione degli ambienti
militanti di origine libertaria che si impegnavano nell’IWW.
In Francia, questa fu la testata di varie
pubblicazioni uscite tra il 1885 e il 1898, a Bordeaux,
Lione e Parigi. Quella che ebbe la vita più lunga
è la rivista socialista rivoluzionaria di origine
blanquista e con un’evoluzione in senso marxista,
pubblicata a Parigi da P. Argyriadès e da Paule
Mink, che si caratterizzava per l’apertura e per
la grande attenzione rivolta verso le condizioni degli
operai e per le loro lotte a livello internazionale. |
Impieghi
fittizi e fondi neri
Non ci paga la CIA e non abbiamo nemmeno trovato il tesoro
del KGB. Dietro di noi non c’è nessuna potente
organizzazione politica o sindacale, e neppure uno dei tanti
gruppetti. Per fare uscire la rivista dovremo svuotarci le tasche.
Chiunque, amico o compagno, che abbia la voglia o il coraggio
di sostenerci un un’impresa tanto azzardata, sarà
di sicuro il benvenuto.
Ma vogliamo ancora chiarire che difenderemo la nostra indipendenza
come le pupille degli occhi.
Oltre al lavoro di scrittura e di discussione/selezione, fare
una rivista significa rivedere, impaginare, stampare e distribuire,
impacchettare, tenere la contabilità e l’amministrazione.
Ogni offerta d’aiuto sarà bene accolta. Il più
delicato, comunque, è il lavoro di distribuzione, le
strutture che distribuiscono la stampa di questo genere hanno
una scarsissima efficacia e noi contiamo assai più sulle
relazioni militanti per assicurare una diffusione nei luoghi
e nelle occasioni d’incontro in cui la rivista può
trovare i suoi lettori.
“la Question sociale”
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172
pagine. Prezzo di questo numero: 7 euro (estero 14 euro).
Abbonamento (3 numeri): 20 euro. Abbonamento sostenitore,
estero, ad istituti e biblioteche: 40 euro. Assegni
all’ordine di G. Carrozza.
Potete inviare direttamente le vostre richieste a: La
Question sociale, c/o Librairie Publico, 145 rue Amelot,
75011 Paris o al nostro indirizzo e-mail: laquestionsociale@hotmail.com. |
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