Nel 1936 un gruppo
di donne di Madrid e di Barcellona fondarono Mujeres Libres,
organizzazione dedicata a liberare le donne dalla “schiavitù
dell’ignoranza, schiavitù in quanto donne e schiavitù
come lavoratrici”. Anche se durò meno di tre anni
(le loro attività vennero bruscamente interrotte dalla
vittoria delle forze franchiste nel febbraio del 1939), Mujeres
Libres mobilitò più di 20.000 donne e sviluppò
un vasto programma di attività, finalizzate a sviluppare
l’empowerment individuale ed allo stesso tempo
a costruire un senso di appartenenza comunitaria. Come il movimento
anarco-sindacalista spagnolo, di cui queste donne facevano parte,
Mujeres Libres riteneva che il pieno sviluppo dell’individualità
delle donne dipendesse dalla crescita di un forte sentimento
di unione con gli altri. Per questa ragione, e per molte altre,
Mujeres Libres rappresenta un’alternativa alla prospettiva
individualista che caratterizza i movimenti femministi principali,
di quell’epoca e della nostra.
La storia della mia scoperta di queste donne e delle loro attività
deve risalire a molti anni e a molti chilometri fa, a ricerche
in archivi e a conversazioni con militanti; ma il fatto che
arrivassi a comprendere l’importanza delle loro aspirazioni
e dei loro traguardi è inseparabilmente legato ai nostri
reciproci e progressivi sforzi di comunicazione, nonostante
le differenze di cultura, di età, di classe e di ambiente
politico che ci separavano. Molte di queste donne mi aprirono
le porte delle loro case e condivisero con me il racconto delle
loro vite, ed io ho cercato di mettermi nei loro panni e di
considerare sia le somiglianze che ci avvicinavano che le differenze
che, invece, ci rendevano distanti. Poiché mi ero già
occupata delle questioni dell’identità, della differenza,
della comunità e dell’empowerment, che
hanno alternativamente incoraggiato o indebolito i movimenti
per i diritti civili, quelli pacifisti e quelli femministi del
mio paese, mi trovo ora nella condizione di apprezzare ancora
più profondamente la prospettiva che Mujeres Libres può
proporre alle femministe ed agli attivisti sociali di oggi.
Questo libro deriva, in parte, dal mio desiderio di fare in
modo che la storia di questa organizzazione sia considerata
in generale come più accessibile. (…).
Rivista Mujeres Libres n. 11,
1938
Azucena e Enriqueta
Fernández
Azucena era nata a Cuba nel 1916, figlia di genitori spagnoli
esiliati che rientrando in Spagna dall’esilio nel 1920
la portarono con loro. Quando la vidi per la prima volta era
seduta nel suo piccolo salotto, circondata da piante fiorite.
Parlò con entusiasmo delle sue esperienze negli anni
che precedettero la guerra e della storia della sua famiglia.
Azucena ed i suoi sei fratelli e sorelle si erano “nutriti
di anarchia…, con il latte di nostra madre”. Suo
nonno, Abelardo Saavedra, era stato uno dei primi “operai
con coscienza politica” che giravano per i paesi diffondendo
l’Ideale anarchico. Venne incarcerato numerose volte e
fu mandato in esilio per aver commesso il delitto di insegnare
a leggere ai lavoratori stagionali dell’Andalusia. Per
questo motivo Azucena e molti dei suoi fratelli erano nati a
Cuba.
Ho trascorso molte ore con lei, parlando di cosa avesse significato
crescere in una famiglia anarchica e di come vedeva la complicata
situazione della donna all’interno del movimento anarco-sindacalista
spagnolo. Ma lei insisteva sempre che avrei dovuto parlare assolutamente
con sua sorella Enriqueta, la vera militante di Mujeres Libres.
Ebbi l’opportunità di conoscere Enriqueta Fernández
Rovira solamente sei mesi più tardi. A quel tempo avevo
già scoperto che bastava solo menzionare il suo nome
per provocare la stessa reazione in tutte le donne con cui parlavo.
“Oh, Enriqueta!”, dicevano con profonda emozione,
drizzandosi sulle spalle e stringendo i pugni, cercando di assomigliare
ad un pugile che mostra i muscoli (per quanto possa essere possibile
in donne già tanto anziane e fragili). E nonostante questa
preparazione non ero completamente pronta per il pacato potere
della sua presenza.
Ho conosciuto Enriqueta in circostanze che difficilmente potrebbero
essere definite favorevoli. Accadde in Francia durante le vacanze
di Natale e la sua casetta era messa a soqquadro dalla vivacità
dei suoi quattro nipotini.
Trovammo tempo per parlare solo quando questi andavano a dormire
o a metà mattinata nel caos della preparazione del pranzo
e mentre ci interrompevano per chiederle il permesso di giocare
a questo o a quel gioco. E la sua frustrazione per “le
cattive maniere” di questi bambini pieni d’energia
rappresentava un intervallo agrodolce ai suoi racconti di quando
lei stessa veniva considerata “scandalosa” anche
dai suoi stessi genitori anarchici quando, all’inizio
degli anni Trenta, faceva delle gite in campagna o al mare con
i suoi amici, maschi e femmine.
Anche Enriqueta era nata a Cuba, nel 1915, e si era trasferita
in Spagna con il resto della famiglia nel 1920. Nella loro casa
era usuale vedere militanti anarchici entrare ed uscire quotidianamente
e “l’ideale” era una componente normale della
conversazione. Secondo molti punti di vista, i suoi genitori
rappresentavano due delle diverse tendenze all’interno
dell’anarchismo che predominavano nel movimento di quegli
anni. Lei me lo spiegò così:
Mio padre
era un intellettuale, un anarchico, ma era più pacifista
di mia madre. Si sentiva male anche solo al vedere una goccia
di sangue. Era rivoluzionario, ma pacifista. Credeva che la
rivoluzione doveva prodursi con la cultura e l’educazione.
Odiava le armi. Non voleva neppure vederle… non era il
suo stile. Era più tranquillo… Mia madre era completamente
diversa. Lei era più militante.
Rivista
Mujeres Libres n. 6, 19 luglio, due anni dall'inizio della rivoluzione
Enriqueta, Azucena ed i loro fratelli e sorelle impararono
in fretta che essere parte di una comunità significava
essere disposte a prendersi cura degli altri e a dedicare anima
e corpo ad una causa comune. Le idee che condividevano con altre
persone – specialmente con i gruppi di giovani di ispirazione
anarchica in cui sia Enriqueta che Azucena erano molto attive
– stringevano i loro legami come gruppo ma allo stesso
tempo li allontanavano da chi non ne faceva parte:
A quei tempi eravamo
le puttane, le pazze, perché guardavamo avanti. Ricordo
la morte di mio padre, che per me fu molto dolorosa….
Mia madre mi disse: “Piccola, papà non voleva fiori,
ma sono io che voglio per lui un mazzo di rose. Portane anche
solo una dozzina, per tuo padre.” Andai dalla fioraia
e questa mi disse: “Tuo padre è morto e tu vieni
qua?” “Che cosa c’entra il mio dolore con
il fatto che sono venuta qui? – le dissi – Credi
che non provo del dolore per la morte di mio padre?” “Ma
non dovresti esserci tu qui, piccola. Avrebbe dovuto venire
Juan a cercare i fiori. E poi non porti il lutto.” “No
– le risposi – il dolore lo porto dentro, non lo
indosso”.
Per Enriqueta e la sua famiglia l’impegno nei valori
anarchici esisteva da sempre. La partecipazione dei bambini
ai gruppi ed alle attività organizzate dal movimento
libertario approfondì l’impegno e lo convertì
in un punto importante delle loro vite. La comunità dava
loro la forza per affrontare sia le derisioni dei loro vicini
che lo scetticismo dei loro stessi genitori sull’opportunità
di far andare le ragazze in giro con i ragazzi.
Le veniva permesso di trovare un modo per potersi esprimere,
per credere nei loro sogni e per far diventare realtà
quanto avevano imparato dai loro genitori ma che loro molto
presto avevano fatto proprio. Per il suo continuo impegno nel
movimento anarchico Enriqueta venne scelta dalla CNT per un
lavoro molto delicato, quello di operatrice nella centrale telefonica
di Barcellona durante la guerra. Continuò ad essere attiva
nel movimento libertario e nella CNT e con il passare del tempo
entrò a far parte di Mujeres Libres.
Agosto
1936, verso il fronte
Pepita Carpena
(...).
Ma non tutti quelli che partecipavano al movimento anarchico
avevano dei genitori anarchici. Pepita Carpena, ad esempio,
era nata a Barcellona verso la fine del 1919 da una famiglia
di classe proletaria che mostrava poco o nessun interesse per
le organizzazioni operaie. Venne per la prima volta a contatto
con “l’idea” nel 1933 grazie ad alcuni sindacalisti
anarchici che assistevano alle riunioni dei giovani nella speranza
di mettersi in contatto con possibili nuovi membri.
I compagni
della CNT, per fare propaganda, dato che la gente non andava
ai sindacati perché era un’epoca di clandestinità,
andavano ai balli e dicevano agli uomini, mai alle ragazze:
“Dove lavorate? Sapete che c’è un sindacato?”
Questi compagni, membri della CNT, dicevano anche: “Il
tal giorno c’è un’assemblea”. E siccome
mi sono sempre trovata meglio con gli uomini che con le donne,
andai con loro. E fu lì dove iniziai a capire che cosa
era la CNT.
I
primi giorni della rivoluzione sociale nelle strade d'Alcala
Il sindacato della Metallurgia, che la adottò quasi
come una mascotte, divenne la sua seconda casa. Quando i suoi
genitori iniziarono a proibirle di assistere alle riunioni notturne,
pregò suo padre di andare con lei. Dopo aver conosciuto
il tipo di persone che erano e come trattavano sua figlia, non
le disse più niente. Anzi, al contrario, si vantava con
i suoi amici di avere una figlia che stava liberando il proletariato!
Attraverso la sua relazione con i lavoratori del sindacato della
Metallurgia, Pepita non tardò ad imparare molte cose
sui sindacati e sull’anarco-sindacalismo. La incoraggiarono
ad organizzare le giovani che lavoravano con lei come sarte
e così fece. Quando il suo padrone la licenziò
con un pretesto qualunque, in realtà per le sue attività
sindacali, i compagni del sindacato della Metallurgia corsero
in suo aiuto e fecero in modo che venisse riassunta. Continuò
ad essere attiva sia nella CNT che nelle Juventudes Libertarias
all’inizio degli anni Trenta e durante il primo anno di
guerra. Quando nei primi giorni del conflitto uccisero il suo
compagno al fronte, il sindacato della Metallurgia le pagò
un salario affinché potesse continuare a organizzare
i lavoratori nello sforzo comune che richiedeva la guerra. Si
considera come una persona che ha da sempre sostenuto l’uguaglianza
tra uomo e donna e che forse proprio per questo inizialmente
si sentiva indifferente alla creazione di una organizzazione
specificamente femminile. Ma dopo la sua esperienza nelle Juventudes,
non tardò a riconoscere che questa necessità esisteva
realmente e riuscì a diventare membro attivo del Comitato
Regionale Catalano di Mujeres Libres negli anni 1937 e 1938.
Pepita, più di ogni altra anziana compagna, ha cercato
di comunicare con le giovani nonostante le barriere del tempo,
della classe sociale e della geografia. È informata sul
dibattito femminista contemporaneo, anche se spesso si trova
in disaccordo riguardo ai termini con cui è formulato.
È archivista e responsabile della succursale di Marsiglia
del CIRA (Centro Internazionale di Ricerche sull’Anarchismo),
la cui sede principale è a Ginevra. Pepita viaggia spesso
per la Spagna e per l’Europa tenendo conferenze sulla
rivoluzione e sulle attività di Mujeres Libres. La sua
franchezza e la sua buona disposizione a dibattere temi che
erano problematici e controversi in Mujeres Libres hanno fatto
di lei un’informatrice preziosa ed un’amica speciale.
(...).
Martha A. Ackelsberg
Martha
A. Ackelsberg, Mujeres libres l’attualità della
lotta delle donne anarchiche nella rivoluzione spagnola.
Richieste ad: Autogestione, Casella Postale 17127, 20170 Milano.
Versamenti: Conto corrente postale n° 14238208, intestato
ad Autogestione, Milano.
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