diffamazione
La calunnia è un venticello...
a cura della redazione
di “A”
…che a volte si ritorce,
come un boomerang, contro chi la pratica!
|
Lo
scorso 14 febbraio è stata emessa, presso la
sede distaccata di Desio del tribunale di Monza, la
sentenza di condanna nei confronti di un giornalista
de “Il Giornale Nuovo del Piemonte” per
aver diffamato, a mezzo stampa, gli anarchici Vicente
Taquias Vergara (Urbano) e Giuseppa Corvaio. Riportiamo
qui di seguito alcuni stralci ripresi dalla testimonianza
di Urbano, dalle imputazioni a carico dei giornalisti
e della sentenza.
Riportiamo anche uno stralcio della denuncia-esposto
che Urbano fece nel 1998 contro Pinochet e la sua giunta
criminale. Ricordiamo infine una lunga intervista, di
Emanuela Scuccato, in merito alla situazione di rifugiato
politico di Urbano, intervista che venne pubblicata
sul numero 249 di “A” del novembre 1998. |
La testimonianza di Urbano
(…).
P.M. – Può riferire al Giudice in merito ai motivi
che l’hanno indotta a sporgere querela contro i signori
Rizzi, Lorenzetti e Tesio?
Teste Taquias – Sì, io ho fatto denuncia nei
confronti dei due giornalisti, che sono qua presenti, per
un articolo che avevano scritto sul giornale. Io sono venuto
a sapere di questo articolo del giornale il 17 alla sera,
perché io sono metalmeccanico, arrivo molto tardi a
casa, mi hanno chiamato per telefono e mi hanno detto “guarda,
non ti ha chiamato nessuno?”, io ho detto “non
so, a riguardo di che cosa mi potevano chiamare?”, e
mi hanno detto “guarda che pare che hanno parlato di
te ad una radio, che c’è un articolo di giornale
che ti riguarda”, io ho detto “non lo so”,
nel frattempo non sapevo di cosa si trattava. Lo stesso giorno
il sindaco del paese, Gianfranco Ferraris, noi abitiamo nella
casa della madre di questo sindaco, è andato da mia
moglie, che lavora alla casa di riposo, sempre nello stesso
paese, e le ha detto “ma cosa avete combinato domenica
14?”, “niente – gli ha detto – abbiamo
fatto una festa”. Poi alla sera è venuta la Polizia
a casa mia, è venuta la Digos di Alessandria e mi ha
detto “guarda, cosa avete combinato domenica?”,
io ho detto “niente di strano, abbiamo fatto un pranzo
ecologico”, perché io faccio l’orto ecologico
a casa mia, dato che ne produco tanta di verdura ho detto
“facciamo una...”, ho proposto io, con molto tempo
di anticipo, un pranzo di sostegno al giornale anarchico Umanità
Nova, di ricavare da questa cena del denaro da devolvere a
questo giornale. Difatti quando è venuta la Polizia
a casa mia io le ho fatto vedere tutti i numeri di Umanità
Nova dov’era annunciato con molto anticipo questo pranzo
e c’era anche addirittura il numero di telefono per
chiunque volesse venire, di mettersi in contatto con noi per
partecipare a questo pranzo di sostegno al giornale. Gli ho
fatto vedere alla Polizia questo.
Poi il giorno dopo sono andato a Radio Gol, perché
sono venuto a sapere che era Radio Gol che aveva diffuso questa
notizia, loro mi hanno detto che loro non l’avevano
creata questa notizia, che loro avevano fatto solamente una
rassegna stampa al mattino su quello che c’era scritto
ne Il Giornale Nuovo del Piemonte. Allorché mi hanno
dato la copia. Mi hanno dato la copia del giornale e alla
sera, questo il giorno 18, il giorno 18 è venuto il
sindaco del paese a casa mia, con il giornale in mano, con
Il Giornale Nuovo del Piemonte e mi ha detto “ma cosa
avete combinato?” e ho dovuto rispiegare di nuovo, fargli
vedere tutti i numeri del giornale Umanità Nova, dove
era stato annunciato questo pranzo, che tra l’altro
era all’aperto, perché io abito in una casa in
campagna, una specie di cascina, era all’aperto, quel
giorno pioveva quindi... un po’ è andata così
quella giornata, quelli che sono venuti.
Poi abbiamo suonato la chitarra, ballato, abbiamo mangiato
e tra l’altro abbiamo raccolto 646 euro, che abbiamo
dato al giornale, perché per questo si trattava questa
cena. Il giorno dopo, il 19, sono andato in Questura ad Alessandria
e ho esposto una formale denuncia contro i due giornalisti,
tra l’altro io da allora, dal 17 al 19, non sono più
andato a lavorare, perché... per stare dietro a questa
cosa, non sapevo cosa comportava, cosa voleva dire. Ha creato
nei miei confronti e di mia moglie un danno incredibile, perché
dietro a questo articolo del giornale poi c’è
stato un viavai di macchine a casa nostra che si fermavano
ad una certa distanza, e questo è durato per diverso
tempo.
Minaccioso giro di macchine
Allorché io sono andato di nuovo in Questura, ad Alessandria,
e ho chiesto un minimo di protezione, perché non sapevamo
cosa voleva dire tutto questo giro di macchine che si fermavano
e guardavano dentro in maniera minacciosa e abbiamo informato
la Questura. Sono venuti diverse volte a fare un giro lì,
intorno a casa nostra, ci hanno consigliato di prendere le
targhe.
Noi tra l’altro saremo a 50-60 metri dalla strada statale,
da dove sta la casa nostra, quindi queste macchine quando
si fermavano lì noi andavamo per prendere queste targhe
o individuare più o meno chi erano, questi scappavano.
Allora siamo andati in Questura ad Alessandria e abbiamo spiegato
che era impossibile per noi prendere le targhe, che piuttosto
venissero loro ogni tanto a vedere, perché a casa mia
c’è mio nipote, che adesso ha 5 anni, mia figlia
e mia moglie, in questa casa che è isolata in campagna,
quindi noi prevedevamo delle cose abbastanza strane che potevano
succedere, avevamo addirittura un po’ di paura.
Poi nel paese molta gente si è preoccupata di questa
situazione, alcuni ci hanno tolto il saluto, molti altri ci
hanno cominciato a chiedere “ma cosa avete combinato?”,
e di nuovo a rispiegare a tutti, uno per uno chiunque veniva
e ci chiedeva notizie al riguardo.
Tra l’altro io sono esiliato politico, è dal
’75 che vivo in Italia, sono abbastanza conosciuto perché
ho un comitato di lavoratori cileni esiliati che l’abbiamo
creato proprio per denunciare il crimine commesso nel mio
Paese dalla gente militare, e per questo sono molto conosciuto,
tutti mi conoscono per Urbano. Difatti nell’articolo
non è scritto il mio nome e cognome, Vincente Taquias
Vergara, è scritto “un profugo cileno detto Urbano”
e la gente a me non mi conosce per il nome... per il mio vero
nome, molte volte, tutti mi chiamano Urbano, perché
questo è un nome che avevo in Cile, un nomignolo che
avevamo, quando c’era la vita dura dovevamo, proprio
per fuggire a questa dittatura, usavamo dei nomignoli per
non farsi riconoscere.
Da quando sono arrivato in Italia molta gente ha continuato
a chiamarmi, i cileni, Urbano, e gli italiani hanno preso
anche loro a chiamarmi Urbano, difatti nessuno mi conosce
per il mio esatto nome, Vincente Taquias Vergara. Per noi
è stata una cosa abbastanza grave, perché questa
cosa intanto ci ha tolto molte amicizie, io ho perso diversi
giorni di lavoro per andare a sapere qual era la fonte, cosa
pretendeva questo articolo, da noi.
Tra l’altro l’articolo diceva che il giorno 20,
del primo anniversario del G8, a Genova sarebbero successe
delle cose tremende organizzate a casa mia, tant’è
vero che non è successo proprio assolutamente nulla
nell’anniversario del G8. Che io tra l’altro,
personalmente, non sono andato né nel 2001, né
nel 2002, né nel 2003, io non sono andato a Genova,
io mi sono limitato solamente a fare un pranzo di solidarietà
per il giornale anarchico Umanità Nova, che mi arriva
dal ’75, che io lo compero in Italia, per questi motivi
io sono esiliato in questo Paese, perché sono anarchico,
ero un anarchico in Cile e lo sono anche qua.
Urbano
mentre pianta un albero (9 marzo 2003 a Rivalta Bormida),
in ricordo del fratello Manuel, nell’ambito del progetto
Ecomemoria (www.ecomemoria.com)
Pranzo in sostegno di UN
Ma era esclusivamente per quello che io ho fatto questo pranzo
a casa mia, per sostenere il giornale e basta. E mi sono trovato
in una situazione un po’ pericolosa, un po’ sgradevole,
un po’ perché ci ha tolto anche le amicizie,
ci ha tolto le possibilità di continuare a fare questa
informazione che facciamo noi, questa controinformazione come
cileni, di quello che succede nel nostro Paese.
Molta gente adesso fa più fatica a mantenere i rapporti
con noi, perché nonostante noi l’abbiamo denunciato
su altri giornali, questa cosa, sul giornale Il Manifesto,
su Il Piccolo di Alessandria, su La Stampa, abbiamo fatto
dei comunicati e siamo... abbiamo detto “no, non centriamo
nulla con questa storia qui”, però la gente comunque
ci ha associato ad una cosa che non c’entrava niente
con noi. Tutta lì questa questione. Il danno... Poi
noi abbiamo perso diverse volte, io sono andato molte volte
a Torino, sono andato a Monza, sono venuto qua, abbiamo perso
di lavorare, abbiamo perso tante cose, pensiamo che siamo
stati danneggiati molto seriamente in quanto... io sono un
operaio, sono metalmeccanico, ho vissuto in Italia dal ’75
fino ad oggi del mio lavoro.
Questo a prescindere dalle mie idee, che penso che in questo
Paese ognuno abbia il diritto a manifestarle come meglio crede,
io ho manifestato difendendo gli immigrati, difendendo l’ambiente,
cosa che... così, e questa è la mia attività
che ho svolto politicamente in questo Paese, soprattutto il
nostro comitato dei lavoratori per denunciare i crimini commessi
nel mio Paese dalla dittatura militare. Questo più
o meno a grandi linee.
P.M. – Non ho altre domande.
(…).
P.C. Avv. Mossetti – Quindi lei è in Italia dal
1975?
Teste Taquias – Sì.
P.C. Avv. Mossetti – Com’è entrato in Italia?
Teste Taquias – Come rifugiato politico.
P.C. Avv. Mossetti – Sono stati prodotti alcuni documenti
sulla sua richiesta di cittadinanza, sono state fatte delle
interrogazioni in suo favore...?
Teste Taquias – Certo, sono stati fatti anche...
P.C. Avv. Mossetti – So che è stata prodotta...
omessa della documentazione, se vuole dirci due parole su
questo.
Teste Taquias – Sì, certo. Io ho chiesto il diritto
alla cittadinanza in questo Paese con la Legge Martelli, si
poteva chiedere con i primi dieci anni di residenza in questo
Paese, io tra l’altro in Alessandria avevo fatto l’associazione
degli emigrati, nel ’90, quando ancora non c’era
la Legge Martelli, gli emigrati, tanto che ero l’unico
che aveva documenti regolari all’epoca, io avevo il
soggiorno, il libretto di lavoro, avevo il lavoro e ho creato
questa... l’associazione degli emigrati... dei lavoratori
emigrati di Alessandria e provincia.
Nel ’90... nel ’95, dopo vent’anni che ero
in Italia io ho chiesto la cittadinanza, avevo oltrepassato
due volte il doppio, erano passati vent’anni da quando
ero in Italia, ho deciso di chiedere la cittadinanza perché
le mie figlie vivono in questo Paese e i miei nipoti anche
e io non avevo più intenzione di tornare in Cile, anche
perché non troverei più nessuno della gente
che ho lasciato.
Manuel
Taquias Vergara, fratello di Urbano, assassinato dai carabineros
di Pinochet il 15-10-1973
Napolitano respinse la domanda
Ho fatto la domanda, regolare, nel ’95, nel ’97
mi è stata respinta, dal Ministro Napolitano, io allora
mi sono rivolto a due Avvocati, in Alessandria, per fare ricorso
al TAR del Piemonte e ho iniziato una lunga campagna, dato
che mi occupavo degli emigrati, una campagna a livello nazionale
sulla questione del diritto alla cittadinanza. E su questo
ho avuto diverse interpellanze ed interrogazioni del Parlamento
a favore mio, anche nel Parlamento di Strasburgo.
Nel Parlamento di Strasburgo Luigi Vinci ha fatto una interpellanza
a mio favore, perché era un’ingiustizia, io non
ho precedenti penali; ho la fedina penale pulita, ho pagato
le tasse fino ad oggi, in questo Paese, come tutti gli operai,
perché io non ho mai lavorato in nero, ho lavorato
sempre in regola.
Russo Spena ha fatto due interpellanze nel Senato, quand’era
senatore, a favore mio; Angelo Muzio quando c’era il
Governo Prodi, che era Questore alla Camera, ha fatto un’interpellanza
anche lui a favore mio; Renzo Penna, della Camera del Lavoro
di Alessandria, che allora era deputato, anche lui ha fatto
un’interpellanza a favore mio e un altro deputato di
Ovada, che adesso non mi viene il nome... però il Ministero
dell’Interno non ha mai dato una risposta sul mio diritto
alla cittadinanza. Io da allora ho un processo al TAR del
Piemonte dove si sta ancora discutendo questo mio diritto.
Io tra l’altro l’anno scorso, nel 2002... no,
2003, ci siamo sposati, con mia moglie, è da 15 anni
che convivevamo, ci siamo sposati, ho avanzato un’altra
richiesta di cittadinanza, di nuovo, perché mi spetta
lo stesso di diritto, nonostante la prima si sia consumata
in una grande ingiustizia, perché su di me non avevano
niente.
Me l’hanno rifiutata dopo vent’anni. L’ho
chiesta di nuovo, la cittadinanza, so che il periodo di attesa
sono due anni, mi hanno chiamato già in Caserma nel
paese dove abito io, perché così è la
prassi, la presenta nella Prefettura accompagnato con tutta
la documentazione che chiedono e tant’è vero
che per presentare la domanda di cittadinanza in questo Paese
uno bisogna che abbia la fedina penale pulita e che non hai
pendenze con la giustizia italiana. E adesso sono in attesa
che mi venga riconosciuta la cittadinanza, per un altro motivo,
anche se prima c’è stata... commessa una grande
ingiustizia nei miei confronti.
P.C. Avv. Mossetti – Non avrei altre domande.
(…). Avv. Parodi – (…). Lei prima ha parlato
di un viavai di macchine che venivano davanti casa sua eccetera,
si ricorda che giorni erano? Si ricorda in quali giorni lei
ha notato questo andirivieni di automobili?
Teste Taquias – Queste macchine di solito... cioè
io le ho notate più alla sera, perché io arrivavo
di sera, non so se passavano pure di giorno...
Avv. Parodi – Sì, certo, perché lei ci
ha spiegato che lavora.
Teste Taquias – Però al sabato e alla domenica
io ero a casa e venivano, facevano il giro davanti a casa
mia, si fermavano, andavamo per prendere queste targhe, che
ci aveva consigliato la Digos di Alessandria, e questi scappavano.
Tant’è vero che abbiamo informato la Digos di
venire loro e loro sono venuti, effettivamente noi abbiamo
visto che sono venuti 5 o 6 volte a fare una specie di ronda.
Certo non possono mettere a disposizione nostra, non siamo
così importanti, siamo solo dei lavoratori...
Danno nei nostri confronti
Avv. Parodi – La ringrazio. Lei legge regolarmente
Umanità Nova?
Teste Taquias – Certo.
Avv. Parodi – Non ho altre domande.
Giudice – Quindi, diciamo, l’aspetto che l’ha
più offesa in questo articolo è il fatto che
si sia detto che in questo pranzo veniva organizzato...?
Teste Taquias – Sì, che si stesse tramando un
qualcosa. Questo che ha colpito anche più anche nel
paese, perché in un paese piccolo è difficile
farti amicizie, quel paese dove abitavo io erano mille anime,
non di più, era da quattro anni che eravamo lì,
eravamo riusciti perlomeno ad inserirci, abitavo nella casa
del sindaco quindi...
Ma per noi era anche pure una responsabilità, riuscire
a creare un po’ di amicizia con la gente, e questo ha
mandato a monte tutto, addirittura il sindaco è venuto
due volte a casa mia a domandare cos’era successo, queste
cose qua, e ha creato un danno nei nostri confronti.
Nonostante noi avessimo fatto solo una cosa per sostenere
un giornale anarchico, giornale... che è un giornale
storico, del 1920, e che gli anarchici nel mondo... io in
Cile ero anarchico, non sono... che sono diventato qui in
Italia. Per questo mi trovo in questo Paese.
Ero un lavoratore in Cile, ero un calzolaio, qui sono un metalmeccanico,
perché le circostanze mi hanno obbligato ad imparare
un altro mestiere qua, perché quel mestiere che facevo
in Cile non riesco più a farlo qui.
Non ci sono altre domande, il teste viene licenziato.
Le
imputazioni
In
composizione monocratica nella persona della dott.ssa
Silvia Pansini, in funzione di Giudice Unico, alla pubblica
udienza del 14.2.2005 ha pronunciato, mediante lettura
del dispositivo, la seguente sentenza
nel procedimento a carico di Rizzi Stefano, (…),
Lorenzetti Simona, (…), Tesio Massimo, (…),
liberi presenti i primi due e contumace il secondo.
Imputati
Rizzi
Stefano e Lorenzetti Simona:
- a)
- in ordine al reato previsto e punito dagli artt.
595 c.p., e 13, L. 8 fabbraio 1948, n. 47, 1i c.p.,
perché, in qualità di autori dell’articolo
dal titolo “In una cascina dell’Alessandrino
i piani degli anarchici per l’anniversario del
G8”, pubblicato sull’edizione del 17 luglio
2002 del quotidiano “Il Giornale Nuovo del Piemonte”,
con il contenuto dello stesso, riferendo lo svolgimento
di un incontro tra persone appartenenti all’area
anarco-insurrezionalistica presso una cascina di Rivalta
Bormida, ed ipotizzando che nel corso dello stesso
i partecipanti avessero affrontato argomenti e definito
iniziative finalizzate a porre in essere comportamenti
violenti o, comunque, illeciti in occasione della
successiva manifestazione per l’anniversario
dei fatti avvenuti durante il G8 di Genova dell’anno
precedente (in particolare, con le espressioni “Pane,
salame e vino. Ma oltre a questo, pochi giorni fa,
…c’era ben altro: denaro e progetti per
la trasferta degli anarco-insurrezionalisti piemontesi
a Genova per l’anniversario delle morte di Carlo
Giuliani, durante le manifestazioni del G8. …Il
furgone carico di bastoni del centro sociale Askatasuna
di Torino, che era giunto a Genova in quel sabato
di violenza …non ci sarà. Ma solo perché
l’automezzo, un anno dopo il G8, è ancora
sotto sequestro da parte della magistratura ligure.
…Il fermento maggiore, seppure malcelato, sembra
essere non tanto negli ambienti dell’autonomia,
quanto in quello degli anarco-insurrezionalisti …e
proprio un gruppo di esponenti di questo movimento
…si è radunato domenica scorsa in una
cascina di Rivalta Bormida per mettere a punto il
progetto della trasferta genovese. Una riunione “ufficialmente”
volta ad organizzare il viaggio …forse anche
per mettere a punto altro, ma sono soltanto ipotesi,
al massimo sospetti, finora senza alcun riscontro.
…di questo si sarebbe parlato nella cascina
di Rivalta Bormida. Di questo e chissà? Forse
anche di altro.” offendevano la reputazione
di Taquias Vergara Vicente e Corvaio Giuseppa, proprietari
della predetta cascina. Con l’aggravante di
avere attribuito un fatto determinato. In Paderno
Dugnano, in data 17 luglio 2002
-
- Tesio Massimo:
- b)
- in ordine al reato previsto e punito dall’art.
57 c.p., perché, in qualità di direttore
responsabile del quotidiano “Il Giornale Nuovo
del Piemonte”, ometteva di esercitare sul contenuto
del predetto periodico da lui diretto il controllo
necessario ad impedire che fosse commesso il reato
di cui al capo che precede. In Paderno Dugnano, in
data 17 luglio 2002 (…).
|
La
sentenza
Il
Giudice visto l’art. 529 c.p.p. dichiara non
doversi procedere nei confronti di Tesio Massimo per
difetto della condizione di procedibilità.
Visto l’art. 530 comma 2 c.p.p. assolve Lorenzetti
Simona per non aver commesso il fatto.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., 62 bis, 69 c.p.
dichiara Rizzi Stefano colpevole del reato a lui ascritto
e, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti
all’aggravante, lo condanna alla pena di 500
Euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Visto l’art. 12 L. n. 47/1948 condanna Rizzi
Stefano al pagamento a favore delle parti civili di
una somma di 1.500 Euro ciascuna a titolo di riparazione
pecuniaria.
Visti gli artt. 538 ss. c.p.p. condanna Rizzi Stefano
al risarcimento del danno cagionato alle parti civili
che si liquida in via definitiva ed equitativa in
6.000 Euro ciascuna oltre interessi dalla data odierna
al saldo.
Visto l’art. 541 c.p.p. condanna Rizzi Stefano
al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile
che si liquidano in complessive 2.400 Euro oltre IVA
e CPA come per legge.
Visto l’art. 9 L. 47/48 ordina la pubblicazione
della presente sentenza, una volta sola e per estratto,
a cura della Cancelleria e a spese dell’imputato
Rizzi sul quotidiano “Il Giornale Nuovo del
Piemonte”. Riserva la motivazione nei sessanta
giorni.
Desio, 14.2.2005.
Il Giudice
Silvia Panini
|
Contro
Pinochet
Stralcio dall’esposto-denuncia presentato
da Urbano, nel 1998, contro il dittatore cileno e
i crimini della sua giunta.
(…).
Sono cittadino cileno; dal 1975 risiedo con permesso
di soggiorno quale esiliato politico, come da riconoscimento
della commissione paritetica di eleggibilità
del governo italiano.
Sono dovuto fuggire dal mio paese a causa del colpo
di stato avvenuto nel 1973 da parte del generale Pinochet
Augusto Ugarte. Infatti a causa della mia militanza
politica venni arrestato e rinchiuso nello stadio
nazionale insieme a migliaia di persone.
Durante il periodo di detenzione fui sistematicamente
fatto oggetto di torture, in particolar modo venni
ripetutamente bastonato, mi vennero applicati fili
elettrici che davano scosse di corrente, al fine di
farmi confessare i nominativi di altre persone oppositrici
del regime.
Venni liberato dopo 15 giorni grazie all’intervento
della Commissione delle Nazioni Unite, che era intervenuta
per controllare la violazione di diritti umani.
Alla mia scarcerazione mi fu detto di recarmi in una
caserma di polizia per firmare un libro, mi guardai
bene dal fare quanto richiesto e successivamente appresi
che coloro che lo fecero vennero deportati in campi
di concentramento od in navi da guerra e se ne perse
traccia.
In data 15 ottobre 1973 le forze di polizia del governo
Pinochet, durante un controllo spararono senza alcun
motivo, a mio fratello ed altre 8 persone che stavano
aspettando l’autobus, causandone la morte a
causa delle ferite inferte. L’accertamento della
responsabilità delle forze di polizia di Pinochet
fu acclarato nel 1990 dalla Commissione Retting incaricata
dall’allora governo del Cile di fare un’inchiesta
sui crimini perpetrati dal regime di Pinochet.
(...).
Milano
27 ottobre 1998
Taquias
Vergara Vicente
(da "Umanità Nova" n. 34 del 8/11/98)
|
|
|