geografia
Un approccio antropologico
di Fabrizio Eva
Usare la geografia di Reclus
per capire le dinamiche geopolitiche.
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Ancora oggi geografi
di nome dedicano tempo e attenzione alla rilettura degli scritti
di Friedrich Ratzel, per cercare di dimostrare la sua attualità
o il suo essere “anticipatore”. E invece è
necessario “deratzelizzare” l’immaginario
della geografia politica (e delle Relazioni Internazionali);
per farlo bisogna sostenere una visione/interpretazione alternativa
degli elementi che compongono la cosiddetta triade ratzeliana
e cioè suolo/confini, popolo, struttura politica, che
costituiscono i fattori dinamici dello stato come lo concepiva
lui. Nella concezione di Ratzel i confini sono necessari per
identificare con certezza (cioè ingabbiare) lo spazio
(il suolo); però il concetto di popolo è ambiguo
perché non chiarisce la questione centrale della sua
omogeneità e la sovranità appare come il generico
esercizio del potere su uno spazio determinato, senza precisione
circa chi e come esercita il potere. La sovranità sembra
molto simile, nei modi e nei principi, all’esercizio
del potere negli spazi di proprietà privata. Il confine
segna uno spazio occupato su cui si vantano diritti di proprietà.
Una visione alternativa c’è, proprio dai tempi
di Ratzel. È stata elaborata da Elisée Reclus
e non ha mai preteso di essere un metodo scientifico; probabilmente
proprio per questo non ha avuto successo nell’accademia
e tra gli uomini di potere.
I punti concettuali nodali del modo di essere geografo di
Reclus sono i seguenti:
- i confini devono essere concepiti come mobili perché
sono solo temporaneamente funzionali. Quando cambia la funzione
o cambiano le scelte dei gruppi umani, i confini si spostano
per adeguarsi alle nuove funzionalità;
- gli unici confini da considerare sono quelli che segnano
le differenziazioni di abitudini, di comportamenti e di caratteristiche
dei gruppi umani; “terra, clima, organizzazione del
lavoro, tipo di alimentazione, razza, parentela, modi di raggruppamento
sociale” costituiscono il genere di vita (genre de vie),
che con storia e lingua ha, per Reclus, un ruolo molto rilevante
nella formazione e nelle dinamiche dei gruppi umani;
- bisogna rendere più libero possibile il movimento
di idee e persone;
- l’individuo deve essere libero, ma non è solo.
Solidarietà e fratellanza sono i principi delle relazioni
tra gli essere umani, che portano alla cooperazione e allo
scambio;
- la libera volontà dell’individuo è
il motore primo delle dinamiche sociali.
Ne deriva la consapevolezza che le abitudini si formano e
si cambiano, per cui bisogna contrastare la tendenza o la
volontà di cristallizzarle in identità/etnie/popoli/valori,
soprattutto se riferiti a storie mitiche del passato o a origini
religiose.
Elisée Reclus
Lascito
metodologico rilevante
L’abbinamento della centralità dell’individuo
con la concezione dello spazio derivante dall’identificazione
dei gruppi umani secondo il loro genere di vita costituisce
il lascito metodologico più rilevante di Reclus. Quelle
che perfino lui era giunto a definire “leggi”
(solo nel senso della loro alta frequenza di casi) erano:
- la tendenza dei gruppi umani a strutturarsi secondo gerarchie
(a causa delle diseguaglianze);
- la spinta insopprimibile alla libertà da parte dell’individuo
che non accetta l’ingiustizia;
- il meccanismo di continua oscillazione/bilanciamento tra
queste due tendenze contrastanti.
Bisogna considerare gli esseri umani come realmente sono
e non immaginarli come esseri “teorici”. Una delle
caratteristiche degli individui è che chiedono tempo
per assimilare i cambiamenti, anche se ci si abitua velocemente
alle novità comode o liberatorie. Un modo più
contemporaneo di concepire la “rivoluzione” significa
imprimere continue sollecitazioni al cambiamento nelle relazioni
sociali piuttosto che puntare ad una insurrezione che solo
in superficie le cambi rapidamente.
Le vicende storiche hanno mostrato che da parte dei gruppi
umani il grado di sopportabilità di condizioni politiche
ed economiche negative è generalmente alto e questo
anche perché la resistenza psicologica al cambiamento
è sempre elevata, soprattutto nei gruppi ad “identità
forte” cui si può fare riferimento nei momenti
difficili.
Le identità forti derivano da vicende storiche, da
caratteri culturali casuali, ma anche dall’opera di
sollecitazione o pacificazione delle emozioni esercitato da
rappresentazioni e simboli che rispondono alle paure e/o alla
psicologia degli esseri umani. Etnia e identità, nazionalismo,
xenofobia, sono costruiti socialmente e sono fattori geopolitici
forti e diffusi perché fanno riferimento alle caratteristiche
della psicologia umana.
Una di queste è la paura del non conosciuto, e quindi
del diverso.
Le motivazioni dei singoli in favore dei confini e delle identità
derivano dal desiderio di non avere paura e da qui deriva
la spinta:
- a voler stare in un territorio conosciuto perché
si pensa di poter vivere bene (o sopravvivere) solo lì.
La non conoscenza di altri luoghi e di altre abitudini rafforza
questo convincimento;
- a voler stare con persone conosciute o che si immaginano
solidali, perché si presume che chi parla lo stesso
linguaggio o ha le stesse abitudini non sia pericoloso (o
lo sia meno degli sconosciuti).
Queste dinamiche psicologiche vengono spesso usate da singoli
e/o gruppi (intesi come soggetti politici e/o classi sociali)
per conquistare o mantenere il potere. Affermare come un a
priori il mito etnico-identitario favorisce la sensazione
di protezione e “non paura” e fa accettare o dà
senso alla disuguaglianza esistente.
Visioni
decisamente diverse
Se si vuole essere geografi critici le sollecitazioni di
Reclus indicano che bisogna “leggere” i gruppi
umani senza una esclusiva appartenenza ai luoghi e quindi
“leggere” i luoghi senza farsi ingannare dalle
rappresentazioni e/o dalle sovrastrutture istituzionali.
Questo pur tenendo conto che le diverse culture si sviluppano
e cambiano in riferimento a luoghi precisi e in base anche
alle caratteristiche di tali luoghi.
L’attivismo politico deve puntare a comunità
che non abbiano rivendicazioni di identità collettive
rigide e riferite a spazi esclusivi, oppure a territori miticamente
conquistati o “attribuiti” dal destino, o da dio.
Si deve puntare ad appartenenze senza rappresentazione collettiva
e cioè intendere il collettivo come una dinamica e
mutevole somma delle rappresentazioni individuali.
Questo significa moltiplicare i confini in senso funzionale,
perché perdano qualunque significato sacrale e possano
essere spostati per seguire i cambiamenti. Appartengono a
questo ambito concettuale anche le appartenenze multiple e
i piani decisionali sovrapposti.
I confini impermeabili possono servire temporaneamente o funzionalmente
quando c’è incomprensione, e possono servire
anche per poter vivere la propria diversità; però
sono limiti difensivi e non espansivi, perché lo spazio
dovrebbe essere prevalentemente “pubblico”, perché
quello è lo spazio della libertà e della negoziazione,
dell’incontro, dello scambio e della cooperazione.
Reclus considerava come prioritari i comportamenti degli individui
(liberi) e quindi vedeva la “democrazia” come
una/molte comunità che praticano relazioni egualitarie
e che sono disponibili al cambiamento perché questo
produce molte idee, molte novità e la collaborazione/negoziazione
necessaria per… un reale progresso umano, qualunque
forma esso possa prendere in futuro da queste condizioni di
partenza.
Oggi l’approccio di Reclus verrebbe definito di tipo
antropologico e “leggere” le attuali dinamiche
geopolitiche mondiale con la sua ottica porta a visioni decisamente
diverse da quella di chi si accontenta di una democrazia formale
e la “esporta” con gli eserciti.
Fabrizio Eva
La
geografia sociale
Per
la nostra epoca di acuta crisi, in cui il vortice dell’evoluzione
diviene talmente rapido che l’uomo, colto da vertigine,
cerca nuovi punti d’appoggio per orientare la sua
vita, per questa società profondamente scossa,
lo studio della storia è tanto più prezioso
quanto più il suo dominio, incessantemente accresciuto,
offre una serie d’esempi sempre più ricchi
e vari. Il susseguirsi delle età diviene per noi
una grande scuola i cui insegnamenti, una volta classificati,
finiscono per raggrupparsi in alcune leggi fondamentali.
Una prima categoria d’avvenimenti che lo studio
della storia mette in evidenza ci mostra come, per effetto
di uno sviluppo ineguale presso gli individui e le società,
tutte le collettività umane – eccettuate
le popolazioni rimaste al primitivo naturismo –
si dividono al loro interno in classi e caste dagli interessi
non solo differenti ma opposti, che risultano dichiaratamente
nemiche in periodi di crisi. Questo è, sotto mille
forme, l’insieme dei fatti che si osserva in tutte
le regioni dell’universo, pur con la diversità
infinita dettata dai luoghi e dai climi e dalla matassa
sempre più intricata degli avvenimenti.
Il secondo fatto generale, conseguenza necessaria della
divisione dei corpi sociali, è che l’equilibrio
spezzato fra individuo e individuo, fra classe e classe,
tende a bilanciarsi costantemente attorno al suo asse
di riposo; la violazione della giustizia grida sempre
vendetta. Da qui derivano incessanti oscillazioni: chi
comanda cerca di rimanere padrone, mentre l’asservito
prima compie ogni sforzo per conquistare la libertà
poi, trascinato dall’energia dello slancio, tenta
di ricostituire il potere a suo profitto.
Così guerre civili, complicate da guerre contro
popoli stranieri, di annientamento e distruzione, si succedono
in un groviglio continuo secondo la spinta dei rispettivi
elementi in lotta. O gli oppressori si sottomettono, estinta
la loro forza di resistenza, e muoiono lentamente spenta
la forza vitale dell’iniziativa, o è la rivendicazione
degli uomini liberi che vince. Possono così riconoscersi,
nel caos degli eventi, reali rivoluzioni – cioè
cambiamenti di regime politico, sociale ed economico –
frutto di una comprensione più chiara delle condizioni
dell’ambiente e di più energiche iniziative
individuali.
Un terzo gruppo di fatti, infine, legato allo studio dell’uomo
in tutti i tempi e in tutti i paesi, dimostra che nessuna
evoluzione nell’esistenza dei popoli può
compiersi se non grazie allo sforzo individuale. È
nella persona umana, elemento primario della società,
che bisogna cercare la spinta propulsiva dell’ambiente,
destinata a tradursi in azioni volontarie volte a diffondere
idee ed opere tali da modificare la vita delle nazioni,
il cui equilibrio appare instabile solo per il disturbo
arrecato dalle aperte manifestazioni degli individui.
La società libera si riconosce dallo sviluppo dato
ad ogni persona umana – cellula prima fondamentale
destinata poi ad aggregarsi ed associarsi a suo piacimento
con le altre cellule di un’umanità in continua
trasformazione.
È in proporzione diretta a questa libertà
e a questo sviluppo iniziale dell’individuo che
le società guadagnano in valore e nobiltà:
è dall’uomo che nasce la volontà creatrice
che costruisce e ricostruisce il mondo.
La «lotta di classe», la ricerca dell’equilibrio
e la sovrana decisione dell’individuo, sono questi
i tre ordini di fatti che ci rivela lo studio della geografia
sociale e che, nel caos degli avvenimenti, si mostrano
abbastanza costanti per poter prendere il nome di «leggi».
È già molto riconoscerle e dirigere in base
ad esse la condotta e la parte d’azione che spetta
a ciascuno nella gestione comune della società,
in armonia con le influenze dell’ambiente, note
e ormai scrutate. È l’osservazione della
Terra che ci spiega gli avvenimenti della Storia e questa
a sua volta ci riporta verso uno studio più approfondito
del pianeta, verso una solidarietà più cosciente
del nostro individuo, così piccolo e cosi grande,
con l’universo immenso.
Eliseée
Reclus
tratto
da: Elisée Reclus, L’Homme. Geografia
Sociale, a cura di Pier Luigi Errani, Franco Angeli
Editore, Milano, 1984.
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Convegno
Internazionale
“Elisée Reclus:
natura ed educazione”
12-13 ottobre 2005
Università di Milano Bicocca
Facoltà di Scienze della Formazione
Programma
Mercoledì
12 ottobre
h 9.00 Presiede Marcella Schmidt di
Friedberg (Università di Milano Bicocca)
- Susanna
Mantovani (Preside della Facoltà di Scienze della
Formazione)
- Saluto
d’apertura
Philippe Pelletier (Università di Lione)
- Passion
et raison, la nature chez Elisée Reclus
Franco Farinelli (Università di Bologna)
- Elisée
Reclus e la fine dell’Erdkunde
John P. Clark (Università di New Orleans)
- The
Living Legacy of Elisée Reclus: Ecology, Ethics
& Politics
h
14.30 Presiede Giuseppe Campione (Università
di Messina)
- Ronald
Creagh (Università di Montpellier)
- Quelques
leçons de la Nature chez Reclus
Giampietro Berti (Università di Padova)
- Spazio
e tempo in Reclus
Vincenzo Guarrasi (Università di Palermo)
- All’ombra
delle culture. I fratelli Reclus e l’impresa
coloniale
Emanuela Casti (Università di Bergamo)
- Le
derive italiane del pensiero di Elisé Reclus:
Arcangelo Ghisleri e il ruolo sociale della geografia
Teresa Vicente (Università di Salamanca)
- Eliseo
Reclus, educación y geografia: del siglo XIX
al siglo XXI
Giovedì
13 ottobre
h
9.00 Presiede Elena Dell’Agnese (Università
di Milano Bicocca)
- Raffaele
Mantegazza (Università di Milano Bicocca)
- Una
geografia dell’esistenza. Tracce di pedagogia
libertaria nell’opera di Reclus
Fabrizio Eva (Università di Venezia, sede
di Treviso)
- Insegnare
la geografia politica alla Reclus
Francesco Codello (Dirigente scolastico a Treviso)
- Educazione
e natura in Eliseo Reclus
Presentazione della nuova edizione italiana del
libro di Reclus
- Storia
di un ruscello (casa editrice Elèuthera)
in
collaborazione con il Centro studi libertari di Milano
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