Educatore e
utopista
Esce in queste settimane un’antologia di articoli
(Vaso, creta o fiore? Né riempire, né
plasmare ma educare, Edizioni La Baronata, pagine 256,
prezzo fr. 25.00 / € 17.00) scritti dal nostro collaboratore
Francesco Codello. Ecco la sua prefazione.
Questo libro è un’antologia che raccoglie gli
articoli più significativi che ho scritto in questi ultimi
anni, soprattutto su «A-Rivista anarchica» e «Libertaria»,
sui temi dell’educazione, della scuola, dell’infanzia.
Come tutte le antologie, va letto con l’attenzione a cogliere
il filo che lega le varie parti che lo compongono e il dispiegarsi
del discorso all’interno di ciascuna di esse. Naturalmente,
ogni articolo può risentire del momento in cui è
stato scritto e va quindi, se necessario, purgato dal contingente.
Nel complesso però, nonostante si tratti di articoli
già pubblicati (con l’eccezione del «Manifesto
per l’educazione libertaria»), e quindi datati,
mi pare che il libro costituisca un dignitoso strumento di riflessione
e di discussione, ma anche di informazione, sull’educazione
libertaria oggi.
L’antologia si compone di tre parti che vogliono dare
all’insieme una logica che, partendo da riflessioni su
temi educativi, secondo una sensibilità personale, e
spesso da fatti di cronaca o comunque contingenti (Capitolo
I), cerchi poi di cogliere le tendenze fortemente autoritarie
verso cui il sistema scuola sta inesorabilmente marciando (Capitolo
II), per raccontare infine cosa sta concretamente emergendo
al di fuori degli schemi tradizionali, indicando un’alternativa
possibile e proprio percorribile in senso fortemente libertario
(Capitolo III). L’appendice è una rilettura riassuntiva
di teorie e di alcuni autori che possono sicuramente essere
recuperati e valorizzati (in parte) per un approccio innovativo
e nutrito di vera sensibilità libertaria.
Naturalmente un discorso su questi argomenti è sempre
aperto e io stesso, mano a mano che cresce l’esperienza
e che le occasioni di incontrare veri maestri si concretizzano,
sono costantemente stimolato a riflettere, rivedere, aggiornare,
capire, riformulare, dubitare, sognare, spazi e tempi, dimensioni
e alternative, ad un sistema educativo che fin dalla sua comparsa,
con l’avvento degli Stati nazionali, si è sempre
caratterizzato per costituire il principale strumento di dominazione
e di asservimento degli esseri umani.
Il mio debito di riconoscenza, oltre ai tanti educatori e teorici
dell’anarchismo, si allarga sempre più a persone,
uomini e donne, che tra mille difficoltà, con straordinarie
pratiche e formidabili intuizioni, hanno costituito e costituiscono
ancor oggi, degli esempi di “buona educazione”.
Non penso solo a nomi famosi (Socrate, Tolstoj, ecc.) ma soprattutto
a tanti semplici ma profondi maestri e maestre che si possono
incontrare nei luoghi più disparati, che testimoniano
con la loro stessa vita, non necessariamente professionale,
come un rapporto egualitario e libertario sia non solo possibile
ma sempre più desiderabile.
Se, come sosteneva Aristotele, la meraviglia è la scintilla
della conoscenza, allora l’istruzione non può prescindere
da essa; se, per dirla con Socrate, l’educazione non è
plasmare ma far lievitare (la maieutica del mèntore),
se nel rapporto tra maestro e allievo non può non esserci
eros, come sottolineava Platone, e l’insegnamento è
“vocazione”, come ricorda Ovidio, allora educare
è un’arte (Tolstoj), per realizzare l’educazione
è indispensabile essere al contempo maestri e allievi.
Nell’I-Ching la verità, il divino, è in
noi, non si insegna, ma si vive. Il vero maestro, come sostiene
Alcott, difende i suoi allievi anche da se stesso, dalla sua
influenza e quindi deve insegnare a dubitare di ciò che
egli stesso insegna (Ortega y Gasset).
La conoscenza non conduce all’intelligenza (Krishnamurti):
ecco perché ciò che va ricercato è la saggezza
perché è l’arte della vita, perché
dà gioia, rende felici, è quel saper vivere, dove
sapere non è sapere sulla vita, ma semplicemente esperienza
della vita (Panikkar). Dare significato al proprio stare al
mondo non è essere informati sul mondo («Dov’è
la vita che abbiamo perduto vivendo? Dov’è la saggezza
che abbiamo perduto sapendo? Dov’è la sapienza
che abbiamo perduto nell’informazione?», T. Eliot,
Cori da La Rocca, in: Poesie, Milano, Bompiani,
1991). La saggezza è la consapevolezza che non riuscire
ad appagarsi è la magnificenza dell’essere umano
(Holderlin) e quindi la ricerca dentro noi stessi è l’essenza
della conoscenza come ci ha insegnato Shakespeare.
Educare dunque significa liberare, far emergere, sciogliere,
portare alla luce, quanto di più profondo e intenso vi
è in ciascuno, quindi non vi è educazione se non
come auto-educazione. Alla fine è sempre l’essere
unico, irripetibile, diverso da tutti gli altri suoi simili,
che sta al centro del processo educativo e che si nutre della
straordinarietà di altri esseri che entrano in contatto
con lui attraverso storie, ambienti, culture, conoscenze, sensibilità,
specificità. L’educazione libertaria non può
che essere esattamente l’opposto di quella finalizzata,
di quella cioè che pensa al dover essere secondo un’idea
predefinita di Uomo e che costruisce il proprio percorso secondo
sentieri programmati e certificati. In questo senso l’educazione
per essere fino in fondo libera deve essere “incidentale”
(Goodman) e pertanto de-costruire l’esistente imposto
svelandone le costruzioni immaginarie (Orwell).
La conoscenza è innanzitutto conoscenza di sé
(Krishnamurti) e, dunque, nel rapporto dialogico tra gli esseri
l’azione educativa, la relazione libertaria, deve tendere
a negare l’uomo sradicato dall’essere e a riconciliarlo
con la sua specificità esistenziale (Buber).
Non c’è educazione senza empatia, senza cioè
quella capacità di focalizzare il proprio sentire-agire
sul mondo interiore dell’interlocutore, sull’intuizione
di ciò che si agita in lui, come si senta in una situazione
e cosa realmente provi al di là di quello che esprime
verbalmente. L’empatia è la tensione razionale-emotiva
che ti porta fuori dai propri schemi di attribuzione di significato,
è la rivisitazione di ciò che si ha vissuto (Tolstoj)
attraverso una sensibilità, vera conoscenza, molto sottile,
fine, rara. Ma presuppone la trasparenza, vale a dire l’accordo
tra i sentimenti manifestati e quelli realmente provati. Nell’educazione
libertaria educatore ed educando sono trasparenti, perché
solo così possono aprirsi con fiducia e disponibilità
a se stessi e all’altro.
Nella relazione trasparente si realizzano l’ascolto e
la comprensione empatica, cioè l’immedesimarsi
nell’interlocutore e comprendere il suo punto di vista,
senza peraltro assumerlo come proprio, senza valutare, approvare,
disapprovare, correggere. Tutto questo implica la sospensione
dei giudizi morali sui sentimenti riferiti dall’altro.
L’ascolto empatico non impone una direttiva, ma pone l’altro
nella condizione di esplorarsi per trovare la sua verità.
L’educatore libertario può spingere, attraverso
una riflessione speculare, l’altro a sconsacrare ogni
sentimento istituito ma mai a temere la sacralità e i
sentimenti (Pasolini). Queste sono le virtù che i cinici
Antistene e Diogene hanno portato a identificare con la vita
vera, piena, irrinunciabile, libera da ogni costrizione, da
ogni potere, da ogni tabù.
Tutto ciò è esattamente l’opposto del sapere
e della conoscenza per apparire, l’aver cioè incamerato
nozioni, dati, fatti, esperienze, che dimostrino il sapere acquisito.
Sapere per essere, contro sapere per consumare. Educare per
condurre al sé, contro educare per il dover essere.
Se l’essere è dunque il fine dell’educazione,
la diversità è un valore; senza diversità
non vi può essere libertà.
L’essere è intero, molteplice, è uno, unico
ma partecipa della sua umanità, la abbraccia, la realizza
attraverso la sua singolarità, la riconosce tramite la
relazione, ne ha bisogno come spazio e tempo della sua essenza.
Ed è sempre l’amore (l’eros di Platone) per
la materia e per l’altro che occorre oggi più che
mai risvegliare nell’educatore, la rinascita della sua
missione che è affogata nella professione che occorre
rivalutare, la fede dell’utopia che è indispensabile
rilanciare in lui, per poter ancora parlare di educazione libertaria.
L’educatore è per definizione un utopista che “accende
delle stelle nel cielo della dignità umana, ma naviga
in un mare senza porti” (Berneri).
Francesco Codello
Una storia
operaia
L’amianto è un minerale dalle spiccate
proprietà termoisolanti. Pratico ed economico, ha trovato
numerose applicazioni nell’industria e nell’edilizia.
Ma oltre che pratico ed economico, l’amianto è
estremamente pericoloso. Quando si usura, infatti, le piccole
particelle di cui è composto si disperdono e, se inalate,
tendono a concentrarsi nei bronchi, negli alveoli polmonari
e nella pleura, provocando danni irreversibili ai tessuti.
Questo libro (Michele Michelino, Daniela Trollio, Operai,
carne da macello. La lotta contro l’amianto a Sesto San
Giovanni, Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi
di Lavoro e nel Territorio, Sesto San Giovanni 2005, 9 euro)
racconta la storia di un gruppo di operai della Breda Fucine,
storica fabbrica di Sesto San Giovanni, fondata nel 1886 e chiusa
nel 1996. Racconta di come abbiano visto i loro compagni morire,
ed abbiano scoperto di essere essi stessi ammalati, a causa
dell’esposizione all’amianto, largamente utilizzato
in fabbrica. Da qui la decisione, sofferta e convinta, di battersi
per ottenere verità e giustizia. I dirigenti della fabbrica,
infatti, erano stati più volte informati, attraverso
rapporti del servizio di medicina degli ambienti di lavoro,
della nocività delle lavorazioni, e delle precauzioni
necessarie per prevenire l’insorgere di queste malattie
ma, colpevolmente, per interesse, calcolo o disprezzo della
vita umana – la vita degli operai, “carne da macello”
– queste indicazioni erano state sistematicamente ignorate.
Il libro ripercorre le tappe di questa lotta – l’inchiesta
operaia, lo scontro con i sindacati confederali, la preparazione
e lo svolgimento dei processi, i rapporti con la burocrazia
di INAIL e INPS, le iniziative pubbliche tese ad informare sui
problemi della salute negli ambienti di lavoro e nel territorio
– mostrando come questi compagni, passo dopo passo, sperimentino
sulla propria pelle l’isolamento, la calunnia, il disprezzo,
e come gradualmente prendano coscienza della natura classista
della nostra società e del fatto che le istituzioni,
le leggi, la medicina, la scienza non sono neutrali e asettiche
ma, al contrario, sono strumenti al servizio di chi detiene
il potere. Non si tratta quindi solo di un’opera di carattere
storico-documentario, testimonianza di una esemplare lotta operaia,
ma anche di un libro che, partendo da un’esperienza concreta,
e con un linguaggio semplice e vigoroso, mai retorico o inutilmente
estremistico, mette a nudo l’ingiustizia e la disumanità
del sistema economico e politico in cui viviamo, indicando nel
contempo nel coraggio, nell’ assunzione personale di responsabilità
e nella solidarietà attiva tra i lavoratori una possibile
via d’uscita.
Il libro può essere richiesto agli autori, tel. 3394435957
o all’email: michele.mi@inwind.it.
Ivan Bettini
|