Voltaire,
dichiaratamente ateo, avrebbe voluto, tuttavia, che il suo avvocato,
il suo valletto e sua moglie credessero in Dio, perché
così, a suo dire, avrebbe avuto “meno possibilità
di essere tradito”. L’aspirazione – anche
per la molteplicità dei presupposti da cui scaturisce
– merita qualche considerazione. L’illuminismo di
cui si sentiva rappresentante avrebbe dovuto suggerirgli maggiore
cautela.
Non si voleva forse che la dea della ragione fosse più
che sufficiente per ordinare un mondo di persone più
felici perché meno oppresse dall’autorità
delle religioni e dalle forme medievali del potere ? E, invece
no, perché, per la buona pace dell’intellettuale
liberato dai gioghi, è d’uopo che gli antichi retaggi
affliggano una certa categoria di persone. E che persone…:
l’avvocato, il valletto e la moglie, qui accomunate per
un’unica e precisa funzione – servire. Servire a
tirarlo fuori dai guai con la giustizia e servire nei suoi comodi
di classe e di genere. Che all’illuminismo, dopo un breve
periodo di illusioni, non potesse che seguire la restaurazione
degli antichi privilegi, lo si poteva arguire già da
qui.
Tanto studio illuminante, poi, a quanto sembra, a Voltaire ha
insegnato pochino. Storia alla mano, avrebbe dovuto ben sapere
che una salda fede in Dio, da che mondo è mondo, non
ha mai impedito di compiere le peggiori nefandezze – si
veda alle voci “crociate”, “santa inquisizione”,
“papi” e “dittatori” –, e, anzi,
forse delle peggiori nefandezze è stata, per l’appunto,
o la causa o la giustificazione.
Colgo la citazione di questo imbarazzante pensiero di Voltaire
in un saggio di Alan Dershowitz, Rights From Wrongs
(Codice edizioni, Torino 2005), il cui titolo, anche nella versione
italiana, è stato lasciato in inglese, ma che, con qualche
approssimazione, avrebbe potuto essere “il diritto dal
rovescio”, o “il diritto preso dalla parte opposta”.
Dershowitz, oltre ad essere un avvocato famoso negli Stati Uniti
è un teorico del diritto ben consapevole di quanto le
teorie su cui si fonda la sua disciplina e l’esercizio
della sua professione non stiano in piedi. Infatti, nei primi
capitoli si dà da fare con buona lena per dimostrare
che le due soluzioni fondamentali del diritto – quella
della sua discendenza da Dio e quella della sua discendenza
dalle leggi di natura – non reggano all’analisi
dello scettico. A prima vista, dunque, non sarebbe stato l’avvocato
ideale per Voltaire.
Ma, una volta dimostrata l’inconsistenza delle più
accreditate teorie del diritto, invece di respirare di sollievo,
Dershowitz butta lì la sua soluzione: se è difficile,
se non impossibile, trovare un accordo tra le varie culture
del mondo su cosa debba intendersi per “giusto”
– perché ogni cultura alla categoria assegna significati
diversi –, dovrebbe esser facilissimo, se non pacifico,
mettersi d’accordo su cosa debba intendersi per “ingiusto”.
Cominciamo dalla coda, invece che dalla testa, e andremo subito
d’accordo. Per esempio, l’Olocausto…saremmo
tutti d’accordo nel considerarlo ingiusto e nel condannarlo,
ma, già qui, Dershowitz si dimentica che qualcuno l’avrà
pur voluto, qualcuno che, ovviamente, lo considerava giusto.
E allora?
Soltanto in una noticina in fondo a pagina settantanove, Dershowitz
mostra di accorgersi che qualcosa, forse, nella sua soluzione
non quadra. Dice di averne parlato con Robert Nozick, l’autore
di Anarchia, stato e utopia (1974), e che questi
gli ha contestato il fatto che, per sapere cosa sia “una
perfetta ingiustizia”, occorre prima sapere cosa sia “una
perfetta giustizia”. Al che, seraficamente, come nulla
fosse, Dershowitz risponde che lui crede “possibile riconoscere
ingiustizie notevoli anche senza possedere un’idea perfetta
di giustizia”.
Se questa, dunque, è una “teoria laica dell’origine
dei diritti” – come recita il sottotitolo del libro
–, si comprende bene perché nel mondo – come
dopo l’illuminismo volterriano – vincano ancora
gli autoritarismi. Che, comunque, sia partendo dal capo che
dalla coda dell’elenco, occorra mettersi d’accordo
sul significato delle categorie che si usano – e che a
questa trattativa sarebbe quantomeno opportuno giungere muniti
di una teoria delle operazioni mentali che queste categorie
costituiscono –, non lo sfiora nemmeno per l’anticamera
del cervello. Tanta fede in una teoria negativa, però,
almeno agli occhi di Voltaire potrebbe riabilitarlo.
Felice Accame
P.s.: Dershowitz è lo stesso che, nel novembre del 2001,
sostenne la tesi che, se tortura da parte degli apparati dello
Stato deve esserci, è meglio che essa sia prevista per
legge piuttosto che praticata nascostamente. Ma, evidentemente,
non aveva ancora pensato alle tesi che avrebbe sostenuto più
tardi: non sarebbe, infatti, la tortura proprio una buona candidata
ad essere riconosciuta unanimemente “ingiusta” ?
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