Rivista Anarchica Online


Pinelli Piazza Fontana

Golpe di stato
Intervista di G. Z. a Guido Salvini

 

Per la strage di Piazza Fontana non ci sono colpevoli, tranne uno, però l’ambiente in cui maturò l’efferato delitto è chiaro e ben definito.

 

Milano 12 dicembre 1969. L’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura sventrato dalla bomba

3 maggio, Roma. La Cassazione chiude il processo per la strage del 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana Milano (17 i morti, 88 i feriti ). Vengono confermate le assoluzioni degli ordinovisti Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Giancarlo Rognoni.
Il Gip Guido Salvini, è stato Giudice Istruttore negli anni ’90 per tutta la seconda fase processuale della strage di Piazza Fontana e nelle principali inchieste sulle “stragi di Stato”.
I giornali italiani hanno titolato dopo la sentenza della Cassazione “Tutti innocenti”, Lei che ne dice?

Non è proprio così. Tanti fatti che abbiamo scoperto erano ormai già prescritti, ma su di essi è stata acquisita una certezza. Ad esempio: sul golpe Borghese abbiamo acquisito, anche se fuori tempo massimo, i nastri da cui risulta che la congiura era molto più ampia di quello che si voleva far credere, doveva scattare tra l’altro nel 1969 in concomitanza con la strage di Piazza Fontana e degli altri attentati, c’erano molti attori coinvolti, alti gradi militari, elementi della mafia e della massoneria… Quando abbiamo acquisito quanto era stato sottratto ai Giudici di allora, semplicemente tagliando i nastri era tardi per procedere, però sono dati incasellati in via definitiva. È vero che Zorzi è stato assolto per la strage, però ad esempio nei suoi confronti vi è stata una sentenza di prescrizione divenuta definitiva, per l’attentato alla Scuola Slovena di Trieste del 2 novembre 1969 e per la contemporanea bomba al confine italo-jugoslavo a Gorizia, in cui sono stati usati ben cinque chili di gelignite!
Questi attentati sono descritti nei minimi particolari.
La stessa sentenza di assoluzione conferma che gli attentati, Piazza Fontana e dintorni, provenivano da Ordine Nuovo e che ad esempio Freda e Ventura erano storicamente colpevoli, solo che non potevano più essere giudicati una seconda volta. Infatti le prove che abbiamo trovato dopo, negli anni Novanta, avrebbero quasi certamente portato ad una condanna, ma dopo la prima assoluzione non era più possibile procedere. Infine, Digilio, il confezionatore dell’ordigno portato a Milano, è dichiarato colpevole già nel primo grado e tale è rimasto. Un colpevole per, Piazza Fontana quindi c’è anche se le attenuanti che gli sono state riconosciute come collaboratore, hanno fatto scattare la prescrizione e quindi cancellato la pena. Digilio non era certo anarchico era di Ordine Nuovo, condannato negli anni ’80 a 12 anni di reclusione a Venezia per la sua partecipazione a tale gruppo, ed è stato dichiarato colpevole per Piazza Fontana.
Questo sancisce in via definitiva la firma politica di quei fatti.

Il giudice Guido Salvini

Sono stati necessari più di trenta anni per ricostruire il contesto e il significato di quegli attentati. Qual è la verità del Suo lavoro e di quello degli altri magistrati?

All’inizio degli anni ’90 si sono riaperti capitoli che sembravano definitivamente sepolti sul piano conoscitivo-giudiziario. Quando è emersa la vicenda di “Gladio” si è riaccesa la possibilità di occuparsi di quel periodo. Con la caduta dei blocchi sono venuti un po’ meno i controlli sui testimoni, è diventato possibile dire una parte di verità. Un uomo dei Servizi come il capitano Labruna, sottoposto del generale Maletti allora vicecapo del Sid ed oggi latitante in Sud Africa, non avrebbe parlato prima.
Labruna aveva conservato quei nastri – mai consegnati alla magistratura – sul golpe Borghese degli anni Settanta. Li ha portati a noi nel 1991, quando tutto questo mondo è venuto allo scoperto. Cercando la verità su Piazza Fontana per conseguenza ci siamo occupati di tante cose: tentativi di colpo di Stato, attentati preparatori, esercitazioni che venivano fatte da strutture clandestine con insieme civili e militari, non solo “Gladio”, ma un’altra che si chiamava “Nuclei di Difesa dello Stato”… viene ricostruito l’intero periodo della “strategia della tensione”, del pericolo di colpo di Stato, del grande scontro tra i blocchi e della lotta politica in Italia che diventa quasi una guerra non dichiarata. C’è stata una serie di attentati in sequenza e paralleli a progetti di colpo di Stato che si sono ripetuti in quegli anni per impedire che ci fosse uno spostamento non gradito verso forme di trasformazione democratica.
Questo è un dato storico che ormai è completo indipendentemente dall’accertamento o meno della responsabilità del singolo.

Attentati, bombe, la strage di Piazza Fontana, quella di Piazza Loggia Brescia del 1974… perché questa sequenza?

Progetti di colpo di Stato e attentati sono stati l’espressione della guerra fredda in Italia. La strage è un avvertimento, gli attentati uno stillicidio di avvisi. Una serie di messaggi sanguinosi, questa è stata la guerra fredda in Italia. In altri paesi ha assunto altre forme, direttamente un colpo di stato, come in Cile.

Servizi segreti e Internazionale Nera

Ed è qui che si intrecciano le organizzazioni della destra italiana – Ordine Nuovo, Avanguardia nazionale – con l’Internazionale Nera, con agenzie e servizi segreti di altri paesi e potenze…

Sì, operava all’epoca una agenzia privata, la Aginter Press, che aveva il vantaggio che se i suoi uomini venivano scoperti o catturati, come è avvenuto in occasione di attentati in Algeria, non appartenevano ufficialmente ad alcuno Stato. Si poteva fare la “guerra sporca”, senza coinvolgere nella responsabilità alcun governo occidentale. La centrale dell’Aginter Press è stata a lungo Madrid, e lì si sono stati convogliati anche gli italiani che lasciavano l’Italia in quanto ricercati. Hanno operato sotto la protezione del generalissimo Franco, con scambi di favori, facendo attentati ad antifascisti e militanti dell’Eta, e poi si sono spostati con analoghi compiti in Cile e in Argentina. In Cile soprattutto collaborando con la DINA cilena.
In Veneto è stato accertato – anche se le indagini si sono fermate davanti al segreto delle basi della Nato – il continuo scambio di informazioni tra le basi americane e gli ordinovisti che si consideravano come reciprocamente utili in un progetto di contrasto del comune nemico: cioè la possibile avanzata delle sinistre in quella fase politica.

Lei è andato a toccare meccanismi delicati, “pezzi di Stato”. Cosa ne pensa del Paese di Piazza Fontana?

Attualmente sono consulente della Commissione di inchiesta sulle ragioni dell’occultamento dei fascicoli relativi alle stragi nazifasciste, il famoso “Armadio della vergogna”. Si scoprì, casualmente nel 1994, che i fascicoli relativi a 695 gravi fatti o stragi commessi dai nazifascisti negli ultimi due anni di guerra erano stati accantonati in uno scantinato della magistratura militare e archiviati “provvisoriamente”, cioè per trenta anni. Qualche indagine è stata riaperta e la Commissione sta cercando di capire perché tutto ciò è avvenuto. La rimozione e la messa in cantina di verità imbarazzanti è in po’ un filo che percorre la nostra storia, perché in quelle stragi c’erano complicità italiane, capitoli da non riaprire, non bisognava pregiudicare l’alleanza con la Germania che stava entrando nella Nato. È un filo nero cominciato allora, che è proseguito con Portella delle Ginestre, con le stragi degli anni ’70.
Una storia di rimozioni, di selezione della memoria. Ciò che è imbarazzante lo si amputa e lo si supera senza comprenderlo e senza spiegarlo. Io non so se questo fenomeno sia finito, potrebbe riproporsi se non ci impegniamo a ricordare alle generazioni attuali, magari disattente o abituate ad una vita più deproblematizzata, ciò che è effettivamente avvenuto.
Il silenzio sui crimini di guerra costituisce un antecedente storico di quanto avvenuto in seguito. Infatti nel reclutamento di uomini di Ordine Nuovo da parte dei Servizi americani per fornire informazioni compaiono gli stessi agenti che avevano già agito dopo la guerra. Chi recluta l’ordinovista Digilio è lo stesso italoamericano, il maggiore Joseph Luongo, che nel 1945 aveva reclutato – portandolo in Austria per poi rimandarlo in Italia con compiti informativi – il maggiore nazista Karl Hass, uno dei responsabili delle Fosse Ardeatine. C’è, dunque, una continuità di uomini e di strategie.

Quanti anni ha dedicato a questo lavoro?

Dal 1990 al 1998, dovendolo faticosamente coniugare con tutti gli altri processi ordinari. Purtroppo questa indagine ha trovato ostacoli anche all’interno della magistratura, pensi che il CSM aprendo un fascicolo contro di me ha cercato a lungo di farmi trasferire da Milano proprio nella fase centrale delle indagini.
L’importanza di questo lavoro non è stata molto compresa nemmeno dalla magistratura milanese che pur avrebbe dovuto essere orgogliosa di riprendere le indagini che le erano state tolte con lo spostamento nel 1972 del processo a Catanzaro per “legittimo sospetto”. Sono state migliaia e migliaia di pagine processuali scritte in un lungo isolamento.

Che fine faranno tutte queste carte?

Tutte queste carte oltre che negli archivi del Tribunale, sono negli archivi del Parlamento e quindi del popolo italiano, perché sono tutte versate agli atti della Commissione Stragi. Accessibili agli studiosi, patrimonio che i cittadini possono utilizzare per la ricerca e per una memoria comune, condivisa.

Milano 1969 - Al centro, Pietro Valpreda

E alla fine di questo processo cosa si può dire di Pietro Valpreda, il “mostro” della prima ora recentemente scomparso?

Personalmente penso al calvario di Valpreda come detenuto e come persona la cui vita è stata comunque definitivamente segnata da quell’accusa. Alla fine il primo processo terminò con un’assoluzione per insufficienza di prove contro cui si batté lo stesso Procuratore Generale di Bari sollecitando alla Cassazione un’assoluzione piena che però non venne accolta. Di fronte agli esiti delle nuove indagini che, nonostante le assoluzioni dei singoli imputati, hanno confermato in base alle parole stesse della Corte d’Assise d’Appello che la strage era di inequivocabile matrice ordinovista io però vorrei dire che questa insufficienza di prove non è più compatibile con quanto è emerso ed è storicamente superato dai fatti.
Infatti l’insieme delle indagini che sono state condotte a Milano è del tutto incompatibile con il permanere di qualsiasi sospetto di colpevolezza nei confronti di Valpreda e ha invece il valore di un suo completo scagionamento suonando invece come condanna storica e morale di altre persone come Franco Freda e Giovanni Ventura assolti in passato e non più processabili.

G. Z.