Ottantaquattro anni fa, in un freddo dicembre, raggiunsero Berlino
da tutto il mondo i delegati dei principali Sindacati Rivoluzionari che
con le loro dure battaglie (spesso vincenti) avevano caratterizzato la
scena internazionale dello scontro di classe. Alcuni, come gli spagnoli
della CNT, non poterono arrivare a causa della dittatura. Circa un
milione e mezzo i lavoratori rappresentati. Tutti insieme fondarono
l’AIT (Associazione Internazionale dei Lavoratori). I convenuti, richiamandosi alla Prima Internazionale, si posero in completo dissenso con le manovre bolsceviche che intendevano imporre la cupola del comunismo moscovita nella direzione del sindacalismo internazionale.
L’AIT al contrario riafferma i principi dell’autonomia delle sezioni, della difesa degli interessi di classe, del federalismo, della solidarietà, dell’antimilitarismo, della struttura assembleare, dell’azione diretta.
La storia che si è snodata da quel dicembre del 1922, fa dell’AIT, per il suo passato di lotte e di realizzazioni sociali, la più prestigiosa organizzazione internazionale dei lavoratori esistente oggi al mondo. Certamente il picco più alto venne raggiunto negli anni Trenta quando, con la rivoluzione spagnola del 1936, diretta dalla CNT, l’AIT fu sul punto di cambiare il corso della storia e probabilmente gli sviluppi stessi della seconda guerra mondiale che del palcoscenico iberico fece il suo tragico banco di prova.
Oggi l’AIT, certamente molto ridimensionata rispetto al suo passato per aderenti e influenza nel sociale, continua la sua attività ed è presente con sezioni nei vari continenti (particolarmente in Europa).
Le problematiche emerse con forza in questi anni di rapidi cambiamenti economici, politici e sociali, si sono ripercosse nell’AIT costringendo questa Associazione ad affrontare, col suo prossimo Congresso di Manchester del dicembre 2006, i punti chiave relativi alla sua identità e al perché della sua esistenza. Così come ottantaquattro anni fa. Va da se che possiamo domandarci: dove andrà l’AIT dopo Manchester?
Vediamo quello che succede.
Problemi interni
La scena globale vede oggi una società basata su uno sfruttamento senza più freni e sull’estendersi di una miseria sempre maggiore per masse enormi di esseri umani. Questa situazione, la progressiva cancellazione dei diritti per i lavoratori e il ricorso al militarismo e alle guerre infinite fa si che sia vitale difendersi con una conflittualità di classe coordinata a livello mondiale.
Purtroppo l’AIT in questi anni vive la contraddizione di essere sempre meno associazione di liberi sindacati e sempre più coordinamento di piccoli gruppi specifici politici anarchici (o presunti tali) che, spesso con pochissimi iscritti (a volte ridotti a qualche individualità) si presentano come “sezioni” dell’AIT trasformando gradualmente l’Associazione in qualcosa di molto diverso da quella delle origini. Questo sta creando, in nome di una pretesa “ortodossia” anarchica di un ristretto piccolo gruppo di persone, seri problemi alle componenti che nell’AIT operano sul terreno della lotta sindacalista rivoluzionaria e di classe.
I continui tentativi di limitare l’appartenenza all’AIT ai soli militanti anarchici (e non a tutti i lavoratori che ne accettano gli statuti, come sempre è stato) e la chiusura ossessiva verso altre esperienze di lotta e di aggregazione, di fatto stanno allontanando dall’orbita dell’AIT molte forze del sindacalismo alternativo e libertario.
Nonostante questa situazione interna l’AIT resta nel mondo un polo con enormi potenzialità di aggregazione e di sviluppo. Basta pensare alla recente richiesta di affiliazione presentata da forti sindacati di lotta del Pakistan e dell’Indonesia. Questi sindacati hanno certamente pratiche e percorsi diversi da quelli classici dell’AIT, ma un confronto e un rapporto proficuo e solidale con loro permetterebbe all’Associazione di penetrare nelle aree strategicamente più importanti e calde del conflitto sociale mondiale.
Il tentativo di espellere, a Manchester, due delle sezioni fondatrici dell’AIT e oggi combattivi sindacati presenti nelle lotte sociali dei loro paesi (la FAU tedesca, rea per l’ortodossia di mantenere rapporti con sindacati già espulsi dall’AIT, e l’USI Italiana rea di aver scelto di dare autonomia alle sue sezioni sindacali, in particolare a quelle della Sanità, nella scelta di partecipare o meno alle RSU), se realizzato, aggraverebbe definitivamente la crisi dell’Internazionale, allontanandola ancora di più dalla realtà.
Il prossimo congresso quindi potrà essere decisivo per capire dove va la storica Associazione. Non mancano segnali di ottimismo. Tra tutti va segnalato il vento nuovo che soffia in Spagna, dove la CNT in questi ultimi mesi è protagonista di grandi lotte sindacali portate avanti da nuove e attive generazioni di giovani lavoratori anarcosindacalisti.
Se l’AIT saprà capire la complessità del mondo attuale, smettendo di rinchiudersi in sterili settarismi, certamente tornerà ad avere il posto che le compete nella storia attuale. Senza rinunciare ai suoi principi dovrà però aprirsi al confronto con tutte le realtà che, con percorsi diversi, perseguono l’obiettivo dell’emancipazione sociale. Invertire quindi la tendenza all’esclusione per lavorare ad una più ampia aggregazione.
L’organizzazione di uno sciopero internazionale contro la guerra (indetto da tutto il sindacalismo mondiale non compromesso col militarismo), proposta presentata dall’USI al prossimo Congresso, potrà essere un punto chiave per il rilancio dell’AIT nella scena della conflittualità globale. Così come i temi del sindacalismo di base, del precariato e dei diritti dei lavoratori potranno far ridiventare l’AIT protagonista dello scontro di classe.
Quella grande storia dell’umanità, cominciata a Berlino ottantaquattro anni fa, potrà così continuare con forza perché questo mondo ha ancora tanto bisogno di poter lottare senza catene e senza compromessi contro un potere sempre più arrogante ed indisturbato.