“La civilizzazione e la giustizia dell’ordine borghese compaiono nella loro sinistra luce ogni qualvolta gli schiavi e le bestie da soma di tale ordine si sollevino contro i loro padroni. Allora questa civiltà e questa giustizia si ergono come crudeltà non dissimulata e vendetta senza regole… una gloriosa civiltà, difatti, il cui più grande problema è come liberarsi delle cataste di corpi accumulate, una volta terminata la battaglia!”.
K. Marx, La Guerra Civile in Francia (1871) |
Il 2 dicembre 1956, l’“Observer” riportava: “… il programma del Governo (ungherese) di riconvertire i Consigli Operai in innocui esecutivi, ’istituzionalizzandoli’ come organi di autogoverno economico, analogamente al modello yugoslavo, ma senza concedere loro il diritto di presentare rivendicazioni politiche o pubblicare un proprio giornale, ha ottenuto il solo effetto di prolungare lo stallo a Budapest”.
Gli intermittenti negoziati tra i funzionari del Governo di Kádár ed i rappresentanti dei Consigli Operai giunsero quindi ad una brusca interruzione. Due membri preminenti del Consiglio Centrale dei Lavoratori furono invitati ad un incontro con Kádár ed il suo seguito nel Palazzo del Governo. Essi erano il presidente, ventiquattrenne Sandor Racs – membro del Partito Comunista fino al 23 ottobre ed attrezzista presso la Opere Elettriche Belajanis a Buda sud – ed il segretario, Sandor Bali, operaio nella stessa fabbrica. Appena arrivati al Palazzo del Governo essi furono arrestati. Tutti i lavoratori della Belajanis proclamarono immediatamente uno sciopero bianco. Rifiutarono di riprendere il lavoro finché i loro compagni non fossero stati rilasciati. Questo era naturalmente uno sciopero ’illegale’ (1). La fabbrica venne occupata da centinaia di uomini armati della polizia e della milizia governativa. Ma nonostante questo lo sciopero bianco durò per tre giorni, durante i quali non si svolse nessun lavoro. Alla fine con le minacce e con i fatti i lavoratori furono costretti a riprendere il lavoro. La polizia e la milizia erano appostati in ogni angolo della fabbrica. Ogni volta che i lavoratori si riunivano per parlare venivano immediatamente dispersi. Eppure non erano ancora sconfitti – iniziarono un rallentamento della produzione. Questo, combinato ad una campagna non programmata di abbassamento della qualità del prodotto individuale, ridusse la produzione all’8% del normale. Il commento di Kádár su questi lavoratori fu lo stesso dei direttori, dei politici e dei dirigenti sindacali di tutto il mondo – gli operai erano ‘pecore’ guidate da ‘elementi sovversivi’, ‘agitatori’, ‘demagoghi irresponsabili ed egocentrici’, ‘spie ed agenti del Capitalismo’ (in Occidente sostituire ‘comunismo’ per ‘capitalismo’).
Era ormai pronto lo scenario per una purga su larga scala dei Consigli Operai. Molti membri preminenti dei comitati furono arrestati ed imprigionati. Questa tattica degli arresti selettivi venne applicata anche a molti gruppi militanti studenteschi. Ma era pronta una riserva di difensori, pronti ad arginare la breccia. Quando le autorità se ne resero conto, seguirono arresti di massa dei membri di base dei Consigli Operai.
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Budapest 1956. Statua di Stalin nella polvere |
Inizia
la resistenza passiva
Si sviluppò allora una forma di resistenza passiva da parte delle masse, simile a quella già descritta, che continuò per mesi. Mi sembra che questo periodo, iniziato col dicembre 1956, possa essere presentato graficamente in forma di diario:
2 dicembre 1956
Le copie del “Nepszbadsag” (quotidiano del Partito Comunista) vengono bruciate nelle strade dalla folla, che è più tardi dispersa dalle truppe russe.
4 dicembre 1956
A Budapest una dimostrazione di 30.000 donne si raduna presso la Tomba al Milite Ignoto in Piazza dell’Eroe, molte indossano i colori nazionali, rosso, bianco e verde (evidentemente il solo modo che conoscevano per simboleggiare la loro lotta per la libertà). Le truppe russe spararono sulle loro teste. Una donna rimase colpita.
5 dicembre 1956
Dimostrazioni con molte migliaia di partecipanti in tutte le parti del paese, molte di esse a Budapest. Un’altra grande manifestazione di donne a Budapest marcia verso la statua di Petöfi al grido di “Russi a casa!”, “Vogliamo Nagy!”, “Via i carri armati russi!”. Molte portavano corone e fiori in memoria di parenti e conoscenti uccisi. Non raggiunsero la statua perché vennero intercettate dai carri armati e dalla fanteria russa. Il “Népakarat” (quotidiano dei Sindacati) si riferisce alla rivoluzione come “un grande movimento di massa”.
6 dicembre 1956
Il “Népakarat” afferma: “Non c’è da stupirsi che le masse, private di ogni possibilità di esprimere la propria volontà, alla fine abbiano impugnato le armi per mostrare ciò che pensavano. Molte fabbriche vengono circondate dalle truppe russe e dall’AVO. Centinaia di operai di fabbrica di Csepel ‘la Rossa’ combattono le truppe russe e l’AVO quando queste cercheranno di entrare in una fabbrica per arrestare tre membri di un Consiglio Operaio. Carri armati russi aprono il fuoco su dei dimostranti disarmati a Budapest: due vengono uccisi e molti feriti.
I presidenti dei Consigli Operai delle fabbriche Ganz e MAGAV vengono arrestati.
Il Consiglio Centrale dei Lavoratori (Budapest) proclama: “Il Governo non fonda il suo potere sui Consigli Operai, nonostante le promesse di Kádár… Membri dei Consigli Operai vengono arrestati… trascinati via dalle loro case durante la notte senza indagini o interrogatori… pacifiche riunioni dei Consigli Operai sono interrotte o impedite dalle forze armate”. Il Consiglio richiede una replica alla sua dichiarazione per le otto di sera del 7 dicembre.
7 dicembre 1956
Viene aperto il fuoco sui dimostranti (lavoratori, studenti e molte donne) nelle città industriali di Pecs, Bekeskaba e Tatabanya. Arresti di massa dei membri di base dei Consigli Operai.
Non c’è replica alla dichiarazione del Consiglio Centrale dei Lavoratori.
8 dicembre 1956
10.000 persone dimostrano contro l’arresto di due membri del Consiglio Operaio nella città mineraria di Salgatarjan: 80 le vittime, tra morti e feriti (i minatori del carbone e dell’uranio erano eccezionali nella resistenza passiva. L’estrazione scese al di sotto della metà di quella che si aveva precedentemente alla Rivoluzione. Molte miniere erano state allagate).
Ancora scontri tra i lavoratori e l’AVO nella cosiddetta “roccaforte del Partito Comunista” di Csepel, in seguito ad ulteriori arresti di operai. Notizie di scioperi (illegali) in tutto il paese. La prima risoluzione approvata dal Partito Socialista Operaio di Kádár, afferma sui Consigli Operai che “ne deve essere preso il controllo, purificandoli dagli indesiderabili demagoghi”.
Ancora nessuna replica alla dichiarazione del Consiglio Centrale dei Lavoratori di Budapest.
9 dicembre 1956
Si intensificano le dimostrazioni di opera e studenti a Budapest. Il Consiglio Centrale dei Lavoratori proclama uno sciopero generale di 48 ore con inizio l’11 dicembre, “… per protestare contro la repressione dei lavoratori e dei loro delegati liberamente scelti”.
Viene proclamata la legge marziale.
Il Governo Kádár scioglie tutti i Consigli dei Lavoratori Regionali e Centrali – ma aggiunge che non verranno sciolti quelli nelle fabbriche e nelle miniere.
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La prima pagina di “Umanità Nova”
del 9/12/1956 |
11 dicembre 1956
Nella città di Eger, i dimostranti impongono il rilascio dei membri del Consiglio Operaio imprigionati.
Vengono arrestati il presidente del Consiglio Centrale dei Lavoratori di Budapest, Sandor Racs, ed il Segretario, Sandor Bali. Per dimostrare a Kádár ed ai Russi di quale appoggio godono ancora i Consigli Operai tra i lavoratori di tutto il paese, inizia il grande, storico, Sciopero Generale di 48 ore. La rispondenza è pressoché unanime.
12 dicembre 1956
Ad Eger la polizia apre il fuoco su una vasta folla di dimostranti – due lavoratori vengono uccisi, altri feriti. Quindi, dei dimostranti, che avevano per breve tempo occupato un piccolo edificio, nel quale si trovava una tipografia, lanciano delle granate. Vengono prodotti e distribuiti dei volantini e manifesti rivoluzionari. Il “Nepszabadsag” commentando lo sciopero di 48 ore afferma: “Uno sciopero del quale non si è mai visto l’eguale in precedenza nella storia del movimento operaio ungherese…”, ma pretende che sia il risultato di intimidazioni da parte dei “controrivoluzionari”. A Budapest viene completamente interrotta la fornitura di energia elettrica. Ciò non era avvenuto neppure nel mezzo delle recenti battaglie. Le ferrovie e gli altri mezzi di trasporto sono bloccati in tutto il paese. Le fabbriche sono immobili. I carri armati russi vengono mandati nelle strade della capitale in quantità massicce. Il Governo Kádár attribuisce a Tribunali Sommari la facoltà di passare automaticamente all’esecuzione di quanti sono dichiarati colpevoli. A Kutfej un operaio ventitreenne viene condannato a dieci anni di reclusione per aver tenuto in casa una pistola e delle munizioni. Continuano grandi rastrellamenti casa per casa, spesso eseguiti dall’esercito russo.
13 dicembre 1956
“Oggi a Budapest la gente ride” – Sam Russel sul “Daily Worker”.
14 dicembre 1956
Lo sciopero di due giorni, dopo aver dimostrato la sua compattezza, si conclude. Il Governo rammenta alla gente che tutte le dimostrazioni e le assemblee sono “ufficialmente” proibite. La “Pravda” dichiara che la tentata rivoluzione in Ungheria era un colpo di stato fascista… (nel quale)… avevano giocato un ruolo decisivo le forze imperialiste internazionali, orchestrate da certi circoli statunitensi”.
15 dicembre 1956
Viene reintrodotta la pena di morte per chi sciopera. Janos Soltész viene portato davanti ad una Corte Marziale a Miskolc, con l’imputazione di aver nascosto delle armi, e giustiziato immediatamente dopo il processo. È questa la prima esecuzione di cui si sia avuta notizia per questo tipo di accusa. Joszef Dudas, popolare segretario del Comitato Rivoluzionario di Budapest, viene giustiziato.
Gyula Hay e molti altri scrittori vengono arrestati.
I Sindacati vengono di nuovo “rinnovati” e viene insediata una dirigenza “affidabile”. Il nome “Consiglio Nazionale dei Liberi Sindacati” è, ipocritamente, conservato.
17 dicembre 1956
I minatori pongono a Kádár le condizioni per una normale ripresa del lavoro. Queste includono: la formazione dei propri comitati indipendenti per rappresentarli nei negoziati con la direzione; il ritiro di tutte le truppe russe; Nagy come Primo Ministro. Uno dei delegati aggiunse: “Se il Governo non accetterà queste condizioni, nelle miniere non verrà fatto nessun lavoro, anche se noi minatori dovessimo essere costretti a mendicare o ad emigrare dalla nostra patria”. (“The Times”, 17 dicembre 1956).
Si ha notizia che un terzo della forza lavoro delle miniere di uranio di Pecs si è dimessa. Un altro terzo è stato dichiarato in eccesso a causa dell’insufficienza di energia elettrica.
20 dicembre 1956
Alla polizia viene attribuita la facoltà di trattenere in arresto per sei mesi, senza processo, le persone sospettate di “minacciare la sicurezza pubblica e la produzione”.
25 dicembre 1956
Si ha notizia di molte esecuzioni, e di imboscate e rappresaglie contro alcuni scioperanti per intimidire gli altri. Gli scioperi non durano a lungo in simile clima di terrore.
26 dicembre 1956
Gyorgy Marosan, il socialdemocratico ministro nel Governo di Kádár (2), dichiara che, se necessario, il Governo giustizierà 10.000 persone per dimostrare che esso è il vero Governo, e non i Consigli Operai.
29 dicembre 1956
Dichiarazione del Sindacato Scrittori ungherese: “Dobbiamo dire a malincuore che il Governo Sovietico ha commesso un errore storico soffocando la rivoluzione nel sangue. Prevediamo che verrà il tempo in cui la superpotenza che ha sbagliato dovrà pentirsene. Invitiamo tutti a guardarsi dall’erroneo giudizio che la rivoluzione in Ungheria avrebbe annichilito le conquiste del Socialismo se non fosse stato per l’intervento dell’esercito sovietico. Noi sappiamo che questo non è vero” (3), “The Observer”, 30 dicembre 1956.
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Budapest 1956. Rogo di giornali legati al regime |
Scioperi e dimostrazioni
continuano
Gli eventi riportati per il dicembre 1956 sono solo alcuni di quelli che siamo stati in grado di verificare. Durante tutto il mese vi furono notizie di azioni di resistenza armata da parte di guerriglieri, soprattutto nelle regioni di Borsod (la più estesa area industriale ungherese), Veszprom, Miskolc, Szambathely, Kunszentmarton, e persino sulle colline di Buda. Vi erano inoltre quasi quotidianamente notizie di arresti, processi, sentenze ed esecuzioni in massa, di operai, studenti ed intellettuali. Questi venivano spesso annunciati da Radio Budapest come mezzo di intimidazione.
Il diario per il 1957 mostra come si indebolì lentamente la resistenza aperta. Tuttavia, gli scioperi e le dimostrazioni continuarono fino a tutto il 1958 ed il 1959.
Tra il dicembre del 1956 e il dicembre 1957, il controllo burocratico divenne progressivamente più stretto. Particolarmente significativa fu, durante questo periodo, la distruzione sistematica dei Consigli Operai da parte dei dirigenti del Partito. Dapprima vi furono degli arresti selettivi di membri dei Comitati dei Consigli. In seguito vennero arrestati molti membri di base. Dopodiché il Governo Kádár proclamò, il 9 dicembre 1956 che tutti i Consigli Operai regionali e centrali erano disciolti, ma tuttavia quelli nelle singole fabbriche e miniere furono tollerati per molto tempo ancora.
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Budapest 1956. Morte e distruzione
per le strade della capitale ungherese |
L’intimidazione funzionava. All’inizio di gennaio del 1957, i membri dei Consigli non ancora arrestati cominciarono a dimettersi. Dalla metà di quell’anno i Consigli erano stati completamente svuotati di ogni scopo. I delegati operai erano stati rimossi e sostituiti da lacchè del Governo. Nel settembre 1957, Antal Apro, vice Primo Ministro, annunciò che i restanti Consigli dei Lavoratori sarebbero stati sostituiti da Consigli del Lavoro, “sotto la guida dei sindacati” (qualsiasi delegato di reparto sa che significa questo!).
All’inizio di novembre, i Consigli Operai furono attaccati ripetutamente da Ferenc Münnich, ministro degli Interni, perché “guidati da elementi alieni alla classe”. Era “necessario sostituire al più presto questo intero apparato con dei nuovi organismi”.
Il 17 dicembre 1957 venne annunciato ufficialmente che, da quel momento in poi, tutti i restanti Consigli Operai erano stati aboliti. La stessa definizione di “Consiglio Operaio” ora imbarazzava ed irritava il regime. La burocrazia tentò l’impossibile: cancellare con un colpo di spugna, dalla memoria del popolo ungherese e dalla storia stessa, la grande e positiva esperienza di autoamministrazione della classe lavoratrice.