Quella “Rom” è una delle grandi questioni morali dell’Europa di oggi, un’opportunità per cambiare il flusso della storia e imbrigliare la debole e incerta volontà politica degli Stati dell’Unione verso il riconoscimento nelle società europee.
“Rom” o “Romà”, come più correttamente si direbbe, sono un insieme composito di comunità o di frammenti etnici che costituiscono la più consistente minoranza trasnazionale e transtatuale europea di oltre 10 milioni di persone. Una diaspora secolare lacerata dalle nuove povertà e dai processi di modernizzazione, dalla perdita di protezioni sociali e modificazione degli equilibri sociali nelle comunità locali di antico insediamento, che spingono alla deterritorializzazione dalle città e dalle campagne i nuovi, tanti migranti dell’est europeo.
Sul numero dei Rom e sulle concentrazioni demografiche dal carattere asimmetrico dei diversi gruppi non esistono mappature o numeri precisi, ma stime percentuali che disegnano una più generale cartina sociale e politica densa di comuni elementi di disuguaglianza ed esclusione.
Nonostante il fervore che ha accompagnato l’espansione dell’UE verso l’Europa orientale, i Rom di questa regione, circa i due terzi dei Rom europei, vivono in gran parte al di sotto della soglia di povertà. Abitano in quartieri di baracche senza strade, né elettricità, né acqua corrente, vittime di una massiccia disoccupazione e discriminati nell’accesso all'assistenza sociale e sanitaria. Vocaboli in uso come la parola Zingaro, carica di connotazioni negative, ci rimandano a rappresentazioni collettive stereotipate e all’associazione di comportamenti culturali fuorvianti, del tipo “nomadi”, o ancora a “slavi” e a falsificazioni varie di genere romantico e letterario.
Rom sono coloro che si riconoscono nel romanes, una lingua mutuata dalle antiche parlate indiane, sulla cui esatta origine si è a lungo discusso senza trovare mai un pieno accordo, se pur utilizzata in tutto il mondo con accenti e imprestiti diversi. Ma lo sono anche quei gruppi che ne hanno perso la capacità d’uso o che seguono altre complesse dinamiche interne ed esterne, non avulse dai rapporti di potere che li circondano, con le quali ridefinire i propri modelli di identità culturale e di popolo.
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Ostracismo
culturale
L’Italia è conosciuta in Europa come il paese dei campi nomadi. L’influenza del luogo in cui si vive è un fattore determinante per creare il senso di appartenenza o, viceversa, per etichettare le condizioni di emarginazione, discriminazione e disperazione tra le persone, definendo lo spazio concettuale in cui poter agire i cambiamenti.
Le barriere mentali prendono forma e consistenza nelle frontiere urbanizzate, in spazi di negazione come lo sono i “campi-nomadi”, nelle baraccopoli delle tante banlieue metropolitane.
Inseguendo con lo sguardo i recinti, le reti e talvolta le mura che li circondano, la memoria storica corre ai fantasmi del passato, ai ricordi di quei campi vicini alla ferrovia, da dove i Rom venivano condotti via durante la guerra verso i campi italiani del Duce o quelli di sterminio disseminati nei territori del Reich, spesso senza farvi ritorno. Campi che nelle riproposizioni contemporanee si trasformano in moderni lager, concepiti solo per rinchiudere e oscurare le persone indesiderate, come i Rom o come i migranti nei CPT.
Uomini, donne e bambini rom vivono nelle più ricche città occidentali le stesse condizioni di miseria materiale della diaspora ebraica di cinquant’anni fa, nel ricordo del genocidio e della pulizia etnica delle guerre nazionaliste jugoslave degli anni ‘90, negli esiti contrastanti seguiti alla dissoluzione dei regimi autoritari degli stati oltre cortina.
Ma esistono forme più articolate di violenza, come l’ostracismo culturale che si respira nel monopolio della cultura e dell’informazione che plasma il pensiero corrente, il negazionismo storico della tragedia del “Porrajmos”, i linguaggi violenti della bassa mercanteria politica. E che dire dell’ostinato e ottuso rifiuto dello Stato italiano che non avendo riconosciuto la lingua romanì, il luogo più antico della memoria del popolo rom, tra le minoranze linguistiche nazionali, cedendo ai veti incrociati della politica e alla presunzione territorialista del “luogo certo uguale a cultura certa”, condanna così un intero popolo ai margini della società?
La varietà e la ricchezza della dimensione romanì si misurano dunque con le crescenti condizioni di discriminazione politica e sociale che riguardano anche l’Italia, ponendo la domanda di “quali politiche pubbliche” ci attendano nel prossimo decennio. Su scala nazionale le politiche sociali non seguono alcun indirizzo generale coerente, rinnovando un meccanismo di delega e “disimpegno” verso il livello regionale e quello locale.
In assenza di un quadro di riferimento statale che stabilisca una affermazione esplicita dei diritti e delle modalità di coinvolgimento delle comunità rom nei processi di costruzione e partecipazione sociale, le contraddizioni e i conflitti si riversano sul piano delle politiche comunali, senza alcuna forma di intervento orizzontale tra gli enti del territorio o di coordinamento tra le istituzioni ordinate verticalmente.
Politica sociale
logora
Le conseguenze che si registrano sono gravi e riguardano i nodi politici e culturali, poiché la comprensione e la gestione delle problematiche avviene solo sui temi legati all’emergenza o all’ordine pubblico, con il tentativo di coniugare concetti quali “legalità e solidarietà”, eludendo la ricerca di strategie più complessive. E sono estremamente gravi per le comunità dei “Rom, Sinti e Camminanti” che subiscono gli effetti devastanti di una forte disuguaglianza di accesso alle risorse pubbliche, sanitarie, scolastiche, occupazionali, abitative o di amministrazione della giustizia.
L’applicazione dei diritti di cittadinanza sembra dunque mancare di una pre-condizione essenziale: il riconoscimento delle genti romà come entità culturale della storia del nostro Paese. L’assenza dello status di minoranza linguistica nazionale (e di un’estensione più generale a livello europeo del carattere transtatuale della popolazione romanì), l’assenza di un insieme di norme e meccanismi di controllo che contrastino efficacemente gli episodi crescenti di razzismo e discriminazione, si accompagnano alla costruzione di uno stigma sociale il cui effetto più concreto è quello di disconoscere i Rom come nostri concittadini, sottoponendoli a un trattamento differenziale sul piano giuridico amministrativo e sociale.
In termini più generali, quel che emerge è la necessità di lasciarsi alle spalle una politica sociale ormai logora e rigettata dagli stessi romà, proponendo una svolta culturale che eviti il rischio di un “differenzialismo culturalista”.
Saranno quindi centrali le politiche che nel prossimo decennio verranno attuate nei settori prioritari dell’istruzione, salute, lavoro, facendo leva sulle esperienze della mediazione culturale e sulle forme di promozione e sostegno all’autonomia attraverso la redistribuzione di risorse pubbliche e la partecipazione delle comunità rom ai progetti di integrazione e sviluppo.
Giorgio Bezzecchi
Maurizio Pagani
(Opera Nomadi)
tratto dal libretto del 2DVD+libretto A forza di essere vento. Lo sterminio nazista degli Zingari
Presentazioni del
2Dvd Zingari
Elenco provvisorio
Per conferma della data, specificazione di orario e luogo, nonché del programma dettagliato, clicca qui.
Ottobre 2006
16, Milano, Circolo ARCI “La Scighera”
25, Palermo, Scuola “De Gasperi”
26, Catania, Libreria “La Gramigna”
30, Ragusa, Centro socio.culturale
Novembre 2006
9, Milano, Ateneo Libertario
Dicembre 2006
16, Imola (Bo), Archivio Storico della FAI
Gennaio 2007
11, Alessandria, Associazione Cultura e Sviluppo
13, Pordenone (luogo da definire)
20, Sala Bolognese (Bo) (luogo da definire)
22, Milano, Circolo Familiare di Unità Proletaria
24, Como, Università
25, Cuneo, Centro Incontri della Provincia
27, Firenze, CPA
27, Pisa, Laboratorio di disobbedienza “Rebeldia”
Febbraio 2007
3, Arcore (Mi), Circolo ARCI “Blob”
17, Milano, Libreria Utopia |