Narravano gli antichi che, un giorno, tra Zeus ed Era – Giove e Giunone, se proprio vogliamo chiamarli alla latina – si accese un dibattito su quale dei due sessi traesse il maggior piacere dal fare all’amore. Secondo Zeus a godere di più erano le femmine, sia donne che dee, mentre Era riteneva che tale privilegio fosse proprio dei maschi, dei e uomini, e in mancanza di una criteriologia comune riconosciuta la questione si presentava assai difficile da risolvere. In effetti, il dibattito, come succede spesso sull’Olimpo, degenerò presto in lite. Bisognava trovare una soluzione a alla fine a uno dei due venne in mente Tiresia, il giovane figlio della ninfa Cariclo, cui era capitato, in seguito a un certo incidente di carattere magico, di passare da uomo a donna e di passare qualche tempo in tale stato, prima di ritornare alla condizione maschile, per cui doveva disporre di tutti i dati empirici necessari a dirimere la questione. Tiresia, per la cronaca, rispose che aveva ragione Zeus, per cui Era si incazzò di brutto e lo punì privandolo dalla vista, ma il padre degli uomini e degli dei lo risarcì a iosa elargendogli il dono della preveggenza, che ne avrebbe fatto il più famoso vate e indovino di tutta la mitologia.
Così almeno la raccont Ovidio, nel terzo libro delle Metamorfosi, ai versi 318-338. Qualche altro autore dà delle versioni diverse. Secondo Callimaco (Inni, V, 55-130), per esempio, la cecità del vate era una punizione assegnatagli perché gli era capitato (involontariamente) di vedere la dea Atena nuda. L’incostanza delle versioni, in realtà, riflette il disagio che i greci provavano di fronte a una figura inserita, sì, nei loro miti, ma proveniente chissà da dove, caratterizzata com’era da notazioni – quali l’androginia e le pratiche magiche – fondamentalmente estranee alla cultura della loro fase classica.
Sia quello che sia, se qualcuno oggi si ponesse un problema dello stesso tipo nell’ambito della politica italiana contemporanea, chiedendosi – per esempio – a chi piaccia di più governare, se al centrodestra o al centrosinistra, non avrebbe certo difficoltà a trovare qualcuno da interpellare. Di gente che ha cambiato sponda, passando da una parte all’altra e viceversa, sono pieni i ranghi parlamentari. Il pensiero, in questi giorni, corre subito all’ottimo Clemente Mastella, che nel ’98 lasciò l’Udc per fondare l’Udeur e aprire la strada al governo D’Alema e che oggi, sembra, è tornato all’ovile, ma in fondo costui, tra i tanti peripatetici della nostra politica, è quello che dispone delle attenuanti migliori, non potendosi considerare cosa da poco il fatto che un magistrato faccia arrestare la moglie del ministro di grazia e giustizia, con l’unica prova rappresentata da una serie di intercettazioni (e perché mai quel giudice aveva sentito il bisogno di intercettare la famiglia del guardasigilli non ce l’ha ancora spiegato nessuno). Motivazioni del genere, invece, non si ravvisano nel caso di Dini, che nel ’95, da ministro del tesoro di Berlusconi, passò a capo di un governo “tecnico” sostenuto dalle sinistre e dalla Lega e nel ’96 entrò a vele spiegate in quell’Ulivo che, oggi, ha tanto contribuito ad affondare. Né sarebbe giusto, nonostante la spiacevolezza del personaggio, dimenticare il senatore Di Gregorio, se non altro perché consumò l’avanti e indietro tra Forza Italia e la Margherita nel giro di pochissimi mesi; o il senatore Follini, che passando dall’Udc al Partito democratico contribuì, per un poco, a vanificare gli effetti di quel cambio di casacca. Né potremmo mancare di rendere lode al merito sfortunato del senatore Cusumanno, che nel ’94 ruppe la disciplina di partito dei Popolari per far avere a Berlusconi la fiducia in Senato e recentemente ha rotto quella dell’Udeur nel (vano) tentativo di salvare Prodi, né di levarci ammirati il cappello di fronte all’impegno del senatore Fisichella, che per passare dalla destra alla sinistra ha compiuto il cammino più lungo e chissà cosa farà oggi. Dell’onorevole Tabacci, del senatore Baccini e degli altri loro compagni nell’avventura della “Rosa bianca” non possiamo, per ora, che sperare che il loro cambiamento di fronte sia definitivo.
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Zeus ed Era in una rappresentazione pittorica |
Due serpenti intenti ad accoppiarsi
Vedremo. A nessuno di costoro, che io sappia, è mai capitato, come a Tiresia, di imbattersi in due serpenti intenti ad accoppiarsi, un evento che, secondo il folclore antico, portava una sfiga terribile e provocava le modificazioni più strane, compreso il cambiamento di sesso, ma tutti avranno senz’altro avuto, per i loro andirivieni, delle ottime motivazioni. All’origine di tutti questi passaggi, volendo proprio escludere le questioni di interesse immediato, si può ravvisare la diffusa tradizione del trasformismo, che aduggia la politica italiana dagli ultimi decenni dell’Ottocento e che nessuno è mai riuscito, nonostante non pochi sforzi, a sradicare. Quali che fossero, è comunque difficile che quelle motivazioni potessero essere condivise dai disgraziati elettori che, in mancanza di alternative, avevano mandati i sullodati onorevoli e senatori in Parlamento: una questione, comunque, he non sembra averli in alcun modo turbati.
Per la verità, anche gli elettori di Prodi, parlandone come da vivo, si sarebbero attesi dal loro leader tutt’altro di quanto ha effettivamente fatto. Avrebbero voluto, forse, che ritirasse le truppe anche dall’Afghanistan, che a Vicenza spiegasse agli americani che quell’aeroporto serviva ai vicentini, che si occupasse con precedenza assoluta del conflitto di interessi, che abolisse con la dovuta premura la Gasparri e le altre leggi ad personam, che facesse almeno qualche passo verso la concreta realizzazione dell’ambizioso programma sociale della sua coalizione. Non lo ha fatto in parte perché non glielo hanno lasciato fare e in parte perché aveva delle altre priorità, ma, assodato il fatto che per Prodi sentiremo, tra non molto, parecchia nostalgia, non è questa la sede adatta per discutere del problema. Il fatto è che la volontà degli elettori, nel nostro sistema politico, rappresenta la vera e unica variabile indipendente, nel senso che non ne dipende mai una beata fava, come buona parte degli eletti ha dimostrato proprio adesso che si apprestano a richiederci l’ennesimo voto. Al quale andranno tutti, o quasi, suppongo, disciplinati e volonterosi, certi gli uni della vittoria e gli altri (la sinistra) di una clamorosa mazziata, ma consapevoli gli uni e gli altri della assoluta improbabilità che qualcuno, una volta insediato al potere, tenga qualche conto del loro punto di vista. Una prospettiva, questa, di fronte alla quale tutta la storia di Tiresia, dei due serpenti, della lite tra Zeus ed Era e della trasformazione del giovane androgino in cieco veggente diventa improvvisamente credibile e ragionevole, e lo sforzo di chi spera di cambiare con il voto le prospettive politiche nazionali si rivela un’impresa degna di Sisifo. Ma quello, si sa, era un altro mito.