La Sapienza umiliata
Cronaca sentimentale
di una mattinata
in università
Costituzione italiana, art. 21:
“Tutti hanno diritto
di manifestare liberamente
il proprio pensiero
con la parola, lo scritto
e ogni altro mezzo
di diffusione. [...]”.
Salgo sul tram diciannove ed apro il giornale; vicino a me ci sono dei ragazzi, anche loro sfogliano un quotidiano, e parlottano sulla questione papale che ha frantumato la prima università romana e la società in guelfi e ghibellini.
Ho un appuntamento con un mio compagno di corso davanti alla facoltà di Lettere, devo passargli delle dispense di economia. “Sarò a manifestare con i ragazzi dei collettivi, vediamoci in Città universitaria”, gli avevo detto la sera prima; dunque, sceso al Verano, mi dirigo verso la cancellata d’ingresso in Via De Lollis.
Sono le dieci meno dieci.
Oltrepassata la truppa della Guardia di Finanza capisco che qualcosa non va; sento la voce del megafono protestare, vedo gli striscioni ed i ragazzi dei collettivi in assembramento davanti al cancello chiuso e sbarrato da due file di poliziotti in tenuta anti-sommossa. “Tenendo le mani alzate chiediamo di entrare”, tuona il megafono.
Qualche minuto dopo la situazione mi è chiara: il permesso del rettore Guarini di esprimere il nostro dissenso nei confronti di Veltroni, Mussi e del papa – che intanto ha politicamente deciso di non presentarsi in Aula Magna – è stato revocato.
In più, qualunque studente è tenuto a mostrare il tesserino universitario per entrare nell’ateneo; e noi studenti mica ce la portiamo sempre appresso, la tessera. Anzi, ad alcuni non è neanche giunta a casa per posta insieme alle tasse.
Chiamo Francesco, lui con la “doppia ispezione di tesserino e carta d’identità” – come mi dirà poco dopo – è riuscito a varcare il cancello di Viale Regina Elena. Esce, con la bicicletta mi raggiunge, parliamo di ciò che sta accadendo, mi dà i sette euro per le dispense fotocopiate che gli porgo e se ne va: ha tirocinio.
Io rimango, seppur in turbato dubbio. Dovrei studiare, e star lì davanti ai poliziotti mi sembra quasi inutile, tanto non ci faranno entrare; ma in ogni caso non posso andare in biblioteca, il tesserino l’ho lasciato a casa come sempre. Non sta scritto da nessuna parte che bisogna averlo con sé; potrei persino capire che “per questioni di sicurezza” stamattina è d’obbligo, ma la sera prima non ho visto alcun avviso al riguardo sul sito dell’università. E anche se per caso ce l’avessi mi sentirei un privilegiato ad entrare rispetto a chi non ha la maledetta tessera.
Rimango e ne approfitto per distribuire volantini sull’incontro per il disarmo che ho organizzato, insieme alle associazioni che si battono contro la guerra, nella mia facoltà di Comunicazione la settimana prossima.
Comincia a piovere, prima piano, poi a secchiate; tiro fuori dallo zaino l’ombrello e penso di aver fatto proprio bene a non inforcare la bici come al solito. Ma sono dispiaciuto per gli striscioni dei collettivi e per i ragazzi senza riparo: è tutto un infradiciamento.
Intanto s’assiste a scene d’isteria ed incredulità. Una ragazza parla con veemenza ad un poliziotto, deve entrare per lavorare – così dice – ed è sonoramente incazzata per non poterlo fare; un’altra mi s’affianca e chiede spiegazioni. Come lei molti studenti si sono trovati qui per una qualunque giornata d’università e non possono entrare.
Guardo un po’ i poliziotti, col casco lo scudo e il manganello in mano, un po’ i ragazzi dei collettivi dinanzi a loro; hanno provato a spingere per alcuni istanti con le mani alzate. Sento una ragazza dire al telefono “ao’ nun vedo l’ora che se scontràmo” – è sempre incinta la mamma degli stolti – ma i collettivi non vogliono lo scontro; me lo confermerà uno studente di Fisica molto attivo nel movimento.
S’alza una giovane voce femminile che esclama rivolta a una – l’unica – poliziotta:
“Ma che donna sei?... fascista!”.
Dentro di me le dò della cretina e solidarizzo con la poliziotta; certo, gli anfibi e i manganelli contrastano con il suo bel sorriso, ma non perché veste i panni d’una guardia dev’essere per forza una fascista. Magari lo è, ma senza parlarle com’è possibile saperlo? Com’è possibile gridarlo?
La ragazza che ha urlato dovrebbe leggersi l’articolo di Pasolini su Valle Giulia; o meglio, la scuola italiana dovrebbe farci leggere Pasolini: io ho studiato al classico e l’ho saltato a piè pari.
Viene acceso un fumogeno dal furgoncino musicale dei collettivi; parte un corteo improvvisato mentre continua a piovere a dirotto. “Il cielo vuole darci un segno”, dice il megafono. Chissà.
Al Verano faccio qualche passo in là per avere una visione d’insieme; siamo aumentati, dal centinaio su per giù che eravamo ora siamo il doppio, il triplo: come sempre le lotte si sommano, e si levano striscioni che reclamano il diritto alla casa, spuntano affascinanti visi in odore latinoamericano.
Giriamo per Viale Regina Elena; procediamo e noto una ragazza che cammina sguardo a terra. L’ho già vista, eravamo entrambi sul bus per la manifestazione a Vicenza di un mese prima. Le parlo; no, nessun parente le è mancato di recente: è semplicemente afflitta per la vicenda non ancora conclusa di questa mattina.
Siamo tutti afflitti, più afflitti che incazzati: in qualità di studenti intendevamo esprimere la nostra opinione in università e non ci è stato permesso.
Questo sistema non va, penso e dico; non ho buone parole neanche per Caruso, che ora è qui con noi ma poi siede in un Parlamento che dispensa privilegi: tale fu la mia impressione visitando Palazzo Montecitorio.
Un Parlamento che nella sua enorme maggioranza vota “missioni di pace” che buttan giù bombe, e ce ne scappano sui civili; ma sono “effetti collaterali”, d’altronde in 1984 di Orwell l’organo politico che decide la guerra si chiama Ministero della Pace. Quel libro l’ho fatto mio, sarà che ha come titolo l’anno in cui son nato.
Imbocchiamo a sinistra Viale dell’Università, stiamo compiendo un percorso circolare; dalle finestre degli edifici statali s’affacciano occhi guardinghi, dai portoni esce qualche corpo curioso in camice bianco.
Corrono voci nel corteo: dentro, alla statua della Minerva, luogo in cui avremmo dovuto esserci noi secondo quanto accordato col “magnifico” menzognero, volano gli slogan di Azione Giovani. Come, loro sì e noi no? Una mattinata di beffe.
Intanto la pioggia è cessata, insieme al nostro avanzare. Sembra che in piazzale Aldo Moro non siamo graditi; la calma è la virtù dei forti, e dopo una mezz’ora giriamo per Via delle Scienze ed arriviamo in piazzale.
Guardando l’abbondanza di carabinieri e poliziotti, dinanzi al colonnato in stile fascista dell’ingresso principale universitario, infrango il secondo comandamento cristiano.
Mi volto e mi accorgo che, parlando con un compagno di corso – capitato lì per caso, impossibilitato a studiare e quindi unitosi alla manifestazione – abbiamo perso il passo e siamo finiti davanti alla truppa della Finanza che chiude il corteo.
Dico al mio compagno di spostarsi, le forze dell’ordine schierate in marcia m’inquietano sempre un po’.
Fotografo, distribuisco volantini approfittando della stampa; e osservo.
Dalle vertiginose colonne penzolano striscioni istituzionali de La Sapienza, nell’architrave s’insolcano le scritte in latino; sotto, decine decine e decine di poliziotti e carabinieri in tenuta anti-sommossa.
Quanto stridono alle pupille le due immagini.
Dal furgoncino dei collettivi continua la musica, la solita delle manifestazioni; io metterei Povera Patria, perché credo che oggi la nostra libertà venga “schiacciata dagli abusi del potere”.
Un ragazzo, dalla cima del colonnato – chissà com’è arrivato lassù – stende uno striscione arancione ed alza le braccia più volte esultando; non si legge bene perché col vento lo striscione svolazza, ma c’è scritto qualcosa a sfavore del papa.
Di giornalisti ce n’è a iosa, Rai, Sky, La7, ci sono le radio; tanto finirà tutto nel minestrone mediatico, e dall’uomo qualunque la questione papal-universitaria tra una settimana verrà scordata, forse anche meno.
I poliziotti ed i carabinieri compongono il culturale muro autoritario che continua ad impedirci di entrare per esprimere il nostro dissenso. La nostra opinione.
In piazzale da circa un’ora, s’è fatta quasi l’una e mezza; tra poco ci sarà la “frocessione” in direzione del quartiere San Lorenzo, per chiedere l’allargamento dei diritti di coloro che non sono eterosessuali.
Io devo andare, ho tirocinio; maledico quelle trecentotrenta ore che devo svolgere gratuitamente per laurearmi, ma mi reputo fortunato: collaboro con una grande organizzazione internazionale senza scopo di lucro qual è Amref, ed ho tanto da imparare. Molti studenti lavorano gratis, punto e basta.
Procedo per Via dei Marrucini, che insieme all’ingresso del Consiglio Nazionale delle Ricerche pullula di camionette militari a motore acceso; sbalordito fotografo a futura memoria, e pure mi chiedo perché le forze dell’ordine italiane debbano acquistare veicoli Land Rover invece che Fiat; eppoi lo Stato aiuta l’azienda torinese a risollevarsi dalle crisi. Vallo a sapere.
Un giovane carabiniere scherza al telefono; ha le guance più imberbe delle mie ed è agghindato da guerriero.
Più avanti vedo un anziano compagno conosciuto di vista a qualche assemblea, lo raggiungo e parliamo; ha il passo incerto ma lo sguardo vispo. Dice qualcosa di biblico sul mio nome che non capisco, e prima di salutarci aggiunge: “Tu sei piccolo e non puoi saperlo, era dagli anni settanta che non si vedevano così tante guardie”. Non so se sia vero – seppur io consideri gli anziani come oracoli – ma questa frase me la ricorderò. Come ricorderò la mattinata per il resto dei miei giorni.
Cammino verso Piazza Vittorio Emanuele, ho i piedi un po’ bagnati; rimasto solo, sento l’animo pervaso e addolorato dal senso d’impotenza, schiacciato dalle domande, proiettato sulle immagini delle ore precedenti. Gli studenti gli striscioni i poliziotti i manganelli, i musi tristi e i balli al suono del furgoncino. La gioventù, la vita, la coercizione. Covavo già profondi dannati dubbi, e dopo questa mattinata bruciante sulla pelle posso bisbigliare a Me Stesso di vivere in un Paese democratico?
Rimugino su una frase di Carlo Chinano – maestro giornalistico di Eduardo Galeano – segnatami su uno dei miei taccuini giusto qualche giorno fa. “È possibile commettere tutti i peccati, perché tutti i peccati hanno redenzione; tutti eccetto uno: non si può peccare contro la speranza”. Be’, oggi – almeno per oggi – la mia Speranza vacilla paurosamente. Non è da me.
Ma oggi la Sapienza è stata umiliata, e ancor più di prima non vedo quasi l’ora di concludere per sempre gli esami e i corsi accademici, spesso tenuti da docenti incompetenti che impongono inutili studi.
Se Sapienza è, in fondo, l’amore per la conoscenza – l’amore per la cultura che ci emancipa e dona la libertà di esprimere coscientemente il proprio pensiero – oggi la Sapienza è stata umiliata. Dinanzi a me e – per quel che a questo punto me ne può fregare – dinanzi al mondo intero.
Daniele Ferro
(Roma)
I
nostri fondi neri
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Sottoscrizioni.
Enrico Calandri (Roma) 100,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando
Placido La Torre, 500,00; Fabio Palombo (Chieti) 310,00; Benedetto Valdesalici
(Rio Saliceto – Re) 20,00; Gesino Torres (Santo Spirito – Ba) 10,00; Rino Fiorin (Marghera – Ve) 15,00; Anna Lisa Del Bagno (Lugo – Ra) 15,00; Moris Mugnai (Montaione – Fi) 20,00; Giuseppe Galzerano (Casalvelino Scalo – Sa) un ricordo e un fiore per Gian Paolo Verdecchia, 5,00; Dino Delcaro (San Francesco al Campo – To) 20,00; Vincenzo Argenio (San Nazzaro de’ Burgondi – Bn) 20,00; Nunzio Cunico (Sovizzo – Vi) 20,00; Silvio Sant (Milano) 20,00; Angelo Zanni (Sovere – Bg) 10,00; Zelinda Carloni e Adriano Paolella (Roma) 300,00; Anita Pandolfi (Castel Bolognese – Ra) 20,00; Francesco Trovato (Siracusa) 10,00; Marco Breschi (Pistoia) ricordando Aurelio Chessa, 100,00; Francesco Di Crescenzo (Lacco Ameno – Na) 20,00; Filippo Trasatti (Cesate – Mi) 20,00; Simone Gatti (Borgotaro – Pr) 10,00; Giorgio Bigongiari (Lucca) 20,00; Pietro Mambretti (Lecco) 20,00; Oreste Roseo (Savona) ricordando Domenico Tarantini, Peppino Tota e Giuseppe Fiori, 20,00; Michele Caso (Pompei – Na) “un contributo nonviolento” 20,00; Associazione culturale libertaria “A. Bortolotti”, 3.497,7; Roberto Angelini (Perugia) 20,00; Romeo Muratori (Rimini) 10,00; Maurizio Guastini (Carrara – Ms) 200,00; Nicola Casciano (Novara) 20,00.
Totale euro 5.392,75.
Abbonamenti sostenitori.
(quando non altrimenti specificato, trattasi
di 100,00 euro). Fabio Palombo (Chieti); Tommaso Bressan (Forlì): Enrico Calandri (Roma); Paolo Santorum (Arco – Tn) 150,00; Luigi Pogni (Segrate – Mi); Francesco Mantovani Lombardi (Brescia); Patrizio Quadernucci (Bobbio – Pc); Zelinda Carloni e Adriano Paolella (Roma) 200,00; Arturo Schwarz (Milano); Massimo Ortalli (Imola – Bo) 200,00; Marco Tranquilli (Scandriglia – Ri); Luigino Piccolo (Padova); Ettore Valmassoi (Quero – Bl); Fabrizia Golinelli (Carpi – Mo); Andrea Martin (Jesolo – Ve); Alessia e Cristiana Bruni (Castel Bolognese – Ra); Maurizio Guastini (Carrara – Ms).
Totale euro 1.950,00.
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