È del poeta il fin la meraviglia,
parlo dell’eccellente e non del goffo,
chi non sa far stupir, vada alla striglia!
Giambattista Marino
Ma anche qui non credo che si potrebbe evitare di fomentare in questo modo la lotta degli intellettuali borghesi contro la classe operaia. Lo stesso vale direttamente per il “lavoro sindacale rivoluzionario”. Chi volesse combattere i closed shop od altri caratteri fascisti dei sindacati americani oppure anche soltanto i più potenti e corrotti orrori della burocrazia contro gli operai stessi ecc. si troverebbe a lavorare inevitabilmente per la borghesia ed il capitale contro la classe operaia.
Lettera di Karl Korsch a Paul Partos del 26-29 luglio 1939 |
Stefano Livadiotti, “L’altra Casta – privilegi, carriere, misfatti e fatturati da multinazionale. L’inchiesta sul sindacato”, Bompiani, Milano 2008.
Com’è noto, da qualche tempo hanno uno straordinario successo libri, saggi, articoli volti a denunciare la cosiddetta casta intesa come una costellazione di gruppi sociali privilegiati (1).
Per comprensibili ragioni, la casta additata per antonomasia al pubblico disprezzo è quella politica.
D’altro canto, la denuncia dei privilegi e della corruzione della casta stessa e, preso, l’abbrivio, delle sottocaste è divenuta una redditizia professione (2) al punto che non sarebbe eccessivo parlare di castologia e di una vera e propria casta dei vituperatori della casta.
È mio convincimento profondo che il dir male della classe politica non abbia, in sé, alcuna valenza sovversiva. Il “piove governo ladro!” non è poi una novità e molti dei moralisti da bar che si dedicano a quest’attività sono nella loro vita personale non migliori dei tanto disprezzati politici dai quali li divide solo una condizione che meno favorisca l’appropriazione di pubblico denaro e, quando si danno alla politica, diversi di questi moralizzatori si dimostrano assolutamente corrompibili come e più di quanto lo sono gli oggetti delle loro polemiche.
Quando, però, libri come quelli di Stella e Rizzo vendono più di un milione di copie, quando Beppe Grillo riempie le piazze, è opportuno domandarsi, per un verso, se siamo di fronte a fenomeni che vanno oltre la chiacchiera da bar e, per l’altro, di che qualità è questa corrente di pensiero e a cosa è funzionale.
Alla prima domanda azzarderei una risposta assolutamente provvisoria. Vi è, in ampi settori dell’opinione pubblica, un discreto interesse per il funzionamento della sfera politica. Se così non fosse non si spiegherebbe il successo di trasmissioni televisive dedicate, appunto, alla dialettica politica ed ancor meno quello di libri come quelli di Stella, Travaglio, Livadiotti.
In altri termini, la tanto disprezzata sfera della politica è oggetto di interesse e lo è, in misura decisamente più che proporzionale da parte della classe media semicolta, quella che, per intendersi, si leva al mattino e guarda Omnibus su TV 7 e Il Caffè sulla Terza rete.
A cosa miri la polemica contro la/le casta/e è un po’ più difficile da comprendersi ma non siamo di fronte ad un mistero irrisolvibile.
Nel caso del libro di Stefano Livadiotti, è evidente la volontà di stupire e scandalizzare il lettore raccogliendo una massa, per la verità, un po’ disordinata di notizie, casi, opinioni sul misterioso universo dei sindacalisti.
E, per la verità, molte delle informazioni raccolte hanno un fondamento di realtà. Pagine e pagine sono dedicate alle forme di finanziamento dei sindacati, alla pletora di funzionari, distaccati, delegati e al loro ruolo di freno rispetto ai processi di innovazione della pubblica amministrazione, alla loro attitudine “conservatrice”.
È interessante, però, notare che Livadiotti si concentra sull’universo del pubblico impiego e, in altre parole, sul settore dove tradizionalmente i dirigenti sindacali sono anche dirigenti dell’amministrazione, dove le carriere si intrecciano, dove sistema dei partiti ed apparato sindacale si sovrappongono.
Suo interesse è, di conseguenza, denunciare i privilegi della casta sindacale, per un verso, e quelli dei pubblici dipendenti, per l’altro, intesi essi stessi come macrocasta.
Viste le recenti esternazioni del ministro Renato Brunetta è probabile che, a breve, assisteremo a nuovi tentativi di mettere in pratica la grande moralizzazione del pubblico impiego che da decenni viene invocata da destra e da sinistra.
Come poi finiranno è un altro discorso se si considera che uno dei supporter più decisi di Brunetta è il surreale Raffaele Bonanni, segretario generale della CISL ed espressione fisica, direi carnale, di quel mondo di travet che Brunetta minaccia di annientare.
Un fatto è, però, certo: un’azione volta a colpire i “privilegi” reali o presunti dei dipendenti pubblici non potrà che suscitare forme di resistenza da parte di coloro che ne saranno colpiti e soprattutto da parte dei molti lavoratori pubblici che sentono quest’attacco come profondamente ingiusto visto che è ragionevole supporre che i furbastri sono proprio quelli più capaci di correre in soccorso al vincitore e, nella fattispecie, alla destra aziendalista.
Scontro frontale?
Insomma, mi pare assolutamente evidente che il buon Livadiotti esprime l’umana ostilità del cittadino medio contro il funzionario pubblico e lo fa in maniera sovente divertente.
Diversi dirigenti sindacali, siano di CGIL-CISL-UIL o dei sindacati corporativi loro sodali e concorrenti, vengono descritti con gusto nel loro ruolo di eroi del sindacalismo delle mezze maniche.
Ma Livadiotti ha chiaro quale sia il modo per fare male alla burocrazia sindacale: colpirla nel portafoglio e lo dice apertamente quando scrive:
“All’inizio degli anni ottanta, quando la lady di ferro Margaret Thatcher decise di regolare i conti con lo strapotere delle Trade Unions, puntò dritto al loro sistema di finanziamento.”
Il fatto è che il secondo governo Berlusconi, 2001-2006, non ha nemmeno provato a colpire la casta sindacale, al contrario si è appoggiato a CISL e UIL e cioè ai settori più corrotti del sindacato confederale, per non parlare dei sindacati autonomi corporativi, per isolare la CGIL. Una politica, se vogliamo, di destra ma certo non una politica liberista.
Nulla induce chi scrive a ritenere che il terzo governo Berlusconi punterà ad uno scontro frontale con l’apparato sindacale ed, anzi, vi sono ragioni per ritenere che cercherà una mediazione e troverà interlocutori disponibili come dimostra la recente scelta di CGIL-CISL-UIL di “proporre” a confindustria e governo una “riforma della contrattazione” che concede tutto il concedibile per quanto riguarda retribuzioni e diritti in cambio della salvaguardia del potere e delle risorse dei sindacati concertativi.
Per dirla tutta, si denuncia la burocrazia sindacale per colpire i lavoratori.
Chi verrà sicuramente colpito, infatti, dall’asse confindustria-governo-apparato sindacale è il lavoro dipendente e le prime avvisaglie si vedono.
Da che parte stia Livadiotti, giornalista de “L’Espresso” e, con ogni evidenza, sinistro di destra lo rende evidente una frase a pagina 214 del suo libro:
”Negli Stati Uniti, all’inizio degli anni ottanta, i controllori di volo abbandonarono tutti insieme gli schermi radar. Erano tanti: 12 mila. E si sentivano forti. Ronald Reagan, all’epoca inquilino della Casa Bianca, li licenziò in blocco e poi si ritirò in vacanza nel suo ranch. In televisione mandò il ministro dei trasporti Drew Lewis, che tagliò corto: ‘Lo sciopero è risolto perché gli scioperanti sono stati licenziati ’. Indimenticabile.”
Appunto, indimenticabile e indicativo. La denuncia, fondata, della natura corrotta e conservatrice della burocrazia sindacale, quella, sovente demagogica, ma con qualche fondamento delle sacche di parassitismo nel pubblico impiego, portano ad un obiettivo vero e radicale: la distruzione dei diritti e dello stesso movimento dei lavoratori, una vera e propria rivoluzione conservatrice che individua in un generico cittadino il soggetto da scagliare contro i “privilegiati”, soprattutto se sottoprivilegiati o, banalmente, collocati nel posto sbagliato al momento sbagliato.
E, per di più, quest’attacco avviene con argomentazioni in parte condivisibili e, se vogliamo, “di sinistra” e proprio per questo motivo merita la massima attenzione critica.
Si tratta, allora, dal punto di vista di classe, di legare la critica alla casta a quella della funzione sociale della casta stessa e cioè a quella di garantire al padronato pubblico e privato la sottomissione del lavoro dipendente.