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Uenne ha compiuto 90 anni. In effetti il settimanale anarchico Umanità Nova esce ininterrottamente dall’immediato secondo dopoguerra, da quel 1945 che vide la sconfitta del fascismo, la fine della guerra, la ripresa della vita politica e sociale e – in campo anarchico – quel congresso di Carrara (settembre 1945) che con la costituzione della Federazione Anarchica Italiana segnò il punto di svolta e di ripresa di una presenza organizzata degli anarchici nel nostro Paese.
1945, dicevamo. 65 anni fa, dunque, non 90. Ma l’attuale settimanale anarchico ha celebrato lo scorso 26 febbraio i suoi primi 90 anni, perché fin dalla sua (ri)costituzione si è posto come la continuazione del quotidiano Umanità Nova, uscito appunto dal 26 febbraio 1920 all’ottobre 1922, quando le squadracce fasciste – come sempre assistite e supportate dalle Guardie Regie e dai Carabinieri nei secoli fedeli (al Potere, qualunque esso sia) – ne distrussero la redazione romana e ne impedirono le pubblicazioni. Nei 23 anni che intercorrono tra la morte del quotidiano e la ripresa del settimanale, sono usciti con la medesima testata alcuni numeri unici prodotti in clandestinità o in esilio, a testimonianza di una volontà di “non mollare!” come recitava il motto dei nostri amici e compagni antifascisti di “Giustizia e libertà”.
Umanità Nova è stata fin dal 1945 espressione della Federazione Anarchica Italiana, che allora era la casa unica di (quasi) tutti gli anarchici. Le vicende storiche successive hanno portato a contrasti interni e anche scissioni dalla FAI, che resta comunque il più consistente ambito organizzato degli anarchici di lingua italiana. E, soprattutto, Umanità Nova è un po’ la spina dorsale organizzativa del movimento specifico, un elemento essenziale della coscienza di sé dei compagni e delle compagne.
Una delle ragioni che portò, all’indomani della strage di piazza Fontana e dell’assassinio di Pinelli, alla nascita della nostra rivista fu la percezione del settimanale come uno strumento di comunicazione e di aggregazione troppo “vecchio” per le nuove tematiche e sensibilità tumultuosamente affacciatesi con lo tsunami del ’68. E poi UN aveva da tempo la redazione a Roma e qui a Milano sentivamo l’esigenza di affiancare uno strumento “nostro”. Eppure, lo spirito di fratellanza e la simpatia tra le nostre due testate (oggettivamente le due più diffuse dell’anarchismo di lingua italiana, senza nulla togliere all’importanza delle altre pubblicazioni regolari o meno) non sono mai scemati.
Ricordiamo, in questo contesto, che fu proprio un redattore di “A” a curare le due paginone centrali del numero di UN che nel 1976 ricostruivano per la prima volta le vicende e il dibattito nel 1919-1920 prima e durante la nascita del quotidiano.
Ma sono stati soprattutto gli anarchici, le compagne e i compagni in carne ed ossa, a rendere possibile in questi ultimi 40 anni la contemporanea vita e vivacità delle due pubblicazioni, spesso accomunate a livello locale dal medesimo impegno nella diffusione. C’è naturalmente chi preferisce o s’identifica più con l’una o l’altra. Ma soprattutto ci sono tanti che sottoscrivono, leggono, criticano, amano (e a volte odiano: ma l’amore è fatto così!) sia UN sia “A”.
Auguri, vecchia cugina!
Auguroni, Antonio!
Il nostro carissimo amico, compagno e collaboratore Antonio Cardella, palermitano doc, ha subito un grave intervento chirurgico, dal quale si sta lentamente riprendendo.
Militante nel gruppo anarchico “Alfonso Failla”, è anche tra i componenti della Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana.
Da queste colonne giungano a lui, ai suoi cari e ai suoi compagni di gruppo, gli auguri fraterni della redazione e (ne siamo certi) della vasta famiglia di “A”.
In via del Campo salutando Daniela ricordando Faber
Daniela Tassio, alla fine dello scorso febbraio, ha passato la mano la mano nella gestione della storica libreria genovese Dischi e Musica, nella mitica via del Campo, il carrugio forse più famoso di Genova. E certamente il più caro a noi, amici e cultori di Fabrizio De André, che almeno una volta nella vita siamo stati in quella libreria, che fino a 6 anni fa era “la libreria di Gianni” e basta: Gianni Tassio, marito di Daniela, che per presentarsi diceva con elegante candore “Sono Gianni Tassio, figlio di una mignotta”. E da lì si partiva.
Sabato 20 febbraio, Daniela ha organizzato nel suo negozio un bel buffet per salutare gli amici che in tutti questi anni sono passati da Via del Campo e tenuto compagnia, ricambiati alla grande, prima al suo mitico marito Gianni e poi a lei stessa, che ne ha continuato le fatiche dal giugno 2004. È stata una bella festa condotta in allegria nonostante l’inevitabile velo di tristezza che solitamente prende le persone in occasione di un qualcosa che, come il bel tempo che fu, prima o poi, passa. Tutto ha contribuito a riportare davvero il sapore di un passato indimenticabile, che abbiamo comunque imparato ad amare, da queste parti, con Gianni Tassio e con Fabrizio De André. Tra le mille riprese di telecamere e flash.
Noi di “A” non c’eravamo, ma per noi parlavano dalle vetrine i nostri “prodotti” legati a Fabrizio, venduti in migliaia di copie in questo che prima che un negozio pareva a volte un luogo di culto (e durante il G8, durante le cariche della polizia, si fece anche rifuhio per compagni e pacifisti che cercavano di sfuggire alla mattanza).
Nella foto di Paola Boccadoro, da sinistra a destra: Renato Uccelli (del gruppo Acustico Medio Levante), Daniela Tassio, Pasquale Dieni (Le Quattro Chitarre), Vittorio De Scalzi (New Trolls), Laura Olivari (per lei Fabrizio De André scrisse negli anni ’60 “Le Strade del Mondo”), appena dietro, con gli occhiali sulla testa, uno “spicchio” di Sergio Alemanno, collaboratore, nel tempo, di Bruno Lauzi, infine il prete angelicamente anarchico Don Andrea Gallo, fondatore della Comunità San Benedetto, grande amico di Fabrizio e anche nostro. |
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