Tra due figure retoriche
Ossimoro: figura retorica che consiste nell’accostamento di due termini in antitesi o addirittura incompatibili tra loro. Si tratta spesso di una combinazione densa di significato e comunque effettuata col deliberato fine di creare un contrasto originale. Risulta assai usata nel linguaggio poetico (come nel caso di O viva morte, o dilettoso male, del Petrarca).
Questa, leggermente riassunta, è la spiegazione della voce “ossimoro” riscontrabile in una qualsiasi enciclopedia e dizionario. E, in effetti, l’espressione anarchismo religioso sembra appartenere proprio a questa famiglia. I due termini paiono stellarmente lontani: è un po’ come parlare del diavolo e dell’acqua santa; e un rapido sguardo panoramico, storico e culturale, conferma l’impressione iniziale. L’anarchismo ha sempre denunciato l’ideologia che sottende il potere religioso, il quale spesso e volentieri ha garantito il suo sostegno ai detentori del potere politico ed economico, garantendo così il perpetuamento all’interno delle società, magari in forme attenuate, di ogni forma di servitù volontaria. Dal canto loro, le istituzioni religiose hanno visto il movimento anarchico come un pericolo da denunciare, un elemento minaccioso di disgregazione dei princìpi e dei valori fondanti ogni significativa coesione sociale.
D’accordo, le cose stanno in questi termini. Meglio: stanno anche così, ma non solo così, se siamo accorti a non confondere una parte per il tutto (qui si scivola su un’altra figura retorica: la sineddoche). Se invece ci accostiamo al discorso alleggeriti da preconcetti (che spesso sfociano in pregiudizio conclamato, il quale poco o nulla aiuta una sincera comprensione), vediamo che la questione si presenta con tratti più screziati. Sono infatti esistiti, in ogni epoca, uomini e donne che hanno provato a coniugare questi opposti, nella scommessa che una visione religiosa della vita (autenticamente intesa) potesse trovare il suo naturale sbocco sul piano sociale e politico proprio nell’anarchia (anch’essa autenticamente intesa). Svariate esperienze ereticali presenti pressoché in ogni confessione religiosa, in cui è ben visibile la dialettica fra anarchismo e religione, ci conducono lungo questi sentieri sconosciuti. Non solo, è possibile anche notare che il comportamento di non poche figure religiose del passato, comprese alcune comunemente considerate come fondatrici di chiese, è consistito nella denuncia aperta e netta delle istituzioni del loro tempo: a cominciare da quelle religiose, per passare a quelle politiche, economiche e militari. Non solo: a ben vedere costoro non si sono neppure preoccupati di erigere nuove religioni, con gli apparati gerarchici, liturgici e scritturali, ma si sono limitati ad annunciare con urgenza un messaggio di giustizia che voleva essere di portata universale (e il riferimento qui al rabbi di Nazareth è tutt’altro che casuale).
Il discorso, lo si intuisce facilmente, è sin troppo ampio, e per non essere semplificatorio richiederebbe numerose e dovute articolazioni. Al fine di circoscriverlo in qualche modo mi limito ad alcune considerazioni, magari rapsodiche, riguardanti la contemporaneità, anche perché riguarda il periodo storico nel quale è più facile scorgere relazioni sinergiche tra esperienza religiosa e la storia dell’anarchismo.
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Dorothy Day |
Gary Snyder |
L’anarchismo religioso del Novecento
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Leone Tolstoi |
Si può fare iniziare l’anarchismo religioso del Novecento con Tolstoj, autore non solo di capolavori indimenticabili, la cui visione antidogmatica del cristianesimo denuncia esplicitamente ogni potere istituzionale, nel momento in cui l’autorità che si frappone tra l’individuo e Dio ostacola ogni libertà, inclusa quella religiosa. Ciò lo troviamo espresso non solo nel cosiddetto “Tolstoj minore”, quello delle lettere, degli appelli, degli articoli, ma anche in alcune opere, come Resurrezione, l’ultimo grande romanzo, il cui contenuto contribuì non poco alla scomunica comminatagli dalla chiesa ortodossa.
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Simone Weil |
Affine alla spiritualità tolstojana è la sensibilità religiosa espressa da Simone Weil. Ebrea di nascita, attenta ai fermenti, così come ai drammi del suo tempo, rimarrà attratta dalla testimonianza cristiana, pur non lesinando critiche a quel mondo. Dirà di sé: “La mia vocazione è di essere cristiana fuori dalla Chiesa”. (Ma su di lei, rinviamo alle eccellenti pagine che le ha dedicato Monica Giorgi sul dossier del n. 345 di “A”, intitolato Sfumature anarchiche in Simone Weil).
Se ci collochiamo per intero nel filone ebraico del Novecento è doveroso allora nominare Martin Buber e Gershom Scholem. Il primo, divulgatore della tradizione chassidica, oltre che filosofo e pedagogista; il secondo, indiscusso studioso della qabbalah e dell’esoterismo ebraico. Entrambi profondi estimatori dell’opera di Gustav Landauer, il cui pensiero politico rinviava in modo esplicito ad aspetti religiosi e mistici, lasciando tracce significative e dichiarate nella riflessione dei due studiosi.
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Hakim Bey |
Se passiamo poi all’islam, c’è da menzionare la divulgazione che da anni va compiendo Peter Lamborn Wilson (noto in ambito libertario per la teoria delle TAZ sotto il nom de plume di Hakim Bey) a proposito di correnti ereticali, di fatto sconosciute in Occidente fuori della nicchia degli addetti ai lavori, per lo più contrassegnate da uno spiccato antinomismo (vale a dire il rifiuto o l’indifferenza nei confronti della legge – religiosa ma non solo – in nome di una dichiarata liberazione interiore).
Se ci volgiamo all’Oriente possiamo fare anche qui inaspettate scoperte. A proposito dell’area indiana mi limito a ricordare due nomi, accomunati dall’importanza assegnata a una ricerca spirituale compiuta nella libertà da ogni costrizione, in particolare dalla dipendenza da supposti maestri – i guru – su cui la tradizione hindu si è sempre soffermata con enfasi. Mi riferisco a Jiddu Krishnamurti (sul quale Emilia Rensi scrisse pagine esemplari sulla rivista “Volontà”) e al suo omonimo e più radicale Uppaluri Gopala Krishnamurti.
Volgendoci al buddhismo e all’Estremo Oriente, ci sono le posizioni di Gary Snyder sull’anarchia buddhista, elaborate agli inizi degli anni Sessanta e successivamente riprese. (Non dimentichiamo che dietro il protagonista dei Vagabondi del Dharma di Kerouac si cela proprio Snyder, il quale, al di fuori della finzione letteraria, soggiornò diversi anni in Giappone, approfondendo lo studio e la pratica del buddhismo zen). Meno conosciuti, ma non per questo meno interessanti sono i contributi della giapponese Misato Toda, docente universitaria, buddhista e studiosa dell’anarchismo, la quale ha indagato con sapienza e semplicità i punti di contatto (ma anche le differenze) tra anarchismo e buddhismo, citando e raffrontando i detti di Malatesta e di Dogen Zenji, uno dei caposcuola del buddhismo zen giapponese.
Tornando in Italia, all’interno di questo fulmineo excursus, vanno fatti nomi di Aldo Capitini e Ferdinando Tartaglia (quest’ultimo, oltre mezzo secolo fa, già parlava di post-anarchismo!), promotori nell’immediato secondo dopoguerra del Movimento di Religione, sorto con lo scopo di promuovere un radicale rinnovamento, religioso quanto politico, al di fuori e indipendente da partiti politici o chiese costituite, attirando così l’interesse di libertari come Pier Carlo Masini.
Altri nomi andrebbero ricordati. Alcuni noti, come quelli di Ivan Illich e di Jacques Ellul, la cui religiosità è andata di pari passo con la denuncia dello strapotere del sistema tecnocratico e specialistico, in direzione di una società più sobria e conviviale. Altri meno noti, come i teologi americani Vernard Eller (autore del saggio Christian Anarchy, uscito nel 1987 e ancora sconosciuto in Italia) e Ched Myers, attento alle connessioni tra ambientalismo, cristianesimo e anarchismo (individuando, ad esempio, puntuali corrispondenze fra le posizioni anarco-primitiviste di Zerzan e la Bibbia). Così come bisognerebbe parlare anche di movimenti, come i Catholic Worker, fondati a New York negli anni Trenta da Dorothy Day e tutt’ora operanti; o la rivista francese “L’Ère Nouvelle”, uscita nel primo decennio del Novecento, forse unico esempio di pubblicazione anarco-cristiana in lingua francese.
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Tavo Burat
a una manifestazione dolciniana |
Esperienze in corso
Nel settembre del 2008 si è tenuto in Inghilterra, presso l’università di Loughborough, un seminario di studi dall’eloquente titolo Religious anarchism. Le relazioni spaziavano a tutto campo: dai ranters inglesi del XVII secolo ai movimenti anarco-cristiani olandesi tra Otto e Novecento, da Kierkegaard alla teologia della liberazione, sino all’anarchismo religioso nell’islam, nel taoismo e nel buddhismo. Da questo incontro è sorta un’associazione, l’Academics and Students interested in Religious Anarchism (ASIRA), con un suo sito e un forum, all’interno di quello dell’Anarchist Studies Network (http://anarchist-studies-network.org.uk/ASIRA). L’anno scorso sono stati anche pubblicati gli atti del convegno: Religious anarchism: new perspectives, a cura di Alexandre Christoyannopoulos, promotore e coordinatore di tutta quanta l’esperienza.
In Italia merita ricordare il Centro Studi Dolciniani, con sede a Biella (sito web: http://fradolcino.interfree.it), sorto negli anni Settanta del secolo scorso per merito di Gustavo Buratti (più noto come Tavo Burat, in lingua piemontese). Riferito inizialmente solo alla storia, risalente all’età medievale, di fra Dolcino e di Margherita da Trento, l’attività del centro si è successivamente allargata allo studio dei fenomeni ereticali in genere, con particolare interesse verso quelli di matrice libertaria, con pubblicazioni (cfr. il volume collettivo Eretici dimenticati. Dal Medioevo alla modernità, pubblicato qualche anno fa da DeriveApprodi, in occasione del trentesimo anniversario del centro), convegni, incontri e mostre. L’auspicio è che l’improvvisa scomparsa del fondatore, avvenuta il dicembre scorso, infonda nei membri del centro il desiderio di proseguire e approfondire l’importante lavoro iniziato dal fondatore.
Fra gli ultimi arrivati sull’argomento c’è un sito web, operativo dall’inizio di quest’anno: www.liberospirito.org, coordinato dall’estensore di queste note. Il sottotitolo dichiara in maniera esplicita le intenzioni: “religione e libertà”. Troviamo raccolti materiali di e su autori (alcuni dei quali citati nel presente articolo) e temi che spaziano dall’attualità dell’eresia al rapporto tra religione ed ecologia, dalla teologia in lingua materna (per adoperare l’espressione coniata da Luisa Muraro, più ricca e allusiva del termine “teologia femminista”) agli stati modificati di coscienza (questi ultimi, comuni a molte esperienze religiose), all’importanza, anzi all’inevitabilità, del dialogo interculturale e interreligioso.
Ci sarebbe ancora tanto da dire e da raccontare: da un lato spiace aver lasciato indietro qualche nome o esperienza significativa, dall’altro c’è il timore di aver sommerso l’attenzione del lettore con una valanga di notizie. Ma se, dopo la lettura, ci sarà qualche pregiudizio in meno e un po’ di curiosità in più circa un possibile incontro tra religione ed anarchismo possiamo dire di aver toccato l’obiettivo che ci eravamo proposti. È un primo passo.
Federico Battistutta
Per chi desiderasse poi conoscere più da vicino alcuni dei nomi citati, rimandiamo ad articoli, a cura di scrive, già apparsi su “A”: su Ferdinando Tartaglia (n. 325/2007), su U.G. Krishnamurti (n. 337/2008), su Ivan Illich (n. 346/2009), su Martin Buber (n. 351/2010).