riflessioni
Un erroneo sviluppo caparbiamente perseguito
Premessa
Confrontando i dati contenuti nell’edizione 2010 de “Il mondo in cifre” annuario elaborato da The Economist, tradotto e pubblicato in Italia dalla rivista Internazionale, con quelli dell’edizione 2005 (già analizzato in “A” 311, ottobre 2005) si evidenzia un costante incremento di quegli indicatori del malessere che interessa il pianeta ed i suoi abitanti.
Una perversa e caparbia continuità che non si placa dinnanzi ad insuccessi, sofferenze, sprechi, distruzioni, devastazioni ambientali e sociali. Il modello industrializzato, dei consumi, globale trova in questi sintetici indicatori una rappresentazione rabbrividente della sua miopia e cattiveria.
Una nota tecnica: i dati a cui si riferiscono le edizioni 2010 e 2005 sono quelli disponibili per i diversi paesi nell’anno della pubblicazione e quindi spesso rimandano a statistiche di due o tre anni precedenti. Per semplicità di trattazione si farà riferimento agli anni dell’annuario e non a quelli effettivi di censimento.
PIL
Il PIL totale di tutti i paesi è nel 2010 di 60.690 miliardi di dollari (mld di $) ovvero il 47% in più di quello di cinque anni prima. Un dato che da solo dovrebbe terrorizzare: il PIL, come noto, non indica il benessere delle popolazioni ma solo i consumi delle stesse e quindi i materiali, le risorse, il territorio consumati, trasformati, alterati. Nel PIL vi sono tutti gli sprechi della società dei consumi, tutti gli impegni per le guerre e per le devastazioni perpetuate, tutto insomma quello che muove denaro. L’aumento del 47% implica solamente che è aumentato il “peso ambientale” dei paesi in maniera significativa e sconsiderata in un ambiente già fortemente alterato.
I primi venti paesi hanno un PIL di 44.254 mld di $, con un incremento del 46% rispetto al 2005, che evidenzia il mantenimento della concentrazione di ricchezze in questi pochi paesi che oggi producono 81% del PIL totale mondiale.
Gli Stati Uniti hanno un PIL di 13.751 mld di $ pari al 25% del totale; nonostante l’aumento del 25% rispetto al 2005 la quota sul totale è scesa del 7%.
In grande crescita l’Asia + 76 %.
I paesi della Zona Euro (16) esportano il 28,6% del totale dei beni e servizi mondiali (38,8% nel 2005), l’Asia il 13,8 % (9,9% nel 2005) mostrando chiaramente la tendenza propria dei paesi a più antica industrializzazione a smantellare la struttura produttiva concentrando i profitti nel commercio e nella finanza (ovviamente a scapito delle comunità locali).
Agricoltura
Negli Stati Uniti l’agricoltura contribuisce al PIL nazionale solo per il 1,1% (ancora in riduzione rispetto al già misero 1,9% nel 2005), in Belgio, Germania, Regno Unito per il 0,9 % (rispettivamente 1,3 %, 1,2 % e 1,0 % nel 2005), Italia 2,0 % e Francia 2,2 % (ambedue al 2,7% nel 2005).
Questo dato evidenzia il proseguimento incontrastato dell’azione di marginalizzazione sociale del settore rispetto all’economia dei paesi (riduzione del numero degli addetti e delle aziende, sottovalutazione dei prodotti, aumento delle importazioni) che fortemente incide sull’autonomia economica e sociale delle comunità locali.
Industria
Per i primi sette paesi il valore della produzione industriale è aumentata: negli Stati Uniti (2.737 mld di $) del 22 %, in Giappone (1.313 mld di $) del 22 %, in Germania (895 mld di £) del 41 %, nel Regno Unito (569 mld di $) del 46 %, in Italia (508 mld di $) del 41 %, in Francia (477 mld di $) del 34 %.
Questi dati stridono fortemente con la riduzione del numero degli addetti del settore che in tutti questi paesi ha caratterizzato gli ultimi anni. Contemporaneamente il valore della produzione industriale in Cina (secondo paese al mondo con 1.555.mld di $) è aumentata del 59 % confermandone il ruolo globale di “fabbrica del mondo”.
Alcune risorse
I primi dieci paesi nella produzione di rame, piombo, zinco, stagno, nichel, alluminio e gomma hanno significativamente aumentato le quantità di materia immessa nel mercato (fino al 30%); di tutti questi materiali il maggiore consumatore è la Cina (che necessita di materia prima per permettere la produzione industriale che serve i consumi del mercato globale).
Anche la produzione di petrolio, gas naturale e carbone è aumentata significativamente e tra i maggiori consumatori, oltre gli Stati Uniti primi per petrolio e gas e secondi per il carbone, vi è, ovviamente, la Cina, seconda per il petrolio, prima per il carbone.
Energia
È aumentata la quantità di produzione di energia e per i tre maggiori produttori Cina (>1.749 ml tonnellate equivalenti petrolio – tep), Stati Uniti (1.694 ml tep) e Russia (1.220 ml tep) è variata rispettivamente del + 35%, – 4 %, + 19 %). I consumi sono aumentati diffusamente sotto il 10 % tranne in alcuni paesi tra cui la Cina (1.879 ml di tep) + 40 %.
In questi numeri e nel fatto che la quasi totalità delle fonti energetiche siano costituite da combustibili fossili è il cuore della difficoltà di rendere credibilmente operativa la Convenzione internazionale sul clima.
Aziende
Solo 15 nazioni hanno un PIL di importo superiore a quello della capitalizzazione di mercato della più grande azienda mondiale, la PetroChina con 724,6 mld di $.
Tre le principali venti aziende ve ne sono quattro cinesi; nel 2005 tra le prime 44 aziende non ve ne era alcuna.
Nei primi 20 paesi il PIL è aumentato del 47%; nelle prime 20 aziende la capitalizzazione è aumentata del 54%. Ciò vuol dire che il PIL si è concentrato in pochi paesi (come detto i primi venti rappresentano circa l’80% del totale) e i profitti si sono concentrati nelle aziende collocate nei primi venti paesi, con una grande concentrazione negli Stati uniti (10) e Cina (4).
Delle principali 20 aziende 8 si interessano di combustibili (7 petrolio, 1 di gas), 3 di comunicazioni/elettronica.
Solo 26 nazioni hanno un PIL di importo superiore a quello della capitalizzazione di mercato della più grande banca, la Industrial and Commercial Bank of China con 339,2 mld di $.
Delle prime 20 banche 5 sono cinesi, 4 statunitensi, 2 del Regno unito e 2 italiane (decima e dodicesima).
Conclusioni
Aumenta il consumo di combustibili fossili per produrre energia, per permettere l’aumento della produzione industriale, per permettere l’incremento del PIL, per permettere la concentrazione di enormi quantità di ricchezze in pochi operatori (aziende e banche).
Demografia e artificializzazione I Considerazione
L’aumento della popolazione favorisce l’ampliamento del mercato e la produzione di merci (ogni persona ha una potenzialità di acquisto merci; a parità di consumi il maggior numero di persone comporta una maggiore quantità di merci).
II Considerazione
L’aumento della popolazione impedisce l’accesso diretto della stessa a risorse disponibili, comuni, rinnovabili.
III Considerazione
La carenza di risorse rinnovabili e direttamente disponibili aumenta l’artificializzazione del sistema naturale (è necessario forzare i processi produttivi naturali per avere le quantità necessarie nelle modalità e nei luoghi richiesti dalla produzione).
IV Considerazione
L’artificializzazione del sistema naturale aumenta la concentrazione delle produzioni e della gestione delle risorse in pochi soggetti (che attuano gli investimenti, promuovono i prodotti uniformati, distribuiscono le merci).
V Considerazione
La concentrazione delle produzioni aumenta l’autoritarismo del potere.
VI Considerazione
Tale potere più che autoritario ha poco interesse nei confronti delle comunità e dell’ambiente che sono interpretati da esso quali strumenti per l’attuazione delle produzioni.
Conclusioni
L’attuale incremento demografico, comporta l’artificializzazione dell’ambiente, l’aumento dell’autorità del potere, la destrutturazione delle comunità locali, la distruzione dell’ambiente.
testimonianze
Nomadi
Le popolazioni nomadi hanno come caratteristica lo spostarsi in un territorio,
seppur ampio, definito seguendo, nel corso delle stagioni e degli anni, le risorse
necessarie alla loro esistenza.
Le popolazioni nomadi hanno un rapporto molto stretto con le risorse e con i ritmi della loro rinnovabilità; il tempo della loro presenza in un determinato luogo dipende dalla quantità di prelievo che è possibile fare della risorsa senza alterarne le potenzialità. In questa maniera i nomadi si garantiscono la possibilità di tornare nei medesimi luoghi, dopo un definito e prevedibile periodo di tempo, usufruendo della medesima quantità di risorse utilizzate precedentemente.
È un equilibrio leggero che può essere modificato, indipendentemente dai comportamenti, dal variare delle condizioni ambientali. Proprio per garantire sempre il carico compatibile con il sistema naturale, i nomadi solitamente mantengono sotto controllo il numero degli individui afferenti alle loro comunità; infatti, pur mantenendo i medesimi comportamenti, è possibile che l’aumento del numero degli individui possa alterare le condizioni del sistema ed avviare processi irreversibili di alterazione delle risorse.
Quindi la leggerezza del sistema nomade è fondata sull’attenzione posta nei confronti dell’ambiente, le cui modificazioni sono l’indicatore della capacità di recupero del sistema stesso dopo l’utilizzazione, e nei confronti della regolazione del proprio “peso ambientale” attraverso comportamenti basati sulla limitazione dei prelievi e del numero degli individui.
Le popolazioni nomadi erano diffuse in tutto il pianeta e vi sono state forme di seminomadismo che hanno interessato fino a pochi anni addietro paesi, come il nostro, con un tessuto insediativo e produttivo già denso.
Ad esempio i pastori dell’Appennino centrale, in particolare quelli d’Abruzzo, d’inverno scendevano in Puglia e d’estate tornavano nelle loro abitazioni sui monti.
La transumanza era regolata dalle stagioni e resa possibile dai grandi territori della Capitanata e della Maremma in cui latifondi privati o estese proprietà pubbliche a bassa produttività agricola, aree “malsane”, di acquitrini, paludi, macchie, steppe erano disponibili al pascolo. La transumanza è stata bloccata con la bonifica della Maremma e della Capitanata; attraverso di essa i terreni sono stati divisi ed assegnati in parte a nuovi ai latifondi, in parte agli agricoltori riducendo così lo spazio comune, privatizzando l’uso delle terre. Come la ferrovia e le strade divisero le grandi pianure nord-americane del nord e facilitarono il frazionamento degli spazi di pertinenza dei popoli nativi così bonifiche, case coloniche, infrastrutture hanno reso impossibile il fluire della transumanza.
Il modello economico contemporaneo impone una modalità unica di comportamenti e di uso dei terreni; l’esponenziale e continuo aumento demografico, unito al parallelo aumento dei consumi e della mobilità, contribuisce significativamente all’incremento delle densità insediative e infrastrutturali e rende impossibile la pratica di un modello di vita diverso.
Quando si dice che non c’è spazio per i nomadi si dice che non vi è spazio fisico per il nomadismo ma essenzialmente non si vuole dare spazio ad un cultura insediativa e produttiva che esplicita un’altra relazione con le risorse, una realazione fondata sull’osservazione dell’ambiente e sulla comprensione delle sue variazioni, sull’attenta raccolta delle risorse e non sulla produttiva industrializzazione della natura.
osservazioni sulla contemporaneità
Industrializzazione
e munnezza
I processi industriali garantiscono prezzi bassi ed aumentano la quantità, riducono la qualità, il tempo di durata, la funzionalità delle merci qualificandone al contempo l’immagine.
In sintesi riempiono le nostre case e il nostro pianeta di “bella” munnezza.
Arredatori
Mi è capitato di vedere una foto di una “carovana” di coloni italiani inviati in Libia nel 1938. La colonna era composta da carri tutti uguali, trainati da muli, sui quali erano accatastate le masserizie necessarie all’arredo e gestione delle case coloniche che li attendevano. Dalla foto si vedeva su ogni carro un armadio chiaro, un tavolo da cucina, materassi, tavoli più piccoli ed in cima a tutto una carriola. Ogni carro aveva i medesimi oggetti, tutti messi nella stessa maniera, nuovi, puliti, ordinati.
Ho pensato a L’Aquila, al terremoto, alle nuove case completamente arredate.
Questi governi demagogici e autoritari mandano la gente in Libia o nei deserti ambientali e sociali dei nuovi insediamenti post-terremoto mostrando la loro efficienza negli arredi.
immagini dalla contemporaneità
Leggerezza,
pesantezza
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Figura 1 |
La Figura 1 mostra una coltivazione tradizionale in Indonesia. I terrazzamenti
sono molto stretti permettono il passaggio di una sola persona; vengono abbandonati
periodicamente e riutilizzati dopo un periodo di riposo. Ciò consente il continuo recupero della vegetazione naturale che viene lasciata intatta ai bordi delle aree coltivate.
Una azione di modificazione leggera che considera la fragilità del sistema in cui si attua.
La Figura 2 mostra una parte della Tokyo contemporanea: palazzi e infrastrutture indifferentemente poggiati sul terreno. Gli edifici sono antisismici perché riempiti di acciaio e calcestruzzo in quantità e qualità enormemente superiori a quelle di un edificio normale appunto per resistere alle frequenti scosse. Edifici che durano mediamente venti anni per poi essere sostituiti da altri più efficienti in termini tecnici ed economici (nuova immagine, maggiori dimensioni, maggiori profitti). Edifici pesanti che nulla hanno a che fare con i luoghi, che sono prodotti da motivazioni economiche e di rappresentazione, che si sovrappongono ed annullano la morfologia a ricomporre un’immagine comune, vuota di cultura, che destruttura i luoghi.
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Figura 2 |
Tokyo in passato era una città leggera; leggera per i materiali e le tecniche di costruzione che permettevano una maggiore sicurezza in occasione dei frequenti terremoti; ma anche leggera per il modo in cui si posizionavano le abitazioni in un’area tessuta da una infinita quantità di corsi d’acqua. Così le case, leggere, si localizzavano sulle poco elevate colline, lontano dal fluire più irruento delle acque, con fondazioni che non penetravano nel terreno.
Come a Tokyo, così ovunque negli ultimi secoli le attività dell’uomo sono divenute sempre più “pesanti” consumando energia, materiali, risorse, dimenticando quella “leggerezza” che permette un più equilibrato rapporto con l’ambiente.
Il benessere
La Figura 3 mostra una signora con bambini e cane sulla soglia della sua abitazione. L’abitazione se giudicata sui parametri che qualificano le abitazione del mondo/modello occidentale evidenzierebbe tutti i suoi limiti: una struttura approssimativa, senza pavimento, senza servizi igienici e quel minimo di confort ritenuto indispensabile.
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Figura 3 |
Ma la signora sorride e così i suoi bambini e forse anche il cane; sembrerebbero stare bene: sorridono sereni, i tratti sono rilassati, la pelle è lucente, il corpo nutrito appaiono persone che sono in condizione di gestire la propria esistenza.
A veder l’immagine di una città occidentale contemporanea (Figura 4) lo sguardo smarrito o vuoto dei passanti, la loro incomunicabilità, la pressione delle comunicazione commerciale, i meccanismi di funzionamento dell’insediamento non sembra che queste persone stiano bene riempiti, come indicano le statistiche, di eccitanti la mattina e di tranquillanti la notte, obesi, depressi ed in generale “straniti”.
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Figura 4 |
Dal confronto tra le due situazione non scaturisce la proposta di un ritorno alla “serena vita” delle capanne ma la considerazione che la strada del benessere non è quantitativa e non è unica.
Si dovrebbero captare i diversi segnali dipendenti dai luoghi, dalla cultura, dalla sensibilità e costituire specifiche soluzioni. Forse alla signora serve l’acqua ma non una casa in calcestruzzo; forse le serve un pavimento in pietra o argilla ma non un’automobile, forse un altro vano ma non il fabbricatore di popcorn elettrico.
Ogni individuo del nord e del sud del mondo, ricco o povero è quella signora. Ogni individuo ha un suo carattere ed una sua richiesta di benessere a cui, tolte le preconfezionate interferenze del mercato e delle sue merci, è possibile rispondere.
Rispondere ai desideri
La Figura 5 mostra una piscina di un albergo. È una delle rappresentazioni più comuni dei desideri di vacanza. Luoghi che non hanno luogo; tutti uguali ma che sono sapientemente costruiti per rispondere ad un immaginario consolidato e sostenuto dalla pubblicità.
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Figura 5 |
Questa è una piscina che il pianeta non si può permettere. Ovvero i costi energetici ed ambientali di tale piscina non possono essere sostenuti da tutti gli ecosistemi ed in generale non si può ipotizzare che essa possa essere fornita a tutti i cittadini del pianeta: è una soluzione che in questa configurazione non può essere perseguita.
Ciò non toglie che il desiderio di bagnarsi in acqua dolce all’aperto possa essere soddisfatto in altra maniera.
Le Figure 6 e 7 mostrano due soluzioni di piscine il cui “peso” ambientale è sicuramente minore.
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Figura 6 |
Figura 7 |
Spesso non è tanto il desiderio che è insostenibile ma il modello attraverso cui il desiderio si attua che è configurato e sostenuto da interessi connessi al solo uso del desiderio per incrementare la vendita di merci.
Separare il desiderio dal desiderio indotto, attuando la verifica in ragione delle potenzialità ambientali ed energetiche del pianeta e dell’equità sociale delle soluzioni, appare il mezzo per perseguire il benessere.
Adriano Paolella
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