Rivista Anarchica Online


lettere

 

Mentre Laura si sposa

Laura ha 17 anni. Ambizione della sua vita, dice, è sposarsi e magari trovare un lavoro.
Marta invece punta molto più in alto: ha 19 anni e ambisce a trovare un buon lavoro e a mettere su famiglia.
Giovanni spera di riuscire ad entrare nell’arma dopo la scuola. Ha 18 anni e quella è la sua ambizione, dice, anche se non impazzisce di gioia all’idea.
Laura passa 8 ore al giorno davanti Internet. Marta 6 ore e Giovanni solamente 5.
Tutti e tre concordano che se avessero più tempo libero uscirebbero con gli amici o farebbero sport. Tutti e tre concordano che la cosa più importante della vita è realizzarsi con una famiglia e un lavoro. Possibilmente il meno peggiore.
Tutti e tre considerano il matrimonio come momento di felicità e riscatto verso una vita che hanno scelto –consapevolmente o meno- di non vivere; o di non provarci proprio.
Valentino Rossi è l’italiano più famoso all’estero.
In Messico a Cancun le massime sono di 38°C e le minime di 15°C.
George Clooney sta per girare un nuovo film.
Il Papa, durante l’ultimo viaggio, ha ribadito l’importanza del matrimonio.
Obama ha regalato birra ai canadesi per una scommessa persa.
È successo che la religione cristiana è semplicemente subentrata al paganesimo lasciando invariate alcune usanze. I banchetti in occasione delle cerimonie sono un esempio.
Alla fine degli anni ottanta pensavamo davvero che il mondo potesse cambiare.
Abbie Hoffman non lo pensava e verso la fine dell’ 89 si è suicidato.
Laura nel frattempo ha finito la scuola, non ha trovato lavoro, ma ha conosciuto un ragazzo. E ora si sposano.
Suo padre ha aperto un mutuo di 35mila euro. Così come hanno fatto i genitori di Marta e di Giovanni. Perchè il matrimonio è il giorno più importante che c’è. È dio a sancire l’unione, mica uno qualunque.
Non tutti sono convinti che il Live Aid e i suoi simili abbiano davvero funzionato. È come dire che ti riempio di botte tutti i giorni; poi mi fermo per qualche ora per riprendere a farlo più tardi, più forte.
All’università Laura avrebbe scelto pedagogia o qualcosa di simile perchè è una ragazza sensibile e aiutare i bambini, dice, è l’unica cosa che si può fare per salvare questo mondo. Le zie e i nonni sono felicissimi; una ragazza così brava e sensibile finalmente corona il suo sogno.
Bernardo Provenzano è stato il latitante più longevo della storia. A L’Aquila dopo un anno la situazione non è cambiata.
La Chiesa afferma che ‘‘forse’’ c’è stato qualche caso di pedofilia.
Con tre gol di Messi il Barcellona ha vinto la partita.
Ogni hanno in Italia si celebrano più di 240mila matrimoni. In media si spendono circa 35mila euro per ognuno. Di quei 35mila circa 12mila servono per il cibo: pranzo e catering per il rinfresco. Laura è molto legata ai bambini della sua famiglia cosicché tutti i piccoli cugini e nipoti parteciperanno alla funzione, portando le fedi all’altare e svolgendo altri piccoli compiti. Laura farebbe di tutto per i bambini.
Da una ricerca condotta nel mondo della ristorazione viene fuori che in media nei matrimoni il 20% del cibo non viene mangiato perché troppo e quindi viene buttato.
Alonso ha vinto la prima gara della stagione; Schumacher al rientro è arrivato sesto.
Il 20% di 12mila è 2400 – valore variabile perché è chiaro che ogni cibo ha un prezzo diverso.
I ristoratori e le ditte di catering dei matrimoni di Giovanni e di Marta hanno buttato insieme 4800euro di cibo non mangiato.
La zia di Marta ha donato 1euro con un sms per i bambini di Haiti.
Il papà di Giovanni è sempre stato attento alle dinamiche del consumismo e della povertà e infatti non ha mai comprato CocaCola, solo Pepsi.
Ogni anno però gli italiani buttano nell’immondizia 576 milioni di euro; anche se a seconda dei punti vista può sembrare un degno sacrificio a dio nel giorno in cui è vietato rinunciare allo sfarzo. Non si tratta di buone parole, di abiti bianchi, di bibite gassate, di ricerche su google, di percentuali o di preti.
Si tratta solamente di palesare la differenza tra idea e azione.
E così, mentre Laura e suo neo-marito escono dalla chiesa con amici e partenti che sorridenti lanciano riso in aria, proprio nello stesso istante, muoiono di fame 23 bambini in un’altra parte del mondo.
Amen.

Stefano Pecci
(Frosinone)

SPQV (Sono Pazzi Questi Veneti)

Penso sia difficile trovare un popolo che odia tanto il suo territorio (e quindi la propria storia) quanto il popolo vicentino e veneto in generale.
“Sono Pazzi Questi Romani!” esclamavano Asterix e Obelix, interpretando in maniera originale la sigla “SPQR” (Senatus PopulusQue Romanus). Oggi come oggi non suonerebbe male un SPQV (“Sono Pazzi Questi Veneti”).
Questa caduta libera del pensiero collettivo, già evidente in passato, è divenuta lampante di fronte allo stravolgimento in atto.
Il riferimento è soprattutto all’ultimo decennio, ma la storia ovviamente parte da un po’ più lontano ed è ben documentata nei libri del compianto Eugenio Turri (“Dalla villa veneta al capannone” e “Megalopoli padana”) e anche nel più recente “Il grigio oltre le siepi: geografie smarrite e racconti del disagio in Veneto” a cura di Francesco Vallerani e Mauro Varotto.
Il colore grigio è qui simbolo non solo di espansione del cemento, ma anche del disagio esistenziale degli abitanti, di orizzonti limitati di pensiero, di spaesamento emotivo per chi vorrebbe guardare oltre il proprio perimetro. Oltre la siepe non c’è l’Infinito di Leopardi, ma capannoni, strade, svincoli, pedemontane, rotatorie e outlet. E poi ancora capannoni, strade... perché ogni singolo comune vuole la sua fetta di “zona produttiva” dove ormai si produce sempre meno.
Si susseguono le analisi sui giornali:” Tra capannoni vuoti e centri commerciali non finiti il Nord Est felix non c’è più”. Erano diventati i nuovi templi al consumismo, ne sono stati costruiti moltissimi, sempre più enormi, sempre più ricchi: erano il segno della prosperità e del successo. La statale da Vicenza verso Padova (o verso Verona, o verso nord) è un continuum, un incubo metropolitano, una serie infinita di parallelepipedi di cemento e distese di asfalto. In pochi anni sono spuntati come funghi, ma c’è ancora chi si accanisce e persevera nella follia. E infatti a ”Grisignano, sì all’outlet della società bresciana” con foto di enormi distese di automobili, venute da chissà dove per risparmiare qualche “lira” con il miraggio delle grandi firme. Anche se il progetto venisse bloccato, il virus dell’annuncio è immesso nel pensiero.
Altri titoli relativi a vari ambiti del vicentino: “La Pedemontana trova sulla strada 1466 ostacoli”; “Impatto devastante a Montecchio”; “Castelgomberto sarà il territorio più martoriato”.
Questa nuova arteria sarà la distruzione inesorabile delle residue zone agricole e il presidente della Coldiretti si azzarda a dire: ”Sono in molti a non rendersi conto di cosa significherà un’autostrada nella valle dell’Agno e a Montecchio”. Se per vent’anni la Pedemontana è stata un miraggio, crediamo che ora per gli abitanti questi 94 chilometri (con 9 viadotti, 18 svincoli e altri chilometri di bretelle) si trasformeranno in un incubo reale. Naturalmente i proprietari verranno ben retribuiti per il loro “disagio”, e alla fine saranno tutti felici e contenti, paghi dei loro quattro soldi con i quali fare le vacanze nei posti alla moda. Ma se “questa terra era la loro terra”, saranno dei naufraghi spersi nel loro stesso territorio ormai irriconoscibile. Forse qualche vecchio, come è già capitato in altri luoghi stravolti, diventerà triste e muto, incapace di farsene una ragione. Però, ci dicono, si chiama “sviluppo” ...
I recenti disastri in Sicilia e in Calabria (frane, smottamenti...) da qui possono apparire lontani, ma sono vicinissimi come abuso di territorio: laggiù il monte scivola a valle, qui la pioggia allagherà la campagna cementificata. Di fronte ad un territorio limitato e delicato ci si muove come il famoso elefante in un negozio di cristallerie, e cioè facendo macerie.
Nel novembre 2007 venne diramato l’allarme dei Consorzi di bonifica:”Il cemento continua a erodere le campagne venete minando l’assetto idrogeologico del territorio. Tra il 1993 e il 2003 gli spazi destinati all’agricoltura si sono ridotti del 43%”. Ora, alla luce delle nuove scelte di fortissimo impatto ambientale, la situazione andrà nettamente peggiorando e i progetti ormai definitivi passeranno sopra a qualsiasi opinione contraria. Il prezzo di questo “progresso artificiale” sarà molto pesante per la mente e per il corpo dell’intera provincia.
La bellezza e la particolarità del territorio veneto derivavano sia dalla funzione di vetrina delle città, dove la nobiltà esibiva i palazzi nelle vie del centro, che dall’armonia delle campagne, gestite da appositi magistrati ( alle Acque, ai Boschi, ai Beni Inculti, ecc.). Scriveva Charles de Brosses: “La terra che si estende tra Vicenza e Padova vale da sola tutto il viaggio in Italia..., non esiste scena più bella di una simile campagna”:
Oggi è l’intero ambito provinciale ad essere sotto attacco. Anche il Basso Vicentino ha la sua dose di “Grandi opere”. Gli hanno detto che era “depresso” e quindi, per curare questa sua “depressitudine”, si sta rivolgendo ai capannoni, alle strade, agli svincoli, alle prossime zone industriali legate alle “opportunità” di movimento della nuova autostrada, un’assurdità viabilistica (dal mio punto di vista) e uno stravolgimento paesaggistico. Il pensiero unico dominante ha deciso che “autostrada doveva essere” e autostrada è stata, lasciando da parte tutte le possibili alternative più sostenibili. Ora nei vari convegni vengono messe in evidenza le responsabilità del futuro governo di questo territorio. Sentenziano gli addetti ai lavori: “È finito il tempo di una fabbrica sotto ogni campanile”, pensando di dire una frase nuova e originale, ma sono ormai fuori tempo massimo.
Si sta avverando ciò che era implicito nel progetto. Non è importante andare a Rovigo, quanto invece aprire “nuove opportunità” (leggi nuove zone industriali) legate alla facilità dei caselli autostradali. Si parla di un “polo di interscambio merci “ che servirebbe l’intero Triveneto, non una bazzecola quindi ma una serie di capannoni di tutto rispetto. E questo riguarda solamente la zona appetibile del primo futuro casello Valdastico Sud di Longare.
Se i quattro sindaci coinvolti restano abbottonati, questo non significa che i messaggi non corrano: alla fine scopriranno che di questo manufatto il territorio “non può proprio farne a meno”... che è il famoso “treno del progresso” che non si può non afferrare...che verranno fatti “i dovuti controlli con la massima cura”...che è arrivato il “momento del fare”...e così via.
Ma in tutti questi discorsi, in un territorio a forte connotazione di “campagna amica, di tanti sapori di una terra generosa che mostra con orgoglio le sue tipicità” (come recitano i depliant propagandistici dei consorzi), manca qualsiasi intervento sia degli agricoltori che dei commercianti. La distruzione del “loro” territorio su cui hanno investito tempo, competenze e passione sembra che li lasci quasi indifferenti. Eppure un malcontento esiste, solo che è sotterraneo e non emerge, in una sorta di adeguamento mentale e psicologico alle decisioni prese più “in alto”. La delega è comoda, evita di pensare, ed è forte la difficoltà di riunirsi insieme, di incontrarsi per dibattere pubblicamente, prendendo consapevolezza dell’importanza delle proprie idee e posizioni.
L’agricoltura tipica e caratteristica dovrebbe essere legata ad un ambiente integro e così pure il turismo “di qualità” ha senso solo all’interno di un territorio decentemente coeso e armonico.
Io credo che tutto questo sia troppo. Forse è il momento di fermarsi. Riflettere su un territorio presuppone un pensiero collettivo che diventa sempre più difficile percepire realmente, in quanto tutto è stato parcellizzato, suddiviso in segmenti sempre più piccoli e individuali.
Diceva un urbanista tedesco: ”Quando un ingegnere vede una collina immagina di traforarla per rettificare la strada. Quando un imprenditore vede una collina pensa di lottizzarla per realizzare un investimento immobiliare. Come sindaco, io mi voglio riservare il diritto di guardare la collina e immaginarla per quello che è: una collina. Voglio decidere con la collettività la tutela del nostro territorio, anche in contrasto con interessi economici e strategie di sviluppo”. Pensiamo che veramente si debba ripartire dal pensiero che le risorse ambientali sono beni comuni da preservare, non sono beni infiniti e, una volta distrutti, sono irrimediabilmente persi.

Elena Barbieri
(Nanto – Vi)
Movimento U.N.A. (Uomo.Natura.Ambiente)

 

Per la conservazione degli spazi

Dei vari profeti della nonviolenza, e più in generale della” pace quotidiana”, quello che mi fa sorridere è sempre stato il constatare la loro inconsapevolezza che, volendolo o no, un conflitto ci si trova costretti a viverlo . Poi sta ad ogni singolo individuo decidere se viverlo da semplice vittima, a volte “agnello sacrificale”, a volte “carne da cannone”, o da ribelle che con l’ insofferenza o l’ aperto scontro vi si oppone.
E il conflitto è diretta conseguenza del fatto che: in presenza di un bene qualunque (in questo caso il bene sociale), e di una scietà di individui, quando una piccolissima minoranza ne pretende per sè una quantità spropositatamente grossa, è inevitabile il conflitto!
Il nostro problema viene dal fatto che, mentre da parte dei “privilegiati” la ricerca della continuità e la difesa del loro privilegio li ha spinti a un’ attenzione continua, sul nostro versante la sporadicità, spesso obbligata, ha caratterizzato la nostra storia.
E questa discontinuità è causa ed effetto del conflitto stesso. Il possesso della ricchezza sociale e del controllo è stata sempre prerogativa di chi ha dominato, e questo chiaramente facilita il compito, pensiamo a tutti i classici strumenti da sempre utilizzati: dalle religioni, alla sbirraglia, dalla gestione dell’ educazione a quello dell’ informazione, tutto ha sempre avuto come finalità la creazione di una cultura alla rassegnazione. Quello che c’ è di nuovo è che dal secondo dopoguerra ad oggi l’ imposizione di una società consumista e contemporaneamente la centralità di profitto esageratamente “amorale” ha generato una progressiva scomparsa di legami sociali e uno spaventoso indebolimento psicologico e fisico dell’ individuo. Molto semplicemente proviamo a vedere che differenza di reazione c’ è stata negli anni 1919-22 ed oggi, ad una condizione che è in linea di massima pressochè uguale.
Nello scorrere del tempo anche gli elementi che generano profitto mutano costantemente: una volta si diceva che “Quando la merda acquisterà valore, i poveri nasceranno senza culo!” e guardiamo come le mafie statali riescono a gestire la questione dei rifiuti!! Uno degli “agenti” di Matrix diceva a Morfeo dopo averlo catturato, che gli uomini si comportano come i virus, che si insediano in un determinato territorio e dopo averlo completamente prosciugato si spostano e ricominciano da un’ altra parte, lasciandosi alle spalle il deserto; così, dal mio punto di vista si comporta il capitalismo. E dopo aver sfruttato e depredato il mare e la pianura ,ora sposta la sua attenzione sulla montagna. A Campanara qualcuno tempo fa mi diceva “ma quì siamo così isolati e difficilmente raggiungibili che chi vuoi che ci venga a rompere i coglioni?” Oggi sappiamo che 800.000 euro finanziano il progetto di quel soggetto che dovesse aggiudicarsi la concessione di quei 160 ettari di montagna che compongono parte di quel territorio.
Ma sappiamo anche che nel 2004 è bastato ventilare la possibilità di un trascorso Uso Civico gravante su quella zona, per far sì che parte degli edifici e terreni venissero provvisoriamente sottratti alla prevista vendita.
E che cosa sono gli usi civici?
Per usi civici si intendono quei diritti, di carattere agro-silvo-pastorale, e che sono inalienabili e imprescrittibili, gravanti su notevoli estensioni di terre (oltre cinque milioni di ettari) che si sono venuti consolidando nel corso dei secoli a favore dei poveri e delle plebi contadine esclusi da ogni altro diritto.
Da queste traevano le risorse necessarie alla sopravvivenza propria e delle loro famiglie, attraverso regole e statuti di
prelievo e di coltivazione che garantivano la riproducibilità e la tutela delle risorse naturali.
Sono regole che sanciscono una consuetudine, traggono origine ancora in epoca medioevale e si rifanno al vecchio codice di giurisprudenza romana. Non è però del tutto esatto parlare al passato perchè in alcuni luoghi la pratica ha avuto continuità nel corso dei secoli, come per esempio a Casa Mazzagno ( Belluno), dove sussiste la Casa della Regola situata a fianco dell’ edificio comunale ma ben distinto da questo, e dove periodicamente si riuniscono i capi famiglia per decidere del taglio del legname, della spartizione dei pascoli stagionali, e dello sfalcio dell’ erba da fieno. Ci sono notizie di pratiche simili in altre zone d’ Italia: nelle Marche, in Puglia.
Con il trascorrere dei secoli le terre hanno subito un doppio processo di spopolamento e di abbandono da parte delle popolazioni contadine in via di proletarizzazione , di progressiva privatizzazione e recinzione che ne escludeva forzosamente i legittimi proprietari.
Questa dinamica continua tutt’oggi con diverse modalità: le alienazioni e usurpazioni di queste terre si sono moltiplicate anche per iniziative discutibili degli enti locali che hanno favorito trasformazioni urbanistiche ad uso edificatorio e privatistico, senza tener alcun conto dei diritti delle popolazioni locali. A questo si aggiunge lo spopolamento dei piccoli centri agricoli e rurali per effetto dei processi di inurbamento con il conseguente abbandono delle terre civiche, divenute così facile preda della speculazione privata, pur essendo soggette a tutela paesaggistica e in presenza degli antichi diritti proprietari.
Bisogna aggiungere che nel primo trentennio dello scorso secolo ,tutta questa materia è stata oggetto di attenzione da parte dello Stato, che con vari decreti e leggi ha cercato di regolamentare la consuetudine degli usi civici: la legge 1766 del 16 Giugno 1927, la 332 del 26 Febbraio 1928, e la 1078 del 10 Luglio 1930, per quanto riguarda eventuali controversie tra civis ( singolo abitante o gruppo locale),ed ente gestore (Stato. Regione ,o proprietario).
Un’altra legge,la numero 278 del 17 Aprile del 1957, prevede la costituzione di un comitato di cinque membri eletto tra gli appartenenti alla collettività locale, che formano l’ autorità di controllo della buona applicazione della norma e in mancanza o per inefficenza di questo comitato, la creazione di un commissario, per le medesime funzioni.
C’ è poi un decreto ministeriale del 21 settembre 1984, che stabilisce per tutta una serie di territori la tutela da qualunque intromissione speculativa, con lo scopo di preservarli paesaggisticamente: le coste per una fascia di 300 metri dalla battigia, intorno ai laghi sempre per una fascia di 300 metri,i monti oltre i 1800 metri di altezza, i ghiacciai, e i territori gravati da usi civici appunto.
Anche in questo senso possiamo dire di vivere in uno stato golpista, in quanto la costituzione Repubblicana ha depredato e azzerato le sovranità locali, le proprietà collettive e intergenerazionali (le terre civiche, l’ acqua, i semi, la salute, il lavoro vernacolare, dal latino vernaculus: nato in casa)
La concezione è quella di considerare l’ ambiente come risorsa economica e monetaria al servizio delle imprese nella concezione neoliberista globalizzata, e anche le associazioni governative (Regioni, enti territoriali ecc) ragionano in questi termini.
Noi invece vediamo l’ ambiente come uso civico, come bene collettivo e indispensabile per una vita coerente ed equilibrata
Il gioco delle multinazionali agroalimentari è quello di volersi impossessare del monopolio sul germoplasma (materia ereditaria trasmissibile alla prole tramite le cellule germinali,nel caso di animali, o ai semi , in grado di preservare in modo diretto la biodiversità, a livello genetico) ponendo una grossa ipoteca sulla possibilità di vita dei più.
Bloccare questo assurdo meccanismo si può fare partendo ad esempio dal considerare il germoplasma come un uso civico, nè pubblico nè privato, ed elemento indispensabile al diritto di sopravvivenza di tutti!.
Gli usi civici non sono altro che il diritto alla vita: un diritto che non ha bisogno nè di cani da guardia nè di velinari mezzobusto. Un tempo questo diritto alla vita si esercitava nell’ applicare il proprio lavoro all’ elemento naturale per trarne alimenti necessari alla sussistenza,di una collettività autogestita, cosa ben diversa dall’ autarchia che è autosufficenza nazionale gestita da un’ elite di potere.
Nel passato ci sono stati casi in cui dei contadini,vecchi abitanti di zone soggette alla pratica degli u. c.,, hanno tentato di riappropriarsi del loro inalienabile diritto: il primo dei casi di cui siamo a conoscenza si è concluso nel sangue.
A Melissa, piccolo comune della Calabria, negli anni ’50 i contadini che rioccupavano le terre che i loro padri avevano avuto in diritto di condominialità, furono presi a fucilate dai carabinieri.che nessuno si era preoccupato di avvertire della piena legalità dell’ atto. I morti sono stati ricordati solo in un dipinto naif di Cinanni donato a una scuola di Frattocchie dal P.C.I.!
Il secondo caso fu quello tentato da tre contadini di Sillano in Toscana: qui la pratica seguita fu quella legale. Iniziò nel primo dopoguerra e si concluse alla fine degli anni ‘80, quando ormai uno dei tre era morto, e con la raccomandazione da parte dell’ assessore P.C.I. E. Bonifazi che l’ episodio non costituisse precedente per gli altri casi esistenti in Toscana.
Un caso di rivendicazione della validità del diritto di un popolo che torna dopo un periodo di vacanza ( così lo descrive R. Cattaruzza in,”Favole partigiane”, dedicato proprio alla questione degli u. c.) , è a Campanara, dove gli attuali occupanti sono riusciti, come si diceva più sopra, a bloccare le vendita a privati in presunzione di demanialità civica, tra l’ altro suffragata da documenti che risalgono al XVIII secolo e stilati dal Granduca Leopoldo.
Il dato di fatto che vede le montagne spopolarsi quasi totalmente, costituisce però un grosso ostacolo nell’ affrontare la questione , ma se proviamo ad immaginare che potenziale può esserci dietro a questa pratica , che di fatto è di autogestione del territorio e delle diverse pratiche vitali, si può capire il perchè dell’ interesse di alcuni ( pochi purtroppo per la verità), nel volerli rivalutare, e la netta volontà di cancellare, o come minimo, celare, da parte delle istituzioni, che saggiamente dal loro punto di vista, individuano un serio pericolo alla loro indisturbata smania di controllo e gestione di ogni aspsetto della vita dei singoli e della società nel suo insieme.

Maurizio Zapparoli
(Campanara – Fi)

 

Ricordando Luca Cataluffi

Cari compagni,
vi scriviamo dopo aver letto l’ultimo numero di A-rivista (il 353), per comunicarvi qualche perplessità che ci ha suscitato la collocazione del testo di Torre Maura Occupata.
Quando vi è stato mandato, purtroppo con ritardo, il nostro saluto a Luca, pubblicato subito dopo il compleanno dell’occupazione, Paolo rispose che l’avevate già ricevuto da Troglodita Tribe, con cui avevate in corso una collaborazione per un dossier vegan e che sarebbe stato inserito nel numero di maggio. Ora, due numeri dopo, trovandolo posizionato proprio all’interno di quel dossier ci sono venute spontanee delle osservazioni.
Nella pagina dedicatagli non vi è alcuna premessa che espliciti di trattarsi di un comunicato di Torre Maura, questo può indurre a varie interpretazioni. Può sembrare infatti, come è presentato, uno scritto a cura di Troglodita Tribe S.p.A.f come partecipante all’iniziativa, mentre di Torre Maura appare la firma nel riquadro della dedica come se fossero parti separate e non una stesura unica.
Sarebbe stato opportuno da parte di Troglodita Tribe (di cui abbiamo forse avuto occasionale conoscenza, ma al momento ce ne sfugge il ricordo circostanziale), inserire una nota introduttiva che specificasse il fatto che quello fosse un comunicato della nostra realtà e il motivo della scelta di inserirlo proprio all’interno del dossier vegan.
Torre Maura ha un suo percorso specifico riguardo la liberazione animale irrinunciabilmente connesso a quello più ampio di liberazione generalizzata dal dominio e da ogni forma di sfruttamento, non riassumibile in poche righe e non semplificabile in un generico “sentimento” animalista convogliante in un unico fronte vegan.
Se la collocazione all’interno del dossier è stata stimolata da una sentita vicinanza alle idee espresse nei vari scritti diffusi nel tempo da TMO in merito a liberazione animale, vivisezione, biotecnologie e nocività varie, per noi strettamente correlate, avremmo preferito che fosse esplicitato, altrimenti risulta equivocabile o comunque non immediatamente comprensibile il motivo della presenza del nostro testo in quell’ambito specifico. Infatti, se in questo modo potrebbe essere ulteriormente interpretabile come un articolo in collaborazione, non immediatamente riconducibile al suo preciso autore, al contrario sarebbe stato inequivocabile se posto integralmente nello spazio generale dei comunicati della rivista.
Teniamo a precisare che queste considerazioni ve le comunichiamo esclusivamente per amor di chiarezza e ovviamente senza alcun risentimento, ma con l’intento di ricordare che semplici accortezze, anche di forma, a volte possono evitare fraintendimenti.
Grazie in ogni caso per l’attenzione nei nostri confronti e per lo spazio che avete dedicato a Luca.
Saluti anarchici,.

Torre Maura Occupata
(Roma)

Le compagne e i compagni di Torre Maura Occupata hanno ragione. Per un errore solo nostro, è stato attribuito a Troglodita Tribe S.p.a.f. (Società per azioni felici) – che non ha alcuna responsabilità nell’errata attribuzione – e non a Torre Maura Occupata lo scritto “Una festa con il cuore infranto”. Ce ne scusiamo. Da “Sicilia libertaria” riprendiamo una foto di Luca insieme con l’anarchico ragusano Franco Leggio.

Luca Cataluffi e Franco Leggio

 

Abolire la guerra

Un maestro e grande amico di Emergency, Howard Zinn, importante storico, oppositore della guerra e militante per i diritti civili, è morto a Santa Monica il 27 gennaio 2010.
Nella Seconda guerra mondiale, una guerra reputata da tanti “giusta”, perché si proponeva di sconfiggere la mostruosità del fascismo, Howard Zinn si arruolò nella Air Force, partecipando così a operazioni di bombardamento aereo sull’Europa.
“Solo dopo la fine della guerra cominciai a mettere in discussione la purezza di quella crociata morale. Sganciando bombe da otto chilometri d’altezza non avevo mai visto esseri umani, non avevo mai udito le loro grida, non avevo mai scorto nessun bambino smembrato” scrisse Howard Zinn in una lettera del 2006 indirizzata a Gino Strada.
È facile per me condividere quelle autocritiche, farle mie, anche se ho avuto la fortuna di essere nato dopo, dopo quella guerra, ma prima di altre di minore impatto mediatico.
Howard si chiedeva se i governi di allora si preoccupassero più del fascismo o di mantenere i propri imperi e il proprio potere, e se fosse per questo che avevano priorità strategiche più importanti del bombardare le linee ferroviarie che portavano a Auschwitz.
Dei 6 milioni di ebrei divorati nei campi di sterminio, solo 60 mila furono salvati dalla guerra: l’uno per cento. E poi i Rom, Sinti, omosessuali, handicappati, oppositori politici. Tutti passeggeri di quelle linee ferroviarie che morivano dopo un cancello sovrastato da un’insegna beffarda.
Howard Zinn dice ancora “Certo, sono i governi che hanno il potere, che monopolizzano la ricchezza, che controllano l’informazione. Ma questo potere, per quanto irresistibile sia, è anche fragile. Dipende dalla remissività e dall’obbedienza della gente. Qualora questa obbedienza venisse meno, anche i poteri più forti – governi armati, ricche multinazionali – non potrebbero più continuare le loro guerre o i loro affari. Gli scioperi, i boicottaggi, la non cooperazione possono rendere inerme anche la più arrogante delle istituzioni.”
Come non essere d’accordo con queste riflessioni? Forse lo è anche il nostro governo, che difatti si sta già organizzando per far regredire ulteriormente la già limitatissima libertà d’informazione. Ma questa divagazione è fuori tema, mi allontana dalle mie riflessioni e porta a considerazioni molto più ampie, a domande senza risposta, non sull’esistenza di Dio, ma molto più terra terra, diremmo da queste parti. Per esempio: perché in questo periodo di crisi del debito pubblico che sembra aver distrutto la nostra economia, costringendo tutti i governi a imporre drastici tagli a pensioni, stipendi, sanità, istruzione e cultura, le sole spese militari sono quelle costanti se non in aumento?
Si salva, si fa per dire, lo stato ellenico, sospeso con un filo sul baratro della bancarotta. Infatti, il ministro della Difesa greco ha annunciato la necessità di un modesto ridimensionamento del budget per gli armamenti, da 6,8 a 6 miliardi. Solo che invece di sentirsi dire “bravi” sono giunte le proteste dei governi francese e tedesco: uno perché pretende che la Grecia confermi l’acquisto di sei navi da guerra della Dcns (al costo di 2,5 miliardi) e l’altro perché acquisti altri due sottomarini della Thyssen-Krupp (150 milioni). [fonte: Peacereporter]
Sembra assurdo, ma è la pura e torbida realtà: il popolo è dissanguato dai tagli allo stato sociale e dalla disoccupazione e il governo greco lima appena una spesa di per sé inutile e integralmente cancellabile dai capitoli di bilancio. Se solo il governo si occupasse di prendersi cura del popolo…
Ma pensiamo a noi, all’Italia, direbbero molti italiani, come se al di fuori di questo stivale di terra i problemi dei nostri simili non ci riguardassero. E così il nostro governo super efficiente, anche se un pochino razzista, sta approntando una manovra biennale da 25 miliardi di euro, che non dimenticherà di fare necessari e imprescindibili tagli alla spesa sociale.
Per la guerra, una qualsiasi, quelle in corso o che ci capiterà di fare, metteremo da parte 23 miliardi all’anno, perché non si sa mai.
Bisogna essere dichiaratamente anarchici per arrivare alla conclusione che lo Stato è un involucro burocratico che si occupa solo di gestire il potere, fregandosene dei bisogni del popolo?
Era giusto per fare una rima che De Andrè cantava che non esistono poteri buoni?
Sono troppe le domande che si rincorrono nella mia testa e che cercano di distogliermi dal ricordo di aver assistito a una conferenza di Howard Zinn, venuto a trovare il popolo di Emergency durante un incontro nazionale dei volontari.
Ma una risposta, una sola, ce l’ho: la guerra va abolita e basta. Non sarebbe la soluzione a tutti i mali, ma di certo un buon punto di partenza per pensare e sperimentare nuove forme di organizzazione sociale ed economie sostenibili.

Nicola Pisu
nicopisu@libero.it

 

Di anarchia e di religione, ancora

Sfogliando il n. 354 di “A” la mia attenzione è caduta sulla lettera di Andrea Babini (Qualche nota a ‘Noterelle’, pp. 95-96), la quale riprende il dibattito sul rapporto anarchia/religione innescato da una serie di contributi apparsi sul n. 352 (mi riferisco all’articolo di Francesco Berti su anarchismo ed ebraismo, ad uno mio sull’anarchismo religioso in generale, e alla lettera di Zelinda Carloni, a cui si richiama in particolare l’intervento di Babini). Poiché la mia collaborazione alle pagine di “A” è nata a partire dal desiderio di indagare le relazioni possibili tra anarchismo e religione, mi trovo sollecitato ad aggiungere ancora qualche parola sul tema.
Inizio esplicitando uno stato d’animo: provo una sobria soddisfazione nell’apprendere che questo argomento – di per sé estraneo a gran parte della tradizione anarchica – susciti delle passioni, muova delle domande. Ecco, proprio questo trovo interessante: che, ponendo domande, inviti a una ricerca in prima persona, senza offrire soluzioni preconfezionate, nella consapevolezza che nell’ambito del dibattito in cui ci troviamo (le pagine di “A”) nessun può accampare pretese o primogeniture in materia. Qui l’orizzontalità della discussione è d’obbligo: senza sminuire nomi e testimonianze del passato, c’è la coscienza che forse ora possiamo compiere i primi passi per delineare un rapporto inedito tra quell’esagerata idea di libertà – il pensiero e la pratica dell'anarchismo – e quella domanda di senso radicale racchiusa nell'idea stessa di religione (dico ‘radicale' perché tende alla radice stessa del vivere e del morire e perché si trova in-scritta proprio nelle viscere stesse della realtà).
Mi sembra che le lettere di Zelinda e Andrea enuncino il solo, possibile punto d'avvio: l'homo religiosus viene sempre prima di ogni istituzione religiosa. Se ciò e vero cronologicamente (l'uomo è più antico di qualsiasi religione antica), significa che siamo allora invitati a declinare tutto quanto il discorso sul piano schiettamente soggettivo e iniziare così il viaggio volto a risalire alla sorgente a cui hanno attinto le grandi figure religiose del passato, così come i primi uomini (entrambe le ipotesi avanzate da storici delle religioni e paleoantropologi sull'origine dell'esperienza religiosa le trovo rispondenti al mio interrogare: sia la consapevolezza della propria finitudine, da cui nascono i riti funerari, sia la contemplazione della volta celeste, da cui nasce il sentimento di un assoluto che abbraccia ogni cosa; unite insieme formano l'incontro del finito e dell'infinito).
A partire da ciò si può aprire una riflessione e una messa in gioco. Nelle due lettere si parla di ‘sacro', di ‘santo', di ‘Dio'. Sono tutti concetti che vanno indubbiamente rivisitati e rimeditati, consapevoli che c'è un lavoro da fare anche sul piano del linguaggio (come diceva un tale che di queste cose se ne intendeva: “i limiti del mio linguaggio, sono i limiti del mio mondo”), prestando attenzione ai rischi derivanti da un rilassamento della stessa tensione linguistica ed espressiva. Così come risulta ormai chiaro che non c'è incompatibilità (tutt'altro!) tra anticlericalismo (la critica del supposto potere delle varie caste sacerdotali) e visione religiosa, ugualmente dobbiamo essere disposti a mettere in discussione ogni altro concetto o valore proveniente dal campo religioso, ad esempio, riconoscere che non c'è neppure incompatibilità tra ateismo e spiritualità (in fondo, il buddhismo e altre correnti orientali mostrano la percorribilità di questa via).
Ecco, mi fermo qui, non perché non abbia altre cose da dire in merito, al contrario, è proprio perché un pensiero insegue l'altro, ritengo più utile una sosta, all'interno di un orizzonte così ampio. Spero solo che altre lettere intersechino le parole mie e di coloro che hanno avviato questa discussione sulle pagine di “A”. E chissà se si riuscirà in un futuro, magari non troppo lontano, a costruire l'opportunità per un confronto pubblico (laboratoriale, seminariale) e non solo cartaceo.

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Federico Battistutta
(Gropparello -Pc)

Pavia/rioccupato il barattolo

Il 29 maggio, a Pavia, il Centro Sociale Barattolo è stato
ri-occupato dopo lo sgombero del 4 maggio, per dare un segnale
alla giunta comunale, convinta di poter zittire il dissenso sociale
costruendo muri. Dopo aver guadagnato il diritto ad aprire il centro
alla cittadinanza solidale per svolgere un’assemblea, nonostante
l’assedio poliziesco e le continue minacce di azioni di forza,
lo stabile è stato nuovamente abbandonato. Ma il Barattolo
tornerà presto per continuare a autodeterminare il nostro futuro,
costruendo solidarietà, mutualismo, servizi e inclusione.
Per seguire gli sviluppi della situazione fare riferimento al sito
http://www.csabarattolo.org/.

 

 

 

I nostri fondi neri

Sottoscrizioni.
Daniele Ferro (Voghera – Pv) 20,00; Lucio Brunetti (Campobasso) 20,00; Tommaso Bressan (Forlì) ricordando Colin Ward, 30,00; Leonardo Muggeo (Canosa – Ba) saluti a Paolo e Aurora, 20,00; Carolina Tobia (Rennslaer – USA) ricordando Galileo Tobia, 280,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Amelia e Alfonso Failla, 500,00; Gianpiero Perlasco (Ivrea) 20,00; Roberto Nanetti (Settimo Torinese – To) 20,00; a/m Stefano Tasinato, anarchiche e anarchici padovani, ricordando Benaz, morto a Padova il 4 luglio 2005 davanti alla caserma di via Orsini, 50,00; Laura Cipolla (Casalmaiocco – Lo) 20,00; Furio Biagini (Lecce) 50,00; Roberto Solati (Chirignago – Ve) 30,00; Rinaldo Boggiani (Rovigo) 50,00; Michele Piccolrovazzi (Rovereto – Tn) 20,00; Stefano Malaspina (Gavi – Al) 10,00; Francesco Alfano (Milano) 20,00. Totale euro 1.140,00.

Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti specificato, trattasi di euro 100,00). Giancarlo Tecchio (Vicenza) 200,00; Roberto Chiacchiaro (Cinisello Balsamo – Mi); Mario Tenuta (Cosenza) 130,00. Totale euro 430,00.