Pare che sui media si parli sempre di meno della Russia. Su Euronews, come sulla BBC o la CNN, non c’è quasi niente riguardo al vasto territorio a est della Finlandia e a nord della Cina. In un certo senso si capisce perché: non ci sono grandi movimenti di protesta, scioperi, cambiamenti di governo – niente del genere. Ogni tanto sorgono problemi per le forniture di gas all’Europa, che comunque restano relativamente stabili. Il petrolio affluisce ai mercati mondiali, come pure i minerali e il legname. I ricchi oligarchi russi diventano ancora più ricchi (e traslocano a Londra), i poveri rimangono poveri (e per lo più tacciono). Sembrerebbe che Putin debba restare lo zar della Russia in eterno. Di tanto in tanto c’è un’esplosione e sui notiziari compaiono immagini delle vittime…
Ma è davvero giusto dire che laggiù non succede niente? È vero: al momento in Russia non ci sono grandi movimenti di massa e quelli che ci sono non fanno notizia. Ma bisogna guardare con più attenzione a quello che accade nel paese, perché sono in corso evoluzioni tanto gravi quanto importanti e che, fra l’altro, richiedono una solidarietà verso gli attivisti locali.
Il decennio di Putin
A dieci anni dall’ascesa al potere di Putin – e ovviamente nessuno deve farsi trarre in inganno dalla presidenza formale di Medvedev al momento – il paese è a una svolta particolare del proprio sviluppo. Le elezioni parlamentari sono sempre meno interessanti, perché esistono solo due partiti ufficiali che sostengono il governo e due di finta opposizione, uno dei quali è quello comunista, che però votano come viene loro detto di votare. Le elezioni presidenziali rivestono ancor meno interesse. Siccome l’interesse generale del pubblico scende ancora più in basso, sono state abolite le elezioni regionali: i responsabili locali sono nominati dal Cremlino, che senza dubbio sa quello che fa. L’opposizione politica è emarginata e pesantemente repressa. In pratica tutti gli osservatori affermano che oggi in Russia la politica è assente. È una cosa che semplicemente non esiste! Almeno così vogliono farci credere.
Già da qualche anno sono spariti i media relativamente indipendenti (anche se un altro grosso problema è l’autocensura dei mezzi di comunicazione e dei giornalisti), ma c’è ancora un mezzo che mantiene la propria posizione critica nei confronti del governo e ovviamente è Internet. Per il vasto pubblico, però, queste cose non esistono: alla maggioranza è somministrata una dieta rigida fatta di propaganda di Stato e di notizie ufficiali (o di cattive notizie), di serie televisive di poliziotti, di saghe familiari e di interminabili spettacoli di varietà. Le dittature non sono eventi che ci piovono dall’alto, sono riprodotte dalla gente che è stata condizionata in modo autoritario: quando le persone hanno paura, quando non ce la fanno più, cercano un conforto o preferiscono una vita “più facile” senza preoccuparsi delle conseguenze.
La brutale realtà della vita sociale in Russia oggi è anche fatta di violazioni delle libertà e dei diritti umani fondamentali, di uno sfruttamento capitalista sempre più esasperato in assenza di un’organizzazione sindacale di massa, di un’estrema brutalità poliziesca. A ciò si aggiunge la corruzione dilagante e l’inefficienza di un’amministrazione pubblica, che certe volte minaccia di paralizzare l’intero sistema e lo rende completamente ingestibile. È sempre più chiaro a tutti, anche ai burocrati, che il sistema è vulnerabilissimo. Per questo hanno paura…
In un certo senso le critiche anarchiche e di sinistra al regime sovietico e al capitalismo degli ultimi anni ottanta avevano già predetto questa situazione. All’epoca la maggioranza dei russi sembrava affascinata dall’idea di vivere in un sogno consumistico da Primo Mondo, ma gli scettici avvertivano che la Russia era destinata a diventare un paese capitalista, non come quelli dell’Europa occidentale o gli USA, ma come l’America Latina del periodo, con un enorme divario tra ricchi e poveri, uno sfruttamento sfrenato della forza lavoro e delle risorse naturali, con regimi politici autoritari e alla fine perfino con squadroni della morte. Bene, è ormai evidente che quegli ammonimenti erano del tutto logici. Abbiamo tutto questo e anche peggio… Ora abbiamo perfino gli squadroni della morte.
Burocrati ed estremisti
Due tratti importanti caratterizzano la Russia odierna e l’atmosfera generale che si respira negli ultimi tempi nella società. Sono una politica “contro l’estremismo” sempre più arbitraria (che spesso si traduce nei fatti in una prevenzione e spesso in una criminalizzazione dell’attivismo sociale in quanto tale) e l’emergere di un terrorismo neonazista. Il governo e i burocrati locali hanno una tale paura delle proteste sociali, da essere più che disposti a definire “estremista” qualsiasi attivismo sociale: è più facile vietare qualsiasi cosa, come si faceva nella vecchia Russia e nell’URSS. Quanto all’ascesa di movimenti violenti di destra (il vero “estremismo”), va detto che sono stati in gran parte allevati e cresciuti dal governo.
Vari anni fa i consiglieri del presidente se ne uscirono con un idea che giudicarono splendida: un “nazionalismo gestibile”! Una cosa che avrebbe distratto le masse dalle vere cause dei problemi sociali, incanalando le energie negative in modo da poterle manipolare. Mentre stava già giocando nel campo dei nazionalisti con la sua esasperata propaganda patriottica con idee grandiose sulla Grande Russia, il governo decise di sfruttare anche i movimenti nazionalisti. Nel 2005 si inventò una nuova ricorrenza per loro, il 4 Novembre, Giorno dell’Unità nazionale (in ricordo della vittoria sugli invasori polacchi nel XVII secolo: un evento proprio importante da celebrare!). Da allora questa data è stata attivamente utilizzata dai nazionalisti russi e dai nazisti dichiarati per sfilare in modo legale. Si costituì il DPNI, un movimento di destra contro le immigrazioni illegali, che per un certo periodo ebbe qualche successo, insieme ad altre organizzazioni xenofobe e dichiaratamente naziste. Ma con l’andar del tempo quei soggetti sono stati sempre meno disposti a seguire gli scenari del Cremlino e aspirano a svolgere un ruolo indipendente.
Morti non accidentali di antifascisti
La violenza su noti personaggi pubblici, giornalisti e attivisti per i diritti umani certe volte finiscono sulle prime pagine dei media internazionali. L’assassinio della giornalista Anna Politkovskaya nel 2006, dell’attivista per i diritti civili Natalya Estemirova nel 2009 e in precedenza di alcuni politici liberal sono stati grossi scandali (come il misterioso avvelenamento di Litvinenko a Londra, anche se in questo caso è difficile parlare di un dissidente). Più di recente, però, i volti degli attivisti uccisi sono diventati più giovani e se esaminiamo con attenzione i fatti riferiti (o no) dai media, noteremo alcune importanti differenze.
Negli ultimi tempi la Russia ha visto crescere un’ondata di violenza razzista dell’ultradestra, per un certo tempo favorita dal governo, che non ha saputo reagire al terrorismo nazista. È in crescita la violenza nazista, soprattutto rivolta contro gli immigrati e la gente di colore, ma anche contro gli antifascisti, gli anarchici e i progressisti. Negli ultimi tempi abbiamo anche assistito all’emergere dalla clandestinità di nazisti, che rappresentano una forza sempre più propensa al terrorismo.
Il 19 gennaio 2009 un noto avvocato, Stanislav Markelov, è stato ucciso con un colpo alla testa in pieno centro di Mosca, ed è stata colpita anche la giornalista Anastasia Baburova, che lo stava accompagnando e che tentava di fermare l’assassino. Il caso è diventato uno scandalo internazionale, perché Markelov era molto noto in quanto difensore di civili ceceni vittime della brutalità della polizia e dell’esercito, come di attivisti e di antifascisti. Era anch’egli un socialista e collaborava attivamente con gli anarchici. La Baburova non era solo una reporter di un giornale dell’opposizione, la Novaya Gazeta, ma era anche impegnata nel movimento anarchico e antifascista. Meno note al pubblico sono le uccisioni di altri attivisti, anarchici e antifascisti avvenute di recente e con modalità simili a quelle dell’assassinio di Markelov e Baburova.
Per un certo tempo la polizia ha finto di non notare il problema o ha sostenuto che c’era una sorta di strana guerra tra due subculture giovanili: gli skinhead nazisti e gli antifascisti. Ma la situazione è sfuggita di mano e alla fine si è dovuta ammettere ufficialmente l’esistenza di un terrorismo nazista in Russia. L’ultimo assassinato è stato un giudice che aveva condannato al carcere alcuni nazisti.
Nel giugno 2004 a San Pietroburgo, Nikolay Girenko, un militante per i diritti civili che aveva testimoniato come esperto contro alcuni aggressori razzisti, è stato assassinato da colpi sparati attraverso la porta della sua abitazione. Nel novembre 2005 Timur Kacharava, un giovane musicista e attivista dell’antifascismo, nel corso di un’azione “Cibo e non Bombe” è morto accoltellato da una dozzina di skinhead nazisti. Nell’aprile 2006, sempre a San Pietroburgo, i nazisti hanno sparato a uno studente senegalese, Samba Lanpsar, attivo in una ONG antirazzista. Nello stesso mese, a Mosca, un militante antifascista, Alexander Ryukhin, mentre si recava a un concerto antifascista, è stato aggredito e ucciso da una banda di nazisti armati di coltelli. In una aggressione simile, nel marzo 2008 a Mosca, ha perso la vita Alexey Krylov. Nel luglio 2007 ad Angarsk, in Siberia, un campo ecologista di protesta contro l’importazione di scorie radioattive in Russia, è stato attaccato da una banda di nazisti che agivano chiaramente per ordine non ufficiale delle autorità locali e della polizia: uno dei manifestanti, Ilya Borodayenko, è stato accoltellato a morte (tre anni dopo il caso non è ancora finito in tribunale, perché le indagini non sono state condotte in modo adeguato). Nell’ottobre 2008 a Mosca Fyodor Filatov, uno skinhead antinazista tra I principali organizzatori della resistenza antifascista, è stato accoltellato davanti all’ingresso del proprio appartamento. Uno altro antifascista moscovita, Ilya Dzhaparidze, attivo tra le tifoserie calcistiche, è stato ammazzato nello stesso modo nel luglio 2009. Nel gennaio 2009 sono caduti come ricordato Stanislav Markelov e Anastasia Baburova. In novembre le pallottole naziste hanno tolto la vita di Ivan Khutorskoy, uno dei leader dell’antifascismo di strada a Mosca.
Sono solo i casi di aggressioni conclusasi con la morte, mentre che ne sono tante che hanno provocato feriti (e ci sono casi di attentati dinamitardi a concerti e ad abitazioni di antifascisti). Secondo il rapporto pubblicato dal Centro Sova, circa il 22 per cento delle aggressioni naziste nel 2009 sono state ai danni di antifascisti. Le modalità degli assassini è la stessa delle uccisioni razziste: aggressioni di gruppo con molteplici coltellate letali o, più di recente, anche con l’uso di armi da fuoco.
Fino a oggi il movimento antifascista ha scelto di non uccidere i nazisti per rappresaglia. È forte una presa di posizione morale, una nobile decisione, ma nessuno può dire per quanto tempo potrà continuare (e ovviamente ci sono già casi di nazisti uccisi: un caso si è verificato a Odessa, in Ucraina, quando un antifascista, per difendersi da un’aggressione di una banda nazista ha accidentalmente ucciso uno degli aggressori. A quanto risulta anche in Ucraina cominciano a esserci problemi per l’aumento della violenza nazista, anche se con dimensioni più ridotte rispetto alla Russia).
Niente fughe
Con l’affermarsi del governo sempre più autoritario del presidente Putin dal 1999-2000 e l’emergere di nuovi problemi (il regime poliziesco e autoritario, la Guerra e i continui disordini in Cecenia e nel Caucaso, il terrorismo, l’aumento della xenofobia e la continua ascesa del movimento nazista in Russia) anche il movimento anarchico è cresciuto e si è rafforzato, in reazione a queste tendenze negative. In Russia gli anarchici in genere prendono parte alle lotte sociali insieme ad altri attivisti e progressisti. Inoltre, davanti al crescente nazionalismo, gli anarchici e gli antiautoritari rappresentano il nucleo forte del movimento antifascista e sono tra i più coerenti internazionalisti in un situazione in cui la sinistra è quasi del tutto assente nel paese.
(La particolarità della situazione sta nel fatto che in Russia non esiste affatto una sinistra forte. Ovviamente i partiti comunisti non si possono considerare di “sinistra” in vero senso: sono stalinisti, nazionalisti, estremamente autoritari e xenofobi. Ci sono alcuni gruppi di sinistra non stalinisti, ma in genere hanno dimensioni minori di quelli anarchici). Per questo non è un caso se gli anarchici e i nostri più stretti alleati sono tra le regolari vittime della violenza nazista. Ma il movimento anarchico e il più ampio movimento antifascista sono prevalentemente composti da giovani, in media tra i sedici e i venticinque anni. E le vittime del terrorismo nazista contro gli antifascisti sono drammaticamente giovani.
Sì, come in altri paesi, anche in Russia si discute se si debba combattere contro il fascismo o contro il capitalismo. C’è chi sostiene, in modo del tutto convinto (di solito davanti alla tastiera del computer) che dovremmo batterci prima di tutto contro il capitalismo, perché è lì la radice di tutti i mali. Sia pure, ma non va dimenticato che ci si batte contro il capitalismo e lo Stato nel pieno delle battaglie antifasciste. E non abbiamo troppa possibilità di scegliere se batterci o no contro il fascismo qui e ora e di decidere quale sia l’ordine di priorità delle nostre lotte.
In che direzione ci muoviamo?
Uno dei maggiori problemi per gli attivisti anarchici e progressisti resta sempre lo stesso: la maggior parte della gente, per tradizione, non crede all’azione “politica”, cioè collettiva, e alla possibilità di ottenere qualcosa con questo mezzo. In un certo senso è un’eredità di secoli di amministrazione di uno stato repressivo, che è passata attraverso l’epoca zarista e quella del regime comunista. Certe tradizioni sono ben dure a morire! Questa tendenza sembra sostenuta anche dalla progressiva frammentazione sociale del paese, in conseguenza delle riforme neoliberali.
Negli ultimi tempi, l’attivismo ha visto una ripresa lenta ma continua, davanti alla crescente repressione di Stato, alla corruzione straripante e alle pratiche sempre più selvagge del capitalismo. Aumenta la sfiducia verso il regime di Putin, che sempre di più assomiglia a un governo di stile sovietico, ma questa sfiducia lascia paralizzate molte persone, perché mancano idee e strumenti per cambiare. I movimenti sociali sono molto deboli, mancano forme consolidate e organizzazioni (sindacati o iniziative locali) che possano essere strumenti di azione civile. Negli ultimi mesi, però, abbiamo assistito a molte proteste rivolte esplicitamente contro il governo e le sue politiche, con la presenza di un numero più alto di manifestanti. Poiché le scelte del governo, l’impudenza dei burocrati, le violazioni all’ambiente, la brutalità della polizia, la violenza nazista diventano davvero insopportabili, più gente è convinta che si sia ormai toccato il fondo e che sia necessario fare qualcosa.
Comunque il clima in Russia è molto oppressivo nei confronti dell’attivismo sociale (e lo è ancor di più negli ultimi tempi). Oltre alla continua sorveglianza nei confronti degli attivisti da parte della polizia e dei servizi di sicurezza della FSB, oltre alle incursioni nelle sedi di organizzazioni politiche e sociali (perfino di ONG assolutamente rispettose della legge e pacifiche), ci sono rigide norme che limitano le manifestazioni e le proteste. Per esempio è pratica diffusa delle autorità vietare o rendere praticamente impossibile qualsiasi dimostrazione e certe volte perfino piccoli picchetti. In Russia si è tenuti ad informare le autorità con dieci giorni di anticipo se si vuole fare un corteo o una manifestazione (se non mi sbaglio, una norma del genere esisteva in Cile sotto Pinochet). In pratica, se non ai sensi di legge, le autorità possono perfino negare l’autorizzazione. In certi casi, anche se si ha il permesso, ciò non significa che il corteo non sia poi bloccato illegalmente e brutalmente dalla polizia. Per questo è resa difficile, se non impossibile, ogni manifestazione di piazza e ogni iniziativa pubblica spesso limitata in piccoli spazi circondati dalla polizia. Immaginatevi che un vostro compagno sia ucciso dalla polizia: aspettate dieci giorni per scendere in piazza?
Ma gli anarchici, con la pratica portata avanti negli ultimi anni di manifestazioni non autorizzate, si dimostrano talora più capaci del resto dell’opposizione, perché in sostanza non chiedono il permesso e hanno la possibilità di programmare ed effettuare le proprie azioni nonostante la polizia. Può ancora esserci uno spazio d’azione molto limitato: è possibile fare manifestazioni molto rapide, perché è sicuro che quasi subito, appena avranno saputo dell’iniziativa, si presenteranno forze di polizia in numero schiacciante. Ma così, almeno, si può fare qualcosa di abbastanza visibile e talvolta in un modo abbastanza efficace. In varie occasioni gli anarchici di Mosca e di San Pietroburgo sono riusciti a fare manifestazioni di questo genere, bloccando il traffico nelle vie del centro (per esempio nel corso della campagna contro la violenza poliziesca e nelle proteste per l’uccisione di compagni da parte dei nazisti). È anche in aumento la pratica di scontro con la polizia, se questa cerca di impedire o limitare le assemblee legali (come nel caso della manifestazione antifascista del 19 gennaio 2010). Così, da questo punto di vista, sia pure non senza problemi, si sviluppano le attività di piazza degli anarchici, che riescono in questo modo a costruire una propria cultura della protesta.
Uno scrittore russo una volta ha detto: “Ci sono due grandi sciagure in Russia: il potere del male in basso e il male del potere in alto.” Già nel 1886 faceva così riferimento al duplice problema dello Stato autoritario e dell’assenza di ragione e di coscienza civile tra il popolo. È una frase di valore universale, che si poteva pronunciare nel 1916, nel 1936 o nel 2006: abbiamo ancora lo stesso e identico problema: in alcuni periodi sembra sparire, ma si ripresenta in continuazione. E non abbiamo altra scelta se non quella di combattere contro questo stato di cose.
In ogni modo, in queste lotte sarebbe bene sapere e sentire che non combattiamo da soli e che la solidarietà internazionale è ancora uno strumento potente. Come dimostra l’esperienza, i burocrati russi si preoccupano ancora della propria reputazione internazionale e quindi possono essere piuttosto efficaci le azioni di solidarietà davanti alle ambasciate russe (come altre forme di protesta e di solidarietà). Purtroppo, la situazione in Russia non rende così evidente il fatto che presto saranno necessarie azioni del genere.