595 km possono rappresentare un divario incolmabile. 595 km geograficamente sono un’inezia, poco più di sei ore di automobile, un’ora scarsa di aereo. 595 km sono come un muro invalicabile che separa due concezioni umane, così distanti fra loro, da determinare una distanza abissale.
L’Italia è diventata un paese estremamente razzista. Il razzismo si è così radicato da aver creato una nazione paranoide. I Rom, soprattutto, sono considerati alla stregua del male supremo. Sono loro che minano la sicurezza dei normali cittadini, in una strana concezione di normalità. La cosa forse più terribile è che questo paese, ormai in caduta libera e culturalmente azzerato non comprende quanto, il loro razzismo e la loro ignoranza, siano fomentati e usati strumentalmente dai partiti “liberali” al governo, in primis la lega nord. La caccia alle streghe fu perpetrata nei momenti più bui della nostra civiltà, ma non si può non constatare di quanto sia estremamente funzionale in una nazione di stupidi come questa. Il clima è ormai esasperato. Ho negli occhi ancora le scene degli
scontri di Milano, dove coraggiosi celerini pestavano un gruppo di pericolosi facinorosi: la maggior parte erano donne e bambini del campo di via Triboniano.
Il problema Rom è stato creato dalle televisioni di Berlusconi in campagna elettorale per vincere le elezioni. Per mesi i media hanno bombardato la popolazione creando il problema della sicurezza definendoli ladri, assassini, stupratori. Non solo. A questo va aggiunto che a tutti gli effetti le autorità non considerano i romanì come persone portatori di diritti costituzionali, ma ne permettono lo sfruttamento nell’agricoltura, nell’edilizia e la ghettizzazione in campi, che poi ordineranno di sgomberare, dove mancano i servizi essenziali, senza cercare il minimo dialogo. Gli unici interventi che queste menti illuminate riescono a concepire sono operazioni come la schedatura e l’allontanamento: ci avevano già pensato, e con più successo, Hitler e Mussolini.
595 km separano il varesotto, la roccaforte della lega nord, da Sainte-Marie-de-la-Mere, Provenza, Francia. Lì ogni anno le
comunità Rom, Sinti, Gitani, Kalè, Manouches, o, come le definiscono i francesi, le gens du voyage, si riuniscono per celebrare Santa Sara, loro patrona.
Trionfo di colori
La leggenda narra che poco dopo la crocifissione di Gesù, per salvarsi dalla persecuzione, Maria Salomè, Maria Jacobè con la loro serva nera Sara, Maria Maddalena, Marta e Lazzaro fuggirono su una barca priva di remi e vele approdando miracolosamente sulle rive della città provenzale. Il culto delle due Marie e di Sara, rimaste nella città dove erano sbarcate, nacque poco dopo la loro morte, ma solo nel 1484 re Enrico ne consacrò il culto. La Chiesa non ha mai riconosciuto Sara come santa, ma le genti del viaggio si dimostrarono da subito devote, forse per le sue umili origini, forse perché con la pelle scura come alcuni di loro. Forse perché anche lei fu una perseguitata e fu costretta a viaggiare, senza una meta per poter sopravvivere. Il culto è così radicato che una tradizione vuole che Sara sia Rom. Ironia della sorte fu proprio un italiano, il marchese Folco de Baroncelli, a battersi, contro l’arcivescovo, perché i romanì potessero esprimere liberamente il loro culto e le loro tradizioni. Il 24 maggio la statua di Santa Sara viene calata dall’alto e portata in processione fino al mare, dove viene bagnata. Il giorno seguente lo stesso rito tocca alla statua delle due Marie.
Per la gens du voyage queste due celebrazioni sono importantissime. Nella cittadina provenzale di riversano a partire dal 24 maggio all’incirca 10.000 persone appartenenti alle varie etnie. Senza poi contare i turisti, molto numerosi. Sono nella chiesa dove sono custodite le reliquie delle Sante e le statue della processione. Guardo gli ex voto, vicino a un crocifisso, nella cripta, sono appesi un violino e una chitarra. Sorrido. La chiesa è gremita di nomadi e turisti, non c’è posto per tutti e molti sono fuori. Inizia la messa e sono ancora lì. Ascolto il prete per un poco, distrattamente. Si rivolge subito ai Rom e Sinti provenienti dall’Italia. Gli fa coraggio e li invita a trasferirsi altrove perché la situazione è degenerata e pericolosa. Mi vergogno profondamente ed esco.
Inizialmente due sono i sensi più coinvolti: vista e udito. Ovunque è un trionfo di colori, dalle vesti dalle tinte variopinte ai fiori, alle stoffe colorate, ai panni stesi ad asciugare al sole. Mentre si passeggia per la città vari gruppi o artisti solitari suonano agli angoli o su palcoscenici improvvisati, tentando di vendere i loro cd autoprodotti. Le musiche sono le più disparate, a rimarcar la convinzione di un popolo realmente europeo: dai ritmi spagnoleggianti alla musica balcanica, tutto si confonde. Qua e là la gente balla a gruppetti, il clima è tranquillo, rilassato, sereno. È una festa, è la loro festa. In un parcheggio sterrato, nei pressi della chiesa, alcuni nomadi hanno organizzato un mercato: si trova di tutto, del resto, non ci si pensa, ma molti dei commercianti nei nostri mercati sono sinti e rom.
Conto in tutta la giornata tre poliziotti della gendarmerie, che per lo più deviavano il traffico e sei poliziotte municipali, che più che altro sfornano multe a chi aveva parcheggiato in divieto di sosta. Nessuno spiegamento di forze, nessuno sgombero, nessun problema. L’idea che ci si fa è che sia gente pacifica, per quanto si ostinino a farci credere, la violenza e la coercizione non sono caratteristiche dominanti.
Menzogna su menzogna
La sera la festa prosegue, fra birra, canti e balli. Nulla è organizzato, tutto è spontaneo.
Girovagando per la cittadina ci si imbatte negli ampi parcheggi gratuiti, in riva al mare, dove i nomadi (ma non solo) possono sistemarsi con tende, camper, roulotte, con allacciamento all’acqua e all’elettricità. Ce ne sono 7 in vari punti della città, più due campeggi, anch’essi pieni zeppi, più un altro parcheggio, forse più confortevole, a pagamento. Verrebbe da pensare che, in occasione della festa le autorità concedano questi parcheggi ma, una volta finite le celebrazioni, tutto debba essere sgomberato. Non è così. La legislazione francese prevede invece che ogni città con più di cinquemila abitanti debba avere obbligatoriamente delle aree destinate alla gens du voyage con particolari condizioni per la fornitura di acqua e corrente elettrica. In queste aree è prevista anche la presenza di un assistente sociale, per la domiciliazione della posta e per fornire assistenza nell’espletamento di pratiche burocratiche. Per chi decide di divenire stanziale le leggi francesi prevedono anche un programma immobiliare per fornire case in affitto o terreni per costituire nuclei famigliari semistanziali.
595 km separano la Milano bene dell’Expo, quella del falco De Corato, quella della promessa “Rom Zero” entro il 2015, l’Italia paranoide della lega e di Berlusconi, il castello di carte che si è creato menzogna su menzogna, razzismo su razzismo dalla realtà. Non esiste nessuna emergenza Rom, nessuna emergenza sicurezza in questo senso. Al contrario. Noi neghiamo i diritti, offendiamo la dignità di un popolo, nel nome di una favola che somiglia sempre più a un incubo.