...«Niente, io vado avanti così»... Semplicità sconcertante o pura attestazione di verità vissuta sulla propria pelle, inscritta nel corpo? Non solo l’una, né soltanto l’altra: intreccio di entrambe al cuore di un racconto. Ed è già politica.
Senza precondizioni di sorta se non l’ordine della parola, la perentorietà del desiderio e la mediazione relazionale, rispondendo al «che cosa si aspetta da questa lotta?» Patrizia D’Addario – l’escort più famosa al mondo – esprime così il senso del suo essere in conflitto con l’uomo che riveste la principale carica di governo, ritenuto per ciò l’uomo più potente d’Italia.
La domanda (le) viene posta nel mezzo dell’incontro con L’altra, conversazione privata in luogo pubblico, avvenuto a Lugano nel maggio scorso.
Da tempo maturavo l’idea di conoscerla parlarci direttamente. Ma volevo farlo in uno spazio fisico che fosse pubblico e aperto. L’intento è stato quello di coinvolgere le persone amiche che obiettavano sulla storia, di cui D’Addario è protagonista, definendola vicenda “gossippara”, del tutto privata da non tenere nel conto delle “operazioni” politiche di alto grado.
A me invece la storia ha sollecitato in tutt’altro senso. Lì ho contemplato valori alti della politica, proprio dove le obiezioni poste li negavano: nel cosiddetto “gossip”, nel privato dei corpi e nell’intimo dei sentimenti che animano, nelle relazioni d’amore che travalicano il giudizio moralistico delle pubbliche virtù.
In tutta signoria
A fronte dei tentativi da parte del potere (mediatico e generalizzante) di camuffarla, velarla con gli abiti che si addicono al suo impero, attraverso luoghi comuni, da quel potere stesso insistiti e fomentati – più ignoranti dell’altra che malevoli di per sé – c’è la donna Patrizia D’Addario che si muove in tutta signoria per esporre, autrice non vittimistica, la verità singolare della testimonianza, a partire dalla propria ‘sofferta’ esperienza.
L’occasione non manca, capita prima o poi se il desiderio resiste. Esce infatti Gradisca, Presidente, il libro dove Patrizia D’Addario racconta la sua vita prima e dopo la notte a Palazzo Grazioli. Credete di conoscere già tutto, di sapere già come sono andate le cose. Ma non avete ancora ascoltato lei, avverte il risvolto di copertina.
La cosa che preme (e mi determina a preparare l’incontro) sta, come ho detto, nel mostrare come la vita privata invade la vita pubblica determinandone le forme di partecipazione.
La politica delle donne lo afferma fin dai tempi del femminismo anni ’70 (il personale è politico), ma è nell’oggi post-patriarcale che tale risvolto produce una cultura in cui la vita privata risulta politicamente più rilevante di molti altri settori della vita sociale.
L’interlocuzione con lei assolve non un mio diritto, ma in parte assolve l’obbligo verso l’altra da me che, in quanto donna è, nel senso libero di tale differenza, anche l’altra di me. Il guadagno simbolico sta nel perdere le proprie certezze: accade uno spostamento di sguardo. È il caso di dire che si impara più dall’altro che dall’insistere su se stessi.
In tali scarti di spazio-tempo, immaginario e simbolico si intersecano in punto; l’orizzonte reale si amplia, si solleva nell’attimo stesso in cui quelli si comprimono.
Ho da ringraziare pertanto le obiezioni, i contrasti, le incomprensioni che mi spingono ad agire... mi danno energia (in tal caso a preparare l’incontro con la D’Addario, ma anche a intavolare una bella discussione dai toni accesi in qualsiasi momento), per facilitare nell’altro ancora quanto tento – fallendo miseramente – di teorizzare.
Che cosa resta? Resta la ricchezza di mistero d’oro puro di un desiderio che orienta, di verso in verso, verso l’innominabile essere-nulla di Dio.
I ringraziamenti che le devo sono riconoscimenti: di coraggio, di generosità, di signorilità per l’esporsi su storie tanto private da essere, in vero, intime. «A espormi non sono stata solo io, ma anche la mia famiglia, mia madre, mia figlia e le persone che mi sono vicine...», precisa Patrizia D’Addario, entrando subito nel merito delle cose, a sfatare nel contempo l’idea dell’eroina solitaria che sa di non essere.
Cinque movenze
Ad agirli in tempi di crisi, generosità coraggio e signorilità sono doni preziosi perché spiazzano il deprimente lamento di vivere il malessere sull’elettrizzante imprevisto che il presente apre.
Patrizia li mostra e li vive, non ha bisogno di nominarli. Mara la riconosce un’«erba di campo», io la ritrovo in cinque movenze.
Prima movenza: le dichiarazioni al “Corriere della Sera”. Il presidente, dopo aver mentito sul nemmeno conoscerla, la minaccia con diciotto anni di galera per non si sa qual reato commesso – forse di lesa maestà. Lei lo invita a un confronto pubblico su «le nostre vicende personali; le tecniche di conquista; il rapporto uomo-donna; sesso e potere».
Seconda movenza: l’intervista rilasciata a Ida Dominijanni sul Manifesto: Una pura finzione reale governa non solo la vita galante di Palazzo Grazioli, dimora privata del Capo del Consiglio, ma tutto l’apparato di potere su cui la politica viene confusa.
Terza movenza: ad Anno zero, Patrizia subisce il disprezzo di Belpietro che le urla: «Ma lei come li fa i soldi, come li fa, come li fa!?!?». Proprio da quel signore lì, velino giornalistico di un giornale di proprietà del primo ministro, da lui stipendiato in qualità (si fa per dire, ‘qualità’...) di direttore, arriva l’indignazione moralistica. Ammesso e non concesso che qualcuno abbia potuto vendere l’anima e il corpo, o soffra nel venderli, il Belpietro si trova in condizioni di ulteriore privilegio. Quello di non poter vendere il corpo, perché riesce difficile immaginarsi chi se lo comprerebbe. E l’anima? – come venderla se non la si ha?
Quarta movenza: per la casuale concomitanza all’aggressione subita dal Presidente con il lancio del duomo in miniatura, Patrizia D’Addario, impegnata per la presentazione del suo libro a Roma, la interrompe perché le sembra sconveniente, dato il momento, proseguire. «Sono contraria ad ogni forma di violenza», dice lei che di violenza ne ha subita, ne subisce tanta e nelle maniere più minacciose e logoranti.
Quinta movenza: il libro in cui si racconta e si pensa. C’è bisogno di narrazione: le narrazioni sono necessarie alla cultura e alla civiltà in qualsiasi tempo. A partire da sé, per fare opera di civiltà occorre avere relazioni civili. Raccontarsi, fare ordine nelle cose di cui si ha esperienza e nelle parole che risuonano, non è un desiderio verso la formattazione del monopolio mediatico; l’indipendenza simbolica non sta al già detto, al già fatto, al già visto...
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Patrizia D’Addario |
Profeti del presente
La realtà (si) arricchisce quando delude le aspettative. Credevo di trovarmi davanti una donna, fiera sì, ma almeno un po’ sofisticata, che tenesse al look della moda. Invece: semplice, autentica, abbellita in grazia di una verace piega sofferente. Si accompagna con il cugino che le fa da manager e si commuove quando parla di sua figlia e di suo padre.
Per essere puntuale all’impegno preso con me, manager ed escort hanno trascorso la notte in bianco viaggiando da Grosseto a Malpensa... Con me, che non abito a Palazzo Grazioli, rifuggo e non ho niente da offrire di quel mondo “lussuoso” che, spesso e a torto, le viene rinfacciato di frequentare “ambiziosamente”. Le cose non stanno così: attenzioni empatiche lascerebbero contemplare un qualche bagliore di verità nel cuore dell’altro. Verità che si dice nell’ordine del mistero.
Un’escort senza scorta – donna fragile e forte, intelligente e senza rete di protezione che la salvaguardi nel compiere il salto – dice no alle offerte di lavoro in televisione, nel cinema, nello spettacolo; rifiuta i soldi di una prestazione e quelli ingenti che le sarebbero potuti derivare dal suo silenzio, per affermare cosa? La verità delle cose nel disordine delle parole: ecce homo, ecce domina.
Se dico bene di questa donna, lo faccio non per proporla come modello da imitare per ciò che le capita di vivere. È la fedeltà a se stessa che intendo far emergere nel mio discorso intorno a lei. Costi quel che costi, essa mostra la fedeltà a se stessa nella propria singolarità inimitabile. Per la particolare economia vitale, i guadagni stanno nella spesa, prezzo e premio dello stesso agire. Come nell’amore che si accresce quanto più lo si spende.
Mara coglie il daimon di Patrizia nella ricerca di una «giustizia elementare», come la sostengono, inflessibili e memori, le creature bambine quando si sentono tradite con una promessa non mantenuta. E la promessa non mantenuta riguarda un aiuto, non da lei richiesto, ma da lui offerto su quanto per lei costituisce pena e forza di attraversarla, punto di determinazione su cui «andare avanti così»: riuscire finalmente a terminare i lavori di ristrutturazione della “casa rossa” – il residence che ha portato al suicidio del padre. Nonostante cinque permessi regolarmente ottenuti, i lavori restano al punto di partenza. Se la cosa non fosse vera, e per lei tragica, ci sarebbe da ridere a vedere un piccolo cantiere edile con tutte le carte in regola, da anni ancora, forse per sempre (?), cantiere fatiscente, nel paese dell’abusivismo e delle grandi opere che “l’emergenza, si dice, impone e dispone”...
Non è scontato riuscire o voler guardare nella breccia aperta grazie anche alla donna-moglie e alla donna-escort.
In controcanto al tono generale degli interventi posti durante la discussione con il pubblico, Mara fa notare come le categorie di analisi buone per interpretare un mondo ormai trascorso, la “crisi” ne è l’indice vuoto, non stanno all’altezza del presente. La rivista di pratica politica Via Dogana della libreria delle donne di Milano ha richiamato, fin dal titolo di un recente numero, alla necessità di Cambiare l’immaginario del cambiamento. Non si tratta di profetizzare sul futuro: occorre essere profeti del presente. L’attaccamento al bel tempo che fu per non soffrire lo smarrimento dei tempi diventa pericolosamente eversivo, come chiudere gli occhi a quel tanto o poco di buono che c’è diventa un caos infernale.
Il momento esige guardarci nella breccia post-patriarcale che, ancor meglio di aver messo a nudo il re di turno, ha svelato nel conflitto dei sessi – nel senso ampio del termine ‘sesso’, non quello socialmente predefinito di genere maschile femminile – il luogo reale e regale del potere.