La notizia che in Spagna era scoppiata la rivolta popolare contro il “golpe” di Franco fu come lo scoppio di una bomba, negli ambienti dell’emigrazione antifascista italiana a Parigi. Gli esuli, da anni costretti a lottare sulla difensiva, videro subito che in terra di Spagna si osava finalmente dire chiaramente no al fascismo, e si impugnavano le armi per impedirne il trionfo.
Mentre alcuni compagni partirono immediatamente per andare a combattere a Barcellona, molti altri si preparavano a partire e si riunivano frequentemente per decidere il da farsi. Ad un convegno appositamente indetto, di tutte le forze politiche antifasciste italiane a Parigi, sia Longo per i comunisti sia Buozzi per i socialisti dichiararono che i loro partiti erano disposti ad inviare aiuti sanitari e a dare un appoggio morale al popolo spagnolo, ma non erano d’accordo per un intervento armato. Il rappresentante dei repubblicani restò sulle generali, evitando qualsiasi impegno, per cui gli anarchici ed i “giellisti” (militanti del movimento Giustizia e Libertà) furono gli unici a sostenere la necessità di un’immediata partenza per la Spagna. E così fecero.
Il 18 agosto 1936, infatti, meno di un mese dopo l’insurrezione popolare (19 luglio), partì per il fronte d’Aragona un primo scaglione di antifascisti italiani, arruolatisi volontariamente nella sezione italiana della colonna Ascaso, organizzata e formata da militanti anarchici della FAI e anarcosindacalisti della CNT. La maggior parte di questi primi volontari italiani erano anarchici (un centinaio).
Altri anarchici italiani, giunti in Spagna successivamente, si aggregarono alla colonna Durruti (CNT-FAI), alla colonna Tierra y Libertad (CNT-FAI), alla colonna Ortiz (CNT-FAI) e ad altre formazioni. Secondo una stima documentata dai registri di arruolamento della sezione italiana, depositati presso la CNT-FAI, gli anarchici italiani combattenti in Spagna furono seicentocinquantatre.
Nei primissimi mesi dell’inizio della rivoluzione moltissimi compagni italiani furono trascinati da un entusiasmo rivoluzionario che li portò sempre in prima fila: è in questo periodo che morirono e rimasero feriti la maggior parte di essi. Molti compagni feriti ritornarono al fronte a combattere nuovamente. Questo, per esempio, è il caso del compagno Pio Turroni, che ferito una prima volta in ottobre ritornò dopo pochi mesi al fronte, dove rimase nuovamente ferito; rientrò quindi a Barcellona, dove fu commissario politico per gli italiani, nella caserma Spartacus.
Gli anarchici italiani mantennero sempre una posizione coerente, soprattutto di fronte alla controrivoluzione comunista, come nelle giornate del maggio ‘37 a Barcellona. Non è un caso che gli stalinisti in quei giorni assassinarono gli anarchici italiani Camillo Berneri (che redigeva a Barcellona il periodico in lingua italiana “Guerra di classe”) e Francesco Barbieri.
Anche di fronte al processo di militarizzazione la loro posizione intransigentemente rivoluzionaria fu espressa in modo pressoché unanime. Già il 10 ottobre prima, e il 13 novembre poi, stilarono rispettivamente due documenti in cui denunciavano il pericolo di involuzione controrivoluzionaria, se fosse passato, come poi passò, il processo di militarizzazione (documenti firmati, per la sezione italiana della colonna Ascaso, da Rabitti, Mioli, Buleghin, Petacchi, Puntoni, Serra, Segata). Anche se durante le tragiche giornate della controrivoluzione comunista essi si trovarono in disaccordo con la “dirigenza” della FAI e della CNT e nonostante avessero ormai compreso che le sorti della rivoluzione volgevano al peggio, essi continuarono a combattere e a morire.
Sono circa sessanta gli anarchici italiani morti in Spagna e centocinquanta i feriti, di cui molti morirono più tardi a causa delle privazioni sopportate nei campi di concentramento in Francia.