Nel marzo 1974, come preannunciato, la rivista cambia formato, adottando quello che la caratterizza anche oggi. In copertina (curiosamente senza alcuna scritta che spieghi di chi si tratta) campeggia Giovanni Marini, l’anarchico salernitano detenuto in attesa di giudizio, accusato di aver ucciso un giovane neofascista che l’avrebbe aggredito per strada per ragioni politiche. Il “caso Marini” rimase per lungo tempo ai primi posti dell’iniziativa pubblica del movimento anarchico, che rivendicò il diritto/dovere di difendersi dalla violenza fascista, richiamando i valori della Resistenza, e mettendo sotto accusa il sistema giudiziario e carcerario.
All’interno, nelle 28 pagine che per anni furono la normale foliazione di “A”, Luciano Lanza parla delle partecipazioni statali (l’IRI) e dei finanziamenti, Paolo Finzi del referendum, della situazione nei Paesi comunisti e traccia un profilo di Luigi Fabbri, Amedeo Bertolo dell’alibi dell’ecologia e della cogestione come potere sindacale, Roberto Ambrosoli delle minoranze etniche (le cosiddette “nazioni proibite”), Nico Berti di lavoro manuale e intellettuale. Chiudono il numero alcune recensioni di libri e riviste.
Quello che colpisce – analizzando il numero “dall’interno” – è che sia interamente scritto da 5 persone (maschi, tanto per cambiare), dei quali tre (milanesi) sono i redattori e due (da Torino e Treviso) sono collaboratori fissi fin dal primo numero. Lo constatiamo anche per segnare la profonda differenza con l’attuale mix della rivista, che spalmato su molte più pagine vede una presenza ridottissima, con propri scritti, della redazione e decine e decine di persone che su ogni numero, in vario modo, si esprimono. Merita di essere rilevato anche il fatto che mentre allora (e non solo in questo primo numero del nuovo formato che qui passiamo in rassegna) il 100% degli scritti era firmato (o siglato) da anarchici, anzi da militanti anarchici, anzi da militanti anarchici dei Gruppi Anarchici Federati (una delle varie organizzazioni anarchiche allora esistenti), oggi sulle pagine della nostra rivista sono pubblicati scritti non solo di anarchici dalle più varie collocazioni nel prisma anarchico, ma anche – e non pochi – di persone che non si definiscono tali, che a volte sono decisamente “altro”.
Certo, sono cambiati i tempi, è cambiato il ruolo della rivista, quelli che ancora stanno in redazione o collaborano hanno 37 anni di più, ecc. ecc. Ma, aldilà delle ragioni che possiamo cercare di identificare, questa mutazione genetica di “A” corrisponde – a nostro avviso – all’indispensabile maturazione di un movimento (o almeno di una buona parte di esso) che, pur sempre conscio della sostanziale validità del proprio patrimonio ideologico e storico, ritiene vitale lo scambio, l’osmosi, il “meticciamento” con tutte quelle persone, idee, pratiche di vita, di aggregazione e di lotta che si caratterizzano per una resistenza critica al modello sociale dominante e al pensiero unico.
Contrariamente a quanto accadeva nel marzo 1974, oggi sarebbe per noi inimmaginabile una rivista scritta da sole 5 persone, da 5 militanti anarchici “orientati”. Lo spazio pubblico di riflessione che da tempo è “A” esige ben altro.