Questo libro, che per me è un piacere presentare, appare utile perché ci indica, o ci conferma una volta di più, a quale punto sia giunto lo stato di avanzamento degli studi su una componente rilevante del movimento operaio italiano, il movimento anarchico.
Potrà sembrare inusuale iniziare la presentazione di un libro da considerazioni di ordine metodologico, e quindi specialistiche e per addetti ai lavori. Nondimeno questo mi pare il punto di vista euristicamente più interessante e ampio, quello che rende meglio l’interesse di questo studio nonché la sua importanza nel definirne i legami con i lavori che lo circondano e le prospettive che ne possono scaturire.
Vorrei partire, in queste mie brevi considerazioni, da una metafora coerente con la mia sempre coltivata, parallela, passione per la storia dell’arte. La storiografia del movimento anarchico, praticata per lungo tempo da molti studiosi con strumenti diversi, da angolazioni differenti, mossi da passione scientifica e sovente politica, è un affresco che ormai ha svelato in gran parte il suo complesso e articolato soggetto.
Alcuni studi di una fase pionieristica ormai lontana, di cui molti ricorderanno fra le caratteristiche principali i guizzi istintivi, gli spunti originali, la forte partecipazione da cui erano mossi, ebbero il merito di delimitare il perimetro dell’opera, di tratteggiarne il paesaggio, di delinearne il profilo e lo sfondo.
Per molto tempo il lavoro degli studiosi proseguì poi nel raffinare questo sfondo, nel definirne i contorni fino a renderlo preciso nei tratti e accogliente per i personaggi che avrebbe ospitato. Poi, per alcuni versi consapevolmente e per altri in modo irriflesso, alcuni anni fa si preparò un passaggio di fase da parte della quasi totalità degli studiosi che fino a quel momento avevano lavorato all’affresco.
Mancavano, è vero, alcuni dei pionieri e fra gli altri si avvertiva la mancanza di Pier Carlo Masini, che, da grande conoscitore del movimento libertario, aveva avuto un ruolo certamente centrale nell’indicare la strada da seguire e nell’ispirare l’opera.
Questo passaggio di fase, a testimonianza della sua fondamentale importanza, dopo alcuni momenti interlocutori e tentativi falliti, ebbe bisogno di alcuni anni per maturare, ma infine si realizzò. Quando oltre un centinaio di studiosi, appassionati, riuniti attorno ai principali centri studi del movimento anarchico e in stretto collegamento con alcune strutture universitarie, sostenendo uno sforzo collettivo e comune di oltre due anni, riuscirono a realizzare il Dizionario biografico degli anarchici italiani, si passò, sempre per rimanere nella nostra metafora, alla raffigurazione, sullo sfondo suggestivo ormai ben definito, dei personaggi fondamentali dell’affresco del movimento anarchico italiano.
Ho scritto diverse volte dell’importanza di ricostruire e sistematizzare le biografie di molti personaggi di primo piano e di tessere la trama delle loro relazioni attorno ai momenti centrali che avevano segnato l’evoluzione della storia a cui essi appartenevano; e di come il prodotto di questo intenso lavoro abbia permesso infine di riavviare un nuovo corso della storiografia del movimento anarchico.
Sono troppo modesti gli autori di questo studio quando definiscono il loro lavoro “complementare” a quello del Dizionario; poiché in realtà il loro lavoro, come altri incentrati su singole biografie che ho avuto modo di apprezzare in questo decennio ormai trascorso dall’avvio del progetto nazionale, in realtà non solo proseguono, ma danno un senso al Dizionario e alla ulteriore fase degli studi, tuttora aperta.
Una fase in cui fra lo sfondo, senza il quale i protagonisti avrebbero galleggiato nel vuoto, e i personaggi di primo piano stessi, è necessario impegnarsi collettivamente per inserire figure apparentemente meno rilevanti e di contorno, ma in realtà di importanza sostanziale per proseguire nell’affresco di un movimento così originale e sfaccettato come quello anarchico.
Se il dizionario indicava un metodo di ricerca, questo lavoro lo applica in modo efficace e così facendo permette di disegnare, attorno ai ventiquattro calabresi contenuti nell’opera precedente, il coro degli oltre cinquecento schedati quali anarchici nel periodo analizzato.
Il lavoro sistematico di scavo condotto dagli autori, inoltre, permette di connettere il ruolo dei primi ai secondi e, così facendo, di articolare i vari livelli di un movimento che, come più volte ripetuto e per definizione, sfuggendo a ogni rigida organizzazione, si incardinava su legami così flessibili e fragili da risultare impalpabili come sono i legami personali nella storia. E stabilendo questo nuovo livello di connessione, si riavvia una nuova tessitura di legami, relazioni, esperienze, luoghi che permette di disvelare una nuova porzione del movimento anarchico e, nel dettaglio, un nuovo paesaggio, quello di una regione originale come la Calabria.
Qui l’identità anarchica, come specie del più ampio genus del movimento operaio, si sviluppa in un contesto socioeconomico difficile, “arretrato” potremmo dire usando i consueti parametri interpretativi. Non a caso, molto più che altrove, ricostruire le singole biografie di “militanti” – quale complessità in un termine come questo, specialmente se ricondotto ad un territorio e ad una società come quelli esaminati – significa seguirle in un percorso di emigrazione che, più che altrove, è un percorso di ricerca di una vita dignitosa.
La spinta ribellistica originale del singolo, qui, non solamente è più “individuale” che altrove, per la mancanza di un contesto associativo di riferimento, ma è forse addirittura più ardua per la presenza, o la mancanza, di fragili articolazioni statali e per l’esistenza di organizzazioni ben più “illegali” dell’illegalismo anarchico e operaio.
La storia del movimento libertario si intreccia fortemente con i movimenti sociali, ma ancor più con la storia dell’emigrazione non legata a motivi politici ma a mere ragioni di sussistenza, e le cifre riportate al riguardo sono impressionanti.
È una considerazione interessante, anzi, quella che indica la politicizzazione del territorio e l’innesco di istanze rivendicative organizzate, associative e mutualistiche, proprio al ritorno degli “americani”, quale conseguenza indiretta dell’emigrazione. Quasi che quest’ultima sia un lungo, tortuoso e doloroso processo di formazione della rappresentanza degli interessi dei ceti subalterni condotto all’estero, sotto la minaccia di repressioni che parlano una lingua straniera, in Argentina o negli Stati Uniti.
Infine, questo libro, con l’inserire nell’affresco collettivo le biografie mancanti degli anarchici calabresi, non rappresenta una folla indistinta ma un insieme ben definito di singole persone; e, una volta ancora, testimonia delle molte vite condotte, contro ogni difficoltà opposta dagli uomini e dagli eventi, a riaffermare la propria individualità anarchica, il bisogno di tutelare da tutto un inestirpabile bisogno di giustizia e un’esistenza libertaria.
Maurizio Antonioli
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Katia Massara e Oscar Greco, curatori del dizionario
biografico degli anarchici calabresi |
Le schede biografiche
di alcuni esponenti anarchici calabresi
Trunzio, Carolina
Nasce a Cosenza il 9 luglio 1858 da Giuseppe e Anna Maria Lista, casalinga-commerciante. Nel 1863, all’età di cinque anni, perde i genitori durante un’epidemia di colera e viene allevata dalla famiglia di Tito Zanardelli, docente di lingue all’università di Bologna. Attorno al 1882 sposa a Londra l’anarchico Eugenio (detto Giovanni) Defendi e in seguito si lega a Errico Malatesta, dal quale avrà la figlia Giulia, anche lei successivamente schedata come anarchica così come il fratello Enrico. Le autorità italiane a Londra cominciano a interessarsi a T. ai primi del Novecento. Tutti i suoi spostamenti vengono attentamente monitorati da un confidente della polizia che, nei rapporti trasmessi quasi quotidianamente, si firma “Virgilio”. Alla fine di ottobre del 1907 T. parte per Parigi assieme alla figlia per incontrarsi – pare – con alcuni compagni di fede. Il suo sarà un viaggio lungo, durante il quale, almeno in un’occasione, viene accompagnata personalmente da Malatesta. La destinazione finale è Bologna. Zanardelli, che avrebbe ospitato le due donne, sarebbe stato all’oscuro del fatto che T. e la figlia si erano recate in città allo scopo di prendere contatti con i compagni di fede italiani per organizzare un complotto. Il 4 novembre 1907 il prefetto di Bologna nota che il viaggio di T., compiuto senza una ragione plausibile, «desta sospetto ed apprensione. Perciò è necessario seguire le mosse di detta donna e scoprirne gli intendimenti». Lo stesso prefetto, dopo qualche giorno, riferisce che T. non era ancora arrivata in casa Zanardelli. Nonostante ciò, il 14 successivo il confidente scrive: «La Defendi è venuta a Bologna e poi verrà a Roma. Andrà dal Fabbri. Così ha scritto ai suoi. Pare che il viaggio a Roma sia stato giudicato necessario, anche perché Malatesta avrebbe avuto replicati inviti a farsi vedere costà… pare che si sia messa con impegno alla bisogna e che Malatesta stia risolvendo se o no debba venire. Da quanto so, la sua venuta dipenderà da quello che dirà la Defendi». Il 18 novembre il Ministero conferma che T. è a Bologna: da lì sono pervenute a Londra due sue lettere. Non si capisce però se è ospitata da Zanardelli, o se si faccia solo recapitare la corrispondenza in casa del padre adottivo. In dicembre, comunque, è a Roma e alla fine del mese o ai primi del gennaio 1908 torna in Inghilterra. Negli anni successivi il suo comportamento politico non preoccupa eccessivamente le autorità italiane. Affetta da grave malattia, nel 1915 viene ricoverata per qualche tempo nell’ospedale italiano a Londra e nell’estate dello stesso anno in una casa di salute per alienati. Muore nella capitale inglese il 17 marzo 1919.
Fonti: Acs, Cpc, b. 5234, f. 109476, cc. 54, 1906-1910, 1915 e 1919.
Bibliografia: DBAI, ad vocem e I p. 498; Massara 2003, p. 73; Ead. 2007, pp. 283n e 290-291; R. Giulianelli (a cura di), Luigi Fabbri, cit., pp. 59-60n.
Zanolli, Pia
Nasce a Belluno il 21 ottobre 1896 da Enrico e Antonietta Recati, sarta-casalinga. Iscritta nell’elenco dei sovversivi pericolosi da arrestare in determinate contingenze della provincia di Reggio Calabria in quanto moglie del famigerato anarchico Bruno Misefari, assieme al quale era stata arrestata a Domodossola (VB) nel dicembre 1919, nel 1932 si trasferisce a Ponza per raggiungere il marito, mandato al confino politico in quella colonia. Si ignorano luogo e data di morte.
Fonti: Acs, S13A, b. 11, f. 64 RC, 1929-1932.
Bibliografia: DBAI, II, pp. 191-192; Massara 2007, pp. 283n e 289.
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Florindo e Bruno Misefari |
Misefari, Bruno Vincenzo Francesco Attilio
Nasce a Palizzi (Rc) il 17 gennaio 1892 da Carmelo e Francesca Autelitano, ingegnere minerario-direttore di una fabbrica di vetro. Fratello degli anarchici Enzo e Florindo e studente all’istituto tecnico di Reggio Calabria, da ragazzo M. si iscrive alla sezione giovanile socialista del suo paese e collabora al giornale «Il lavoratore».
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Florindo Misefari studente |
Nell’ottobre 1911, durante il conflitto italo-turco, viene denunciato e condannato dal Tribunale di Reggio Calabria – con sentenza del 5 marzo 1912 – a due mesi e mezzo di reclusione per avere pubblicamente istigato alla disobbedienza distribuendo manifestini antimilitaristi ai coscritti della classe 1891; la sentenza viene confermata in appello, con la sospensione dell’esecuzione della pena per cinque anni. Il 20 settembre 1914 gli anarchici di Ancona, con i quali M. è in costante contatto, gli fanno pervenire alcune stampe antimilitariste, prontamente sequestrate dalla polizia nell’ufficio postale; in tale periodo, inoltre, mantiene rapporti di amicizia anche con Renato Siglich. La sorveglianza nei suoi confronti si intensifica. La sera del 5 marzo 1916 partecipa a una manifestazione socialista e, indossando la divisa militare, tiene un discorso pubblico contro la guerra e il militarismo; il giorno dopo diserta. Il 31 marzo successivo viene arrestato mentre tenta di varcare il confine sotto il falso nome di Diego De Tommasi ed è condotto subito a Napoli a disposizione del Tribunale militare. Rientrato nel deposito fanteria di Benevento, ottenendo in tal modo la sospensione del procedimento penale a suo carico, il 25 agosto dello stesso anno abbandona nuovamente l’esercito, venendo immediatamente segnalato nel “Bollettino delle ricerche” e individuato in Svizzera, a Zurigo – dove viveva sotto il falso nome di Furio Sbarnemi – solo nel settembre 1917. Entrato a far parte del locale circolo anarchico riunito intorno alla libreria internazionale, M. pubblica sul giornale «Il Risveglio» di Ginevra un articolo dal titolo La situazione in Italia, in cui descrive la triste condizione politica e sociale del paese. Sospettato di essere un agente della propaganda bolscevica ed indicato come acerrimo nemico politico di Francesco Misiano (con il quale in realtà M. intratteneva rapporti di amicizia), nella primavera del 1918 viene arrestato dalla polizia federale, assieme a Luigi Bertoni, Carlo Castagna, Ugo Fedeli, Francesco Ghezzi, Giuseppe Monanni e altri compagni italiani, in seguito alla scoperta di un presunto complotto anarchico e nel dicembre di quell’anno viene espulso dalla Svizzera con l’accusa di essere un agente di Lenin. Rifugiatosi dapprima in Germania (a Berlino sarà in contatto anche con il compagno napoletano Oreste Abbate), nel novembre 1919 viene fermato e trattenuto a Domodossola mentre tentava di rientrare in Italia. L’11 dicembre successivo il deputato Francesco Misiano invia al Ministero dell’Interno il seguente telegramma: «Risultami disertore Bruno Misefari arbitrariamente fine novembre arrestato frontiera mentre tornava in Italia a seguito amnistia. Tuttora egli viene trattenuto arresto Domodossola, prego disporre cessazione arbitrio autorità locali». Rilasciato dopo alcuni giorni, M. fa quindi ritorno a Reggio Calabria e continua a svolgere propaganda politica attraverso conferenze e comizi – oltre che nella sua regione – anche in Puglia e in Campania. Nel 1921 difende Giuseppe Imondi dall’accusa di spionaggio dopo uno duro scontro con i comunisti bordighiani campani; a causa di questo contrasto, assieme a Imondi e alla compagna di questi, Maria Berardi, sarà allontanato dalla Camera del lavoro di Napoli. Nel febbraio 1922, ad esempio, assieme a Roberto Elia lancia un appello per la pubblicazione del giornale «Pane e libertà», che avrebbe dovuto diffondere l’ideale anarchico in Calabria, servendosi anche di scritti in dialetto, ma il progetto non va in porto per mancanza di finanziamenti. Laureatosi in ingegneria, nel dicembre 1924 inizia la pubblicazione del quindicinale anarchico «L’amico del popolo», del quale era direttore e al quale collabora anche il compagno di fede e amico Antonio Malara.
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Bruno Misefari a Ponza |
La sorveglianza nei suoi confronti è strettissima, soprattutto dopo la promulgazione delle leggi eccezionali. Nel dicembre 1926 viene diffidato e invitato ad astenersi da qualsiasi attività politica diretta a sovvertire gli ordinamenti nazionali, ma egli continua invece a professare le proprie idee e a mantenersi in contatto con i gruppi libertari svizzeri che facevano capo a Bertoni; in tale periodo viene anche incluso nell’elenco delle persone pericolose da arrestare in determinate contingenze. Nel frattempo dirige una fabbrica vetraria a Villa San Giovanni (Rc) insieme all’ex deputato del partito popolare Nicola Siles e comincia a dedicarsi all’utilizzo delle risorse di silice, senza tuttavia mai tralasciare l’impegno politico. Il 20 marzo 1931, durante i funerali di un suo amico, l’industriale Giuseppe Zagarella, M. pronuncia un discorso nel quale, esaltando le doti di umanità e generosità del defunto, descrive per contrasto la società del tempo come un luogo di violenza, corruzione ed ingiustizia, «una landa deserta, in cui larve di uomini non uomini, armati di veleni e di pugnali, di corruzioni e di tradimenti, s’inseguono e s’accapigliano, si straziano e si uccidono tra loro: bolgia infernale di fango e di sangue, echeggiante degli urli felini dei vincitori e dei rantoli dei vinti, dei pianti dei bimbi, dei lamenti delle madri e dei singhiozzi dei vecchi». La polizia ravvisa nel discorso una ispirazione anarchica, per cui il 25 successivo M. viene arrestato e assegnato al confino per due anni dalla Cp di Reggio Calabria con ordinanza del 14 aprile. Destinato a Ponza, il 28 maggio sposa con rito civile Pia Zanolli, la compagna che gli è accanto dai tempi del periodo ginevrino. Il 16 aprile 1932 la C di A respinge il ricorso con il quale M. aveva provato a spiegare le cause reali del provvedimento, determinato a suo parere dall’intenzione di escluderlo dal consiglio di amministrazione della “Società vetraria calabrese”, di cui era stato presidente il defunto Zagarella; il 12 novembre successivo viene liberato nella ricorrenza del decennale. Trasferitosi a Davoli (Cz), continua a incontrare ancora numerosi ostacoli alla realizzazione dei propri progetti nel settore dell’industria estrattiva. Muore a Roma, in seguito a una grave malattia, il 12 giugno 1936. Alla moglie non è consentito che sulla lapide venga riportata la seguente iscrizione, composta dallo stesso M.: «É la profonda notte assai men grave del dì ch’a me mostrò viltà di forti e pecorilità di plebi schiave. Lungi il pianto da qui: sto ben coi morti».
Fonti: Acs, Cp, b. 676, cc. 253, 1931-1933; Cpc, b. 3313, f. 89050, cc. 638 più una copia del giornale «La libertà» del 21 dicembre 1933, 1910-1937; S13A, b. 11, f. 65 RC, 1929-1930 e 1933.
Bibliografia: DBAI, ad vocem e I, pp. 3, 162 e 549, II pp. 4, 56, 234, 437, 551 e 561; ; «Umanità Nova» del 21 giugno 1953, 26 luglio 1959, 1° giugno 1961, 1°, 22 e 29 giugno 1986 Carbone 1989, ad vocem; Massara 2003, pp. 69-70, 82-83 e 85.
Converti, Nicolantonio
Nasce a Roseto Capo Spulico (Cs) il 18 marzo 1855 (o il 16 marzo 1858) da Leonardo e Isabella Allotta (o Elisabetta Aletta), medico. A diciotto anni, conseguita la licenza liceale, si iscrive all’università a Napoli, dove frequenta le lezioni di filosofia del diritto di Giovanni Bovio, che gli danno modo di approfondire i propri principi anarco-socialisti. Sempre a Napoli conosce Francesco Saverio Merlino (con il quale, assieme a Giovanni Domanico, Luigi Felicò e Giuseppe Sarno dà vita a una serie di pubblicazioni, tra cui il periodico «Il Movimento Sociale») e inizia una corrispondenza con Giuseppe De Felice Giuffrida, divenendo un elemento di spicco dell’Internazionale. Nel 1881 viene ammonito dal pretore di Amendolara (Cs) in quanto internazionalista. Quando nel 1885 si trasferisce a Firenze per continuare gli studi, intensifica la propria attività politica. Condannato in contumacia a venti mesi di reclusione per reato di stampa, si imbarca clandestinamente a Livorno per Bastia per sfuggire alla polizia, spostandosi poi a Nizza e a Marsiglia. Infine si trasferisce a Parigi e poi a Tunisi, dove consegue la laurea in medicina. Intanto il Tribunale di Palermo, con sentenza del 29 novembre 1890, lo condanna in contumacia a tre mesi di detenzione e a 100 lire di multa per reato di stampa, avendo diffuso un suo famoso libello di carattere anarchico. Amico di Andrea Costa e autore di alcune monografie (tra le quali spicca Repubblica ed anarchia, che costituisce il suo più notevole contributo teorico) e numerosi scritti pubblicati su diverse testate libertarie tra cui «Il Masaniello», C. dirige per qualche tempo il foglio «Il Piccone» – di cui diviene per qualche tempo, assieme a Gaetano Combatti-Lentini e Pasquale Pensa, il principale redattore – ed è inoltre fondatore dei giornali «La Protesta Umana», «L’Operaio» (definito l’organo degli anarchici di Tunisi e della Sicilia) e «L’International anarchiste», il cui primo numero esce il 16 ottobre 1886 e che affronta in particolare la critica del sistema repubblicano; inoltre, assieme a Gaetano Grassi, assume la guida del periodico «Lo Schiavo» di Nizza. L’impegno speculativo, del resto, non lo allontana dalla militanza attiva: nel 1896, assieme ai compagni di fede Alberto Giannitrapani e Giuseppe Patti organizza la fuga dalla colonia di Favignana (TP) di alcuni coatti tra cui Giovanni Bergamasco, Olinto Fibbi, Galileo Palla e Francesco Pezzi. Il 16 aprile 1913 torna a Roseto e, destando grande sensazione nell’ambiente anarchico, si candida, proponendo un programma anarco-comunista, nel collegio di Cassano Jonio, tenendo anche, il 1° maggio di quell’anno, una conferenza in occasione della festa dei lavoratori. Rientrato in Africa, sembra dedicarsi completamente alla famiglia e alla professione. È tra i fondatori di alcune associazioni di soccorso come la “Croce verde” e di assistenza medica e dell’ospedale italiano di Tunisi “G. Garibaldi”, dove presta servizio come medico notturno e a condizioni molto modeste e dal cui direttore è considerato un idealista non pericoloso. In realtà, è C. è un protagonista di primo piano della colonia anarchica di Tunisi e intrattiene rapporti strettissimi con compagni considerati invece pericolosissimi, come Antonino Azzaretti, Luigi Damiani e Gino Bibbi. Il 17 dicembre 1931 scrive un articolo su «La Voce Nuova» di Tunisi per commemorare il compianto Luigi Galleani. Intanto, con note del 25 marzo 1931 e del 4 febbraio 1932 il console italiano lo segnala come anarchico militante e irriducibile nelle sue idee rivoluzionarie. Infatti, pur mantenendosi apparentemente appartato, C. è sempre in relazione con noti libertari e antifascisti di Tunisi, con i dirigenti francesi della massoneria, del Partito socialista (Sfio) e della Lidu, oltre ad essere in corrispondenza con altri sovversivi dimoranti in Francia e in America, tra i quali il famoso anarchico Paolo Schicchi. Al loro arrivo a Tunisi, ad esempio, si reca a salutare i noti Léon Jonhaux e Bruno Buozzi, con il quale ha avuto frequenti contatti. In un dispaccio telegrafico del 12 gennaio 1933 viene comunicato a tutti i prefetti del Regno che l’anarchico militante C. si sarebbe probabilmente recato in Italia munito di regolare passaporto con incarichi non precisati; che egli, inoltre, sarebbe stato finanziato da organizzazioni anarchiche di Parigi e che, pertanto, dovevano essere disposte attente misure di vigilanza. Il 9 giugno dello stesso anno viene segnalato che il figlio Ernesto, anch’egli di sentimenti anarchici e iscritto alla Lidu, che ha pubblicato un articolo dal titolo Tribuna libera sul giornale «La Voce Nuova»; un altro figlio di nome Gustavo Florian era in rapporti di amicizia con Bibbi. Il 12 gennaio 1934 C. interviene, proprio assieme a Bibbi, Vella e molti altri, ai funerali dell’antifascista siciliano Erminio Grassi svoltisi a Tunisi. Nel settembre 1935 fonda, assieme a Damiani, Antonino Casubolo e Vincenzo Mazzone, il settimanale anarchico in lingua italiana «Il Domani» e – sempre in quei giorni – commemora il compagno Metello Evangelisti – deceduto il 25 agosto – con una vera e propria apologia dei principi anarchici. Il 14 agosto, malgrado l’età, partecipa alla manifestazione al Gametta Park in favore del Fronte popolare spagnolo, prendendo la parola e dichiarando di avere fiducia in un avvenire migliore per una umanità rigenerata e più fraterna. Nel 1938 è segnalato ancora da Tunisi, dove ha costituito un importante centro di propaganda libertaria e dove continua a manifestare idee sovversive. Muore nella capitale tunisina il 14 settembre 1939. Al suo funerale intervengono tutti gli anarchici della città, una rappresentanza della Lidu e un gruppo di noti antifascisti.
Fonti: Acs, Cpc, b. 1460, f. 48613, cc. 89, 1894, 1913 e 1928-1939.
Bibliografia: DBAI, ad vocem e I pp. 17, 62, 98, 181, 275, 375, 428, 461, 484, 618, 710 e 760, II pp. 71, 135, 162, 235 e 514; «Almacco libertario», 1940-1941; «Volontà», n. 10, 1960; P.F. Buccellato, M. Iaccio, Gli anarchici nell’Italia meridionale…, cit., Roma, Bulzoni 1982, pp. 264n, 298-300, 308, 317n, 319-320, 330 e 332; G. Galzerano, Vincenzo Perrone, Casal Velino Scalo (Sa), Galzerano 1999, p. 227; P.C. Masini, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta (1862-1892), Bologna, BUR 1974, p. 221; Massara 2003, pp. 74-75; E. Santarelli, Il socialismo anarchico in Italia, Milano, Feltrinelli 1959, p. 182; G. Sole, Le origini del socialismo a Cosenza (1860-1880), Cosenza, Brenner 1981, pp. 139-140, 161 e 173-174. |