Lo scorso 23 gennaio si è tenuto sui colli bolognesi il secondo incontro operativo della Rete dell’educazione libertaria.
Nata da poco in Italia, la Rete per l’educazione libertaria si fa portavoce di una proposta educativa che solo recentemente è riuscita ad introdursi nel tradizionalista e conservatore panorama italiano.
All’estero, sia in Europa che nelle Americhe, sono molte invece le scuole di carattere libertario che da diversi anni portano avanti un certo tipo di processo educativo.
Tra le più famose Summerhill, fondata nel 1921 da Alexander Neill e Sands School, nata nel 1987, entrambe in Inghilterra.
Quello del 23 gennaio è stato un ritrovo sia organizzativo, ma anche di confronto e discussione.
Vi hanno partecipato una ventina di persone, diverse per provenienza, esperienza ed attività.
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Nelle foto in questa pagina, la sede in cui
si è svolto l’incontro e alcuni momenti |
Democratico e/o libertario
Il principale animatore della rete, colui che dopo molti anni di “solitudine” in Italia ha creduto nella possibilità di far incontrare persone con sentimenti ed ideali simili è Francesco Codello, dirigente scolastico trevigiano, ormai un vero riferimento nell’ambiente, autore di molti volumi sull’educazione libertaria e sulla sua storia.
Oltre a lui altri insegnanti, maestri, educatori, ma anche genitori o semplici interessati.
L’incontro si è tenuto in un casolare di collina messo a disposizione dall’associazione bolognese “Il Volo”, da anni impegnata in attività legate soprattutto all’espressività, alla creatività ed al riequilibrio corporei attenti ad uno sviluppo globale dell’individuo.
L’atmosfera che si respirava nel “Fienile”, lo spazio in cui si è tenuto l’incontro, non poteva non risentire di questo tipo di approccio alla sensibilità ed alla sensorialità dell’essere umano.
L’assemblea è iniziata al mattino.
Prima di tutto si è discusso dei punti del Manifesto della Rete, in particolare della definizione e distinzione dei termini “democratico” e “libertario”, come aggettivi che caratterizzano entrambi lo sforzo di questo particolare movimento educativo, ma che a parere di molti non sono semplicemente intercambiabili ma, piuttosto, complementari.
Che in una scuola libertaria le decisioni si prendano in maniera democratica, o meglio, in assemblee composte da educatori ed allievi, è quasi una conseguenza logica (in alcune scuole poi vale il principio dell’unanimità, in altre si sceglie quello della maggioranza).
Non è però scontato che una scuola democratica sia anche libertaria.
Un apprendimento di tipo libertario presuppone pensieri e pratiche che vanno molto al di là della semplice seppur fondamentale partecipazione collettiva ed egualitaria alle decisioni.
La discussione è quindi proseguita proprio sulle caratteristiche delle pratiche (e non dei principi o dei sistemi) dell’educazione libertaria, come l’assenza di sistemi pedagogici prestabiliti, la non autoritarietà delle relazioni, la democraticità e collettività delle decisioni, l’incidentalità del processo di apprendimento (e non di insegnamento), l’attenzione per quest’ultimo e non per i suoi risultati.
A questo proposito ci si è soffermati sull’opportunità di utilizzare il termine “insegnante” o piuttosto di sostituirlo con termini come “accompagnatore”, “accompagnante”, “facilitatore”, in modo da evidenziare il più possibile come il rapporto allievo-educatore non sia basato sull’autorità data dal possedere o meno i contenuti dell’insegnamento, dalla maggiore età di un soggetto rispetto ad un altro, o dalla quantità e qualità della sua esperienza nel campo.
L’educazione invece è vista come crescita umana, non come la molto più diffusa acquisizione di concetti e nozioni trasmessi unilateralmente e quasi sempre lontanissimi dagli interessi del protagonista dell’educazione, bambino, ragazzo o adulto che sia.
Allo stesso modo il processo dell’educazione è inteso come un percorso di crescita che è anche reciproca, in cui i due soggetti, l’educatore (o l’accompagnatore, l’accompagnante…) e l’allievo arricchiscono di volta in volta le loro persone in senso lato (non le loro conoscenze in senso stretto) in uno sforzo costante di adattamento e risposta alle necessità di apprendimento che sorgono spontanee dagli interessi individuali.
Un punto di discussione molto sentito è stato quello circa l’obbligatorietà da parte dei bambini e dei ragazzi che frequentano le scuole libertarie di sottoporsi comunque, nonostante l’assenza del concetto di valutazione, di attestazione dei risultati, di punizione, agli esami di verifica imposti dallo stato.
Secondo la legislazione vigente infatti i bambini che frequentano l’equivalente di elementari e medie in questo tipo di scuole, devono sostenere esami di idoneità addirittura alla fine di ogni anno scolastico.
La discussione è stata per lo più di carattere “filosofico”, basandosi su una domanda cruciale:
ha senso promuovere un tipo di apprendimento inteso come processo totalmente svincolato dal problema dei risultati e della valutazione quando prima o poi è inevitabile scontrarsi con la dimostrazione ad altri proprio dei cosiddetti e famigerati risultati dell’insegnamento?
Difficile trovare una risposta univoca.
Personalmente, sono convinta del potenziale rivoluzionario presente in un approccio educativo che stimoli la creatività, la spontaneità, le inclinazioni e gli interessi personali, la libera scelta, che offra la possibilità di creare relazioni non autoritarie ed egualitarie che si collochino in un contesto di libertà, rispetto reciproco e condivisione.
E questo nonostante, o a maggior ragione, considerando gli infiniti ostacoli che il sistema pone e cercherà di porre sempre di più alla diffusione di questo tipo di pratiche educative.
Dal punto di vista pratico, Davide Donadi e Giulio Spiazzi, cofondatori ed educatori della Scuola etica Kiskanu, la prima e più consolidata esperienza di scuola libertaria in Italia (si trova a Verona, dove lavora da 15 anni), hanno portato la loro esperienza: non potendo evitare di far sottoporre i propri ragazzi agli esami (al Kiskanu è attivo un ciclo di otto anni, l’equivalente di elementari più medie), cercano però di presentarli tutti insieme, a seconda della classe di ognuno, di fronte alla stessa commissione nella stessa scuola.
In questo modo i ragazzi si sentono meno soli e meno in difficoltà di fronte alla già complicata situazione di dover dimostrare a persone che provengono da ambienti culturali e da formazioni molto diverse (per quanto in alcuni casi si trovino insegnanti abbastanza aperti anche se tradizionali) ciò che non sono abituati a dimostrare a nessuno.
Il ruolo dei genitori
Un’altra questione molto sentita è stata quella che riguarda la quantità e la qualità della presenza dei genitori nella vita della scuola.
A seconda delle diverse testimonianze ed esperienze si sono evidenziati i vantaggi e le necessità di una loro presenza forte ma anche le difficoltà che ne possono derivare, soprattutto in termini di peso delle aspettative, anche se involontarie.
In generale si è convenuto che, nell’ottica della concezione della gestione della scuola come condivisa e partecipata, questa presenza è necessaria.
In molti casi questa partecipazione è imprescindibile e difficilmente limitabile quando l’iniziativa educativa parte proprio su impulso di un gruppo di genitori.
I rischi poi possono tradursi a volte in una tendenza, seppur non voluta o inconsapevole, a voler in qualche modo condizionare alcuni aspetti della vita della scuola (uno dei temi più “caldi” riguarda per esempio l’alimentazione).
L’esperienza di Kiskanu è molto particolare in questo senso, dato che l’iniziativa di aprire la scuola è stata presa da Giulio e da Davide come maestri, iniziativa cui poi i genitori hanno aderito.
Una neonata scuola libertaria
Conclusasi, anche se sarebbe potuta durare molto di più, la discussione sui punti del Manifesto della Rete, che a breve apparirà sul sito, si è passati al racconto di esperienze di educazione libertaria sviluppatesi negli ultimi mesi.
Quella più avviata ci è stata raccontata da Gabriella Prati, Mara Slanzi dell’Associazione il Volo e Anna Carminati, impegnate in un asilo-scuola libertaria partita lo scorso settembre a Bologna, a Cadriano.
Si tratta di 11 bambini suddivisi tra asilo, prima e seconda elementare.
La scuola si tiene fisicamente nelle vicine abitazioni di due famiglie, che hanno messo a disposizione le loro mansarde e cucine al piano terra.
I contenuti del processo di apprendimento si concretizzano essenzialmente nello stimolare le passioni personali di ogni bambino svilupandole poi grazie a strumenti tecnici creati a seconda delle necessità che di volta in volta si presentano.
L’attenzione principale è rivolta agli aspetti psicofisici e corporali dell’attività dei bambini, e cioè alla loro valorizzazione espressiva come base primaria a partire dalla quale poi i bambini scelgono che cosa vogliono fare.
Il benessere psicofisico e l’espressività corporea quindi sono visti come condizioni fondamentali che permettono poi in un secondo momento l’apprendimento.
Per queste ragioni, si dedica molta attenzione alla pratica fisico-corporea grazie alla decennale esperienza di Mara e di Anna.
Le maestre si sono rese conto di fare in realtà “postprogrammazione”, cioè di prendere consapevolezza di ciò che si è fatto solo dopo che le attività sono state realizzate, e non quindi stabilendole a priori.
L’assemblea comune è un momento molto gradito dai bambini, che ne hanno colto tutte le potenzialità, pur con la normale presenza di conflitti che la maggior parte delle volte vengono risolti in maniera indolore.
È vero che la sede fisica della scuola è la casa delle due famiglie, ma in realtà si fa molta scuola all’aperto, intesa come gite al fiume, in parchi, in campagna, in biblioteca, in senso non puramente didattico ma come risultato della predilezione dell’esperienza ed all’apprendimento di tipo incidentale.
Si dedica una particolare attenzione alla memoria ed alla rielaborazione di tutte le attività, attraverso ad esempio il confronto e la stesura di un diario di scuola.
È molto forte il senso di condivisione, mentre, come si è detto, si tende a favorire lo sviluppo delle sensibilità dei bambini piuttosto che delle loro capacità e competenze.
Le “sensibilità” stimolate sono molteplici, e possono essere artistiche, relazionali, corporee, ecologiche..
Si tratta di un’esperienza di cui le maestre sono entusiaste, sia per la risposta che ricevono da parte dei bambini (attenti, rispettosi, motivati, gioiosi, allegri, creativi), sia per il percorso che stanno facendo come “insegnanti” e come persone in generale, sperimentando sul campo la straordinarietà di processi educativi che nascono dall’incidentalità e dalla spontaneità.