Convegno di Parigi
E vertice di Nagoya
Alla “Conferenza della Convenzione sulla diversità biologica” di Nagoya (dal 18 al 29 ottobre) era stato presentato, sotto la supervisione di alcuni grandi nomi della finanza, un “rapporto sull’economia degli ecosistemi e la biodiversità per inserire il mondo naturale nel valore economico totale”. Niente di nuovo.
Da qualche tempo molte grandi imprese cercano di rifarsi una verginità proclamando il loro impegno in difesa dei diritti umani, dell’ambiente e della biodiversità, usando come cavalli di Troia gli abusati concetti di “sviluppo sostenibile” e di “crescita verde”.
L’anno scorso, mentre l’Areva (uno dei principali operatori nell’estrazione dell’uranio in Africa, sia in Namibia che nel Niger) si vantava di proteggere una rarissima specie di lichene della Namibia, l’azienda chimica Basf dichiarava di aver seminato piante e fiori su duemilacinquecento ettari di campagna francese.
Analogamente, una delle maggiori aziende produttrici di telefonini raccoglieva contributi per le bambine del nord-est congolese. In questi territori, oltre alle popolazioni indigene, rischiano l’estinzione animali come l’okapi e l’ippopotamo nano.
Si è poi scoperto che per salvaguardare il lichene Areva aveva deviato il corso di un canale che unisce la sua fabbrica di dissalamento dell’acqua marina (a Swakopmund) alla miniera di uranio di Trekkopje, sempre di proprietà dell’azienda francese. In passato (quando la Namibia era occupata dal Sudafrica che aveva introdotto anche l’apartheid) le miniere di uranio namibiane erano tristemente note per l’altissima mortalità dei minatori. Talmente contaminati che, quando ritornavano ai loro villaggi, causavano involontariamente anche la morte di mogli e figli. Invece la Basf è stata la principale responsabile della commercializzazione del fipronil, sostanza attiva dell’insetticida Règent, sospettato di essere una delle cause principali della mortalità delle api.
Per il Congo, basti ricordare che nelle zone dove si estrae il coltan (indispensabile per i telefonini) le bambine sono vittime di abusi (stupri, maltrattamenti...) da parte dei miliziani ruandesi e dei militari congolesi che si impadroniscono del prezioso minerale.
Un concentrato di questa “retorica ambientalista” si è manifestato a Parigi il 19 ottobre 2010 in occasione del convegno “Businnes and biodiversity”. Tra i presenti venuti a celebrare l’Anno della biodiversità, rappresentanti di Total, Véolia, Electricité de France, Lafargue e, appunto, Areva. Numerosi gli esponenti di Medef (la Confindustria francese) e del World Businnes Council for Sustainable Development. Sia a Parigi che a Nagoya si è discusso di “compensazione ambientale” e di “valore monetario da attribuire agli ecosistemi” per stabilire costi e risarcimenti del degrado ambientale.
In linea con questi principi, la Caisse des dèpots et consignations ha creato l’“operatore finanziario di compensazione in materia di biodiversità”, intervenendo in alcuni progetti di recupero ambientale. Alcuni volonterosi dirigenti di Paribas, uno dei maggiori gruppi bancari francesi, si sono spinti oltre. Avrebbero partecipato ad una manifestazione (pare in bicicletta e con barbe finte, mascherati da attivisti) organizzata dalla Fondation Good Planet in difesa del clima. Particolare non insignificante, Paribas sarebbe uno dei principali sponsor della fondazione ambientalista. Ma soprattutto sarebbe coinvolto in progetti responsabili di gravi danni ambientali come Sakalin II (progetto petrolifero in Russia), una centrale nucleare in Bulgaria e la realizzazione di alcune dighe in Laos. Inoltre controllerebbe azioni di imprese produttrici di bombe a frammentazione e di altre operanti nell’estrazione della sabbie bituminose del Canada.
Per quanto riguarda le bambine del Congo e il coltan, qualcuno deve aver avvisato l’azienda produttrice di telefonini che “forse non era il caso” e lo spot è presto scomparso.
Gianni Sartori
Biodiversità
E malattie infettive
In uno degli ultimi numeri della rivista scientifica Nature, alcuni ricercatori britannici e statunitensi sostenevano che, contrariamente a quanto verrebbe da pensare, l’erosione della biodiversità non riduce il rischio di malattie infettive. Almeno per le malattie prese in esame, tra cui malaria, febbre del Nilo, malattia di Lyme e vari tipi di febbri emorragiche, avviene il contrario. Lo stesso con altre patologie che colpiscono animali e piante.
Mentre il declino delle popolazioni mondiali di mammiferi, uccelli, rettili, anfibi, pesci e invertebrati dopo il 1970 arriva al 30%, negli ultimi sessanta anni sono state classificate più di trecento nuove malattie infettive. In questo numero i ricercatori hanno inserito quelle indotte dagli stafilococchi resistente agli antibiotici, le patologie preesistenti che si sono trasmesse anche agli umani (i virus dell’aids e di alcune sindromi respiratorie particolarmente acute) e altre di cui si è ampliata in misura significativa l’area geografica (alcune malattie di origine africana e asiatica prima sconosciute in Europa e Stati Uniti).
Stabilire meccanicamente una relazione tra i due fenomeni sarebbe semplicistico, dato che la trasmissione di una malattia infettiva dipende da un insieme di fattori. Oltre agli agenti patogeni (virus, batteri, parassiti...) vanno presi in esame i vettori (zecche, pidocchi, zanzare, alcuni uccelli e mammiferi...) e l’ambiente. Tra gli esempi riportati da Nature, quello delle zecche che trasmettono la malattia di Lyme, talvolta mortale, inizialmente individuata negli Usa. Le zecche si nutrono del sangue sia dei topi dalle zampe bianche che degli opossum, l’unico marsupiale sopravvissuto al di fuori dell’Australia. Le popolazioni di opossum, molto raramente portatori del batterio incriminato, svolgevano un ruolo di “specie tampone” fino a quando la distruzione delle foreste ha lasciato campo libero ai topi, definiti una “grande riserva di batteri”. Sempre negli Usa, studi recenti confermano che i casi di encefalite dovuti al virus del Nilo occidentale (trasmessi da zanzare, ma ospitati da alcuni passeracei) sono maggiori dove la varietà di uccelli è scarsa. La riduzione della biodiversità colpirebbe predatori e competitori dei portatori di elementi patogeni favorendone l’aumento e la diffusione. In molti casi si è potuto osservare come le specie più resistenti, in grado di adattarsi al degrado ambientale, sono (o diventano?) anche i maggiori portatori di agenti patogeni.
Gli effetti deleteri della progressiva erosione della biodiversità vengono poi amplificati dal sovrapporsi di altri fattori (crescita demografica, aumento di scambi commerciali, allevamento intensivo, riscaldamento globale) che modificano la distribuzione geografica delle specie veicolo di malattie infettive.
Gianni Sartori
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Umberto Tommasini confinato
a Ponza, nel 1928 |
Ricordando
Umberto Tommasini
Tanta gente, molti interventi
a 30 anni dalla sua morte
Lunedì 17 gennaio 2011
Oltre un centinaio di persone, la sala stracolma per ricordare, raccontare e conoscere Umberto Tommasini l’anarchico di Vivaro, triestino d’adozione che per tutta la vita non è mai indietreggiato di un solo passo nella strada verso l’anarchia.
Compagni e compagne da Pordenone, Trieste, Udine, dal vicino Veneto, poi la gente di quel territorio d’origine a cui Umberto è sempre rimasto legato profondamente ed ancora messaggi di vicinanza da parte di chi lo ha conosciuto e non è potuto esserci sono arrivati da Carrara, Roma, Milano nei giorni precedenti.
Una giornata ricca d’interventi che in più occasioni han suscitato entusiasmo, commozione ma soprattutto ascolto, attenzione, in una sala gremita che per alcuni momenti sembrava non poter accogliere tutti costringendo più di qualcuno ad assieparsi sul ballatoio d’entrata.
Un programma che è cominciato con la proiezione di una parte delle interviste a Umberto sulla sua partecipazione alla rivoluzione sociale in Spagna, volontario della prima ora in soccorso ai compagni della CNT-FAI a Barcellona. Si è poi proseguito con la parte dedicata al lascito di libri, opuscoli e documenti della famiglia Tommasini (di cui parte dello stesso Umberto) e curata da Gianluigi Bettoli, storico locale, che si è soffermato sugli aspetti più importanti di questo fondo, ora parte della biblioteca civica di Vivaro come patrimonio culturale di assoluto valore.
La parte centrale della mattinata ha poi visto intervenire Claudio Venza e Clara Germani, entrambi militanti anarchici del Gruppo Anarchico Germinal di Trieste, lo stesso gruppo di Umberto in cui ha militato attivamente fino agli ultimi attimi della sua vita. Come storico Claudio Venza ha tracciato la cronologia della vita intensa e avventurosa di Tommasini soffermandosi più volte sui momenti significativi delle scelte e dei contenuti delle sue battaglie anarchiche.
Clara Germani ha poi raccontato il suo impegno nella stesura del libro oramai andato esaurito sulla vita di Umberto, l’intervista orale di decine di nastri da sbobinare con la macchina da scrivere, allora unico mezzo, e arricchendo il racconto con aneddoti personali nei suoi rapporti con Umberto.
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Umberto Tommasini: la prima foto segnaletica
allegata al fascicolo del Casellario Politico Centrale |
Prima dello stacco musicale, che ha proposto un breve percorso tra le canzoni storiche del reportorio anarchico, c’è stato un’ampio spazio per interventi liberi in cui compagni che lo hanno conosciuto ma anche amici e conoscenti sono intervenuti ognuno con la propria storia, i propri ricordi facendo traspirare in modo netto la grande umanità di Umberto, il forte senso dell’etica libertaria che lo animava e allo stesso tempo la determinazione con cui ha condotto la propria scelta anarchica fino in fondo. Nel cuore del Friuli, caratterizzato dall’ingerenza cattolica e clericale, tanta gente aveva partecipato al suo funerale rigorosamente laico nel 1980.
Una cinquantina di compagni si sono poi recati, con un breve corteo, proprio al cimitero di Vivaro per depositare una corona sulla sua tomba con la scritta “i compagni, le compagne”. Ancora si sono succeduti interventi con l’ultimo sentito saluto da parte di tutti.
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Vivaro (Pordenone), 16 gennaio 2011 – La corona deposta
sulla tomba di Umberto Tommasini |
In ultimo è importante rilevare come nonostante siano passati 30 anni dalla sua morte, nel piccolo comune di Vivaro, un evento come questo ha destato una certa preoccupazione per le autorità repressive vista la presenza di carabinieri in borghese e digos, giunti ad iniziativa iniziata, probabilmente sorpresi dal tanto interesse per un fabbro anarchico del 1896. Ancora una volta il merito è tutto suo.
Ciao Umberto, vivarino, friulano, triestino, italiano, catalano, spagnolo, internazionalista ma soprattutto anarchico.
Nestor
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Vivaro (Pordenone), 16 gennaio 2011 – Un gruppo di
compagne e compagni intorno alla tomba
di Umberto Tommasini, nel trentennale della sua morte |
Vivaro, a trent’anni dalla scomparsa
ricordato l’anarchico Tommasini
Sala piena in consiglio comunale per ricordare uno dei “figli illustri” di Vivaro: l’anarchico libertario Umberto Tommasini (Trieste 1896 – Vivaro 1980).
Combattente nella Prima guerra mondiale, ferito e internato a Mauthausen, Tommasini, assieme al fratello Vittorio, all’inizio degli anni Venti aderisce all’idea anarchica. Scontata a Ustica e Ponza una condanna al confino, nel 1932 espatria in Francia. Attivo antifascista a Parigi, accorre nel 1936 a difendere la Repubblica spagnola, contro Franco. Combatte assieme a Carlo Rosselli di Giustizia e libertà e con l’anarchico Camillo Berneri. Rientrato in Francia, durante la Seconda guerra mondiale è internato nel campo di concentramento di Vernet d’Ariège, in seguito confinato a Ventotene e Renicci d’Anghiari. Nel dopoguerra Tommasini partecipa a Trieste alle attività degli anarchici ma viene arrestato dalle autorità d’occupazione anglo-americane. Successivamente fonda a Trieste il circolo Germinal. Partecipa alle attività della Federazione anarchica e dirige il settimanale “Umanità nuova”. Tommasini muore il 22 agosto 1980 a Vivaro.
A ricostruirne la vicenda umana e storica – in un convegno organizzato dal circolo Zapata di Pordenone e dal gruppo anarchico Germinal di Trieste, in collaborazione con l’Ecomuseo Lis Aganis – lo storico Gian Luigi Bettoli, Claudio Venza e Clara Germani, i quali hanno scritto una corposa biografia su Tommasini. Significativa, con la ricostruzione delle vicende che hanno visto protagonista l’anarchico libertario, la relazione di Bettoli sull’importante lascito librario alla biblioteca comunale. Durante il convegno è stato proiettato un audiovisivo con un’intervista a Tommasini. Numerosi messaggi di vicinanza all’anarchico vivarino, giunti anche da Carrara, Roma e Milano. Al termine del convegno i presenti hanno reso omaggio a Tommasini, al cimitero di Vivaro.
Sigfrido Cescut
dal Messaggero Venetodel 23/01/11 |