A Pisa, città nella quale Gori condusse gli studi universitari ed incontrò l’ideale anarchico, si sono tenute due giornate di studi, con i contributi di studiosi di fama nazionale, per esplorare e riscoprire la figura del «cavaliere errante dell’anarchia».
Cento anni fa moriva Pietro Gori, avvocato, oratore, scrittore, poeta, ma soprattutto fervente propagatore di quell’Ideale anarchico che, abbracciato negli anni dell’Università, lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Una vita breve, stroncata a soli 46 anni dalla tisi, un male che già da tempo lo affliggeva e che rendeva tragicamente paradossale il riferimento ai suoi «polmoni di ferro», riferimento che alcuni contemporanei coniarono per sottolineare la maestria, la capacità e la resistenza di Gori nell’effettuare comizi di fronte alle folle – comizi spesso di 2-3 ore senza interruzioni. Proprio tramite la comunicazione orale, prima ancora che tramite la parola scritta, Gori riuscì ad entrare nei cuori delle plebi che ebbero occasione di ascoltarlo, soprattutto nella Toscana tirrenica. In un’epoca in cui l’analfabetismo continuava ad attestarsi su livelli significativi, specialmente tra gli strati sociali più umili, il comizio offriva un momento di partecipazione, di coinvolgimento emotivo a coloro – donne incluse – cui spesso la dimensione politica, e soprattutto la possibilità di udire riferimenti diretti alla propria condizione esistenziale, erano negate.
Ma Gori non fu, come già accennato, un semplice oratore. Il suo fu un profilo di intellettuale a tutto tondo: malgrado i condizionamenti che ebbe con il passare del tempo a causa della sua malattia, e che lo obbligarono a periodi di riposo, Pietro Gori diede vita ad una notevole produzione scritta; produzione peraltro estremamente diversificata, spaziando dai pamphlet di argomento politico e sociale ai rendiconti dei processi che lo videro coinvolto, ma nella quale si possono trovare anche componimenti poetici e teatrali, questi ultimi particolarmente capaci di penetrare nella quotidianità delle plebi cui «l’Avvocato dei poveri» si rivolgeva.
Testimone della propria fede fino alla fine, Pietro Gori si spense l’8 gennaio 1911 a Portoferraio. Il centro elbano lo ricorda ancora oggi, avendogli dedicato la piazza sulla quale si affaccia il Palazzo del Comune e dove su un altro palazzo attiguo è ancora ben visibile la bellissima lapide scolpita dall’artista Arturo Dazzi: solo uno dei numerosi esempi che ci sono pervenuti, a testimonianza di una memoria ricevuta in eredità e che si trova a fare i conti con l’odierna indifferenza – quando non con un vero e proprio ostruzionismo / revisionismo – nei confronti delle radici storiche e culturali dei territori e dei corpi sociali, tendenza che sempre più attanaglia la società italiana e l’Occidente tutto.
Per ricordare – e riproporre – la figura ed il pensiero di Gori a cento anni esatti dalla morte, venerdì 14 e sabato 15 gennaio si sono tenute presso il palazzo della Sapienza di Pisa, sede principale della Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo toscano e luogo nel quale Gori studiò, due giornate di studi storici organizzate dalla Biblioteca Franco Serantini, nel corso delle quali studiosi di fama nazionale hanno potuto fornire il loro contributo specialistico per esplorare e riportare alla luce la figura dell’avvocato elbano. Il convegno è stato preceduto nella serata del 13 gennaio da un’affollatissima conferenza/spettacolo sulla Canzone anarchica da Gori e De Andrè che ha visto la partecipazione di Paolo Finzi e Maurizio Antonioli – in qualità di relatori – e il coro popolare «Agorà» con il gruppo musicale «Supramonte», che hanno allietato la serata con una bella carrellata di canzoni libertarie.
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Pisa 13 gennaio 2011 – La sala del Polo Carmignani
(Università di Pisa) durante la conferenza/spettacolo
La canzone anarchica da Gori a De André,
tenutasi la sera prima dell’inizio del Convegno su Pietro Gori |
La creazione del mito
Il convegno è stato il momento culminante di un complesso di celebrazioni che ha visto, dall’8 al 22 gennaio, presso la Biblioteca Universitaria, l’allestimento di una mostra bibliografica con una ricca esposizione delle opere di Gori, tra le quali la sua tesi di laurea manoscritta – dal titolo La miseria e i delitti – discussa con il professor David Supino e pubblicata nell’occasione per i tipi della BFS.
Ma entriamo nel merito delle due giornate di studi. L’evento ha visto un importante seguito di pubblico, un pubblico composto non soltanto da specialisti della materia e da militanti, ma anche da gente attratta semplicemente da curiosità o da interesse culturale; non sono mancati i giovani, specialmente studenti universitari.
Se qualcuno dei presenti avesse avuto anche solo per un momento degli interrogativi circa il senso del convegno, questi hanno fatto i conti, all’apertura dei lavori, con l’intervento di Franco Bertolucci, direttore della Biblioteca Serantini, il quale ha rivendicato l’utilità scientifica e la necessità di tale iniziativa: «Gori è una figura su cui la storiografia deve continuare ad indagare, visto che spesso, a partire dalla sua morte, il Gori storico è stato offuscato dal mito, dalla costruzione, a volte ‘folcloristica’, che si è venuta formando attorno a lui».
Già, il mito: problema di non facile trattazione, sul quale è intervenuto Maurizio Antonioli, docente presso l’Università di Milano ed autore di alcune opere sulla figura del militante anarchico e sulla storia dell’anarchismo italiano (solo per citarne alcune: Pietro Gori, il cavaliere errante dell’anarchia, Pisa, BFS edizioni, 19952; Il sol dell’avvenire. L’anarchismo in Italia dalle origini alla prima guerra mondiale, Pisa, BFS edizioni, 1999 – con P.C. Masini –; Sentinelle perdute. Gli anarchici, la morte, la guerra. Pisa, BFS edizioni, 2009). Cosa rappresentava Gori per l’anarchismo toscano e italiano tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento? «Sicuramente in quel periodo era la più grande “carta” dell’anarchismo italiano, possessore di una grande forza simbolica». Amatissimo dalle folle, dotato di una personalità carismatica e di una capacità di riflettere sui problemi sociali del suo tempo che lo rendevano rispettato e temuto anche dagli avversari politici, ben presto si venne a creare attorno a lui una sorta di «culto della persona», specialmente nelle zone della Toscana tirrenica di cui Gori era originario. Ciò fece emergere non poche preoccupazioni nelle stesse fila anarchiche. «Si delineò un duplice processo – è il parere di Antonioli –: da un lato la creazione del mito, dall’altro la contestazione del sorgere di un culto personale, contestazione fatta propria dallo stesso Gori».
Una figura di spicco, quindi, che porterebbe a chiedersi quali fossero i rapporti con altri «grandi» dell’anarchismo italiano di inizio Novecento, come Errico Malatesta. «Le occasioni di incontro tra i due furono poche, ad esempio al congresso di Capolago nel 1891 e poi a Londra durante gli anni dell’esilio di Gori (1895-’96). Non si hanno molte notizie sul loro rapporto, ma questo era sicuramente di grande stima e sintonia, pur nelle notevoli differenze di carattere e di stile tra questi due personaggi».
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Pisa 14-15 gennaio 2011 – Gruppo di partecipanti al Convegno
Nostra patria è il mondo intero |
Gesù Cristo superstar?
Dopo la morte di Gori, il mito prese piede con forza. I necrologi recarono non di rado gli epiteti di «Eroe», «Apostolo», «Martire»: i giornali anarchici fecero lo stesso. «L’Avvenire anarchico», sorto a Pisa solo pochi mesi prima soprattutto per iniziativa di Virgilio Salvatore Mazzoni, avrebbe titolato all’indomani della morte Pietro Gori vive!. Il cavaliere errante era morto, ma il suo messaggio no. Se il corpo poteva corrompersi, non era così per l’Ideale.
Occorre tenere presente come l’uso di un linguaggio di tipo religioso fosse una caratteristica di tutto il socialismo dell’epoca: i propagandisti sovversivi puntavano a far scorgere alle masse il legame tra il loro messaggio ed il cristianesimo delle origini, un messaggio di carattere rivoluzionario, a loro avviso; così, al «Cristo socialista» del PSI faceva eco la definizione goriana del Cristo «anarchico in camicia rossa». Del rapporto tra Gori ed il cristianesimo ha parlato sempre Antonioli: «Gori si muove in un filone che vanta illustri antecedenti, come La vie de Jésus di Renan, e compie una rilettura nella quale Gesù e le persone a lui vicine, gli apostoli, sono individui che si ribellano all’ordine del loro tempo intraprendendo una via fino al martirio: in ciò lui vedeva il parallelismo con la vita del militante anarchico». E questa fu la via scelta da Gori, scelta mantenuta in modo coerente per tutta la sua esistenza, malgrado le difficoltà – ed i pericoli – che quella scelta comportava. Sui temi trattati dall’intervento di Antonioli è ritornato anche Umberto Sereni, docente presso l’Università di Udine, illustrando l’influenza dell’azione e dell’immagine di Gori in quel particolare contesto storico, territoriale e umano che si andò dipanando a cavallo del XIX e XX secolo in particolare nell’area che va da Pisa alla Versilia, terra dei «profeti del liberato mondo». Un universo umano e culturale che ha contribuito a disegnare l’identità del nascente movimento libertario come è stato sottolineato anche nelle relazioni di Massimo Ortalli sulla fortuna dei pamphlet goriani e quella di Franco Schirone e Santo Catanuto sulla diffusione delle canzoni e delle opere teatrali di Gori nelle classi subalterne dell’epoca.
Se Gori è stata la figura centrale del convegno di studi tenutosi a Pisa, nondimeno questo si è focalizzato non solo sulla vita del militante anarchico, ma anche su aspetti utili a capire il contesto nel quale egli si trovava ad agire. Così, grazie ai contributi di Marco Scavino (Università di Torino) e di Mauro Stampacchia (Università di Pisa), è stato gettato uno sguardo alla situazione dell’Italia liberale a cavallo tra Otto e Novecento, un periodo estremamente problematico tanto per questioni di tipo economico-sociale quanto per quelle di tipo politico. È infatti l’epoca che deve fare i conti con lo strascico della prima Grande Depressione conosciuta dal capitalismo industriale, la quale ha effetti drammatici per le fasce di popolazione meno protette, e che porta così, anche in Italia, ad alcune significative manifestazioni di insorgenza operaia; ma è anche l’epoca che, sul piano politico, assiste alle repressioni governative del biennio 1898-1900 seguite dal «nuovo corso» imperniato sulle figure di Zanardelli e di Giolitti e su questi temi è intervenuta Emanuela Minuto (Univ. di Pisa) con un’interessante relazione sulle tendenze autoritarie nelle élites dirigenti italiane e la lotta dei «partiti d’avanguardia» nella difesa delle libertà civili e sociali.
Per quel che riguarda più da vicino Gori, quelli sono gli anni che vedono consumarsi la definitiva spaccatura tra i socialisti cosiddetti «legalitari» e gli anarchici. Se la frattura andava allargandosi oramai dall’inizio degli anni Ottanta, fu tuttavia con la fondazione a Genova del Partito dei Lavoratori Italiani (1892, dal 1895 Partito Socialista Italiano), che essa divenne irreversibile. Ad un livello superiore, la stessa spaccatura sarebbe stata sancita pochi anni dopo dal Congresso di Londra della II Internazionale (1896). La via della rivoluzione, se non a parole, quantomeno nei fatti venne abbandonata dal nuovo partito italiano del proletariato. Una scelta a cui gli anarchici, e tra loro Gori, non vollero adeguarsi.
Il potere e i crimini
Il convegno è andato ad investigare anche le radici dell’orientamento ideologico goriano, cercando di ricostruire il milieu culturale dell’ambiente universitario che egli frequentò alla fine degli anni Ottanta, un ambiente fondamentale per l’abbraccio di Gori all’anarchismo. Questo è stato il nucleo dell’intervento di Alessandro Breccia (Università di Pisa), il quale è partito da un semplice dato quantitativo: per tutto il periodo compreso tra l’Unità e la fine dell’Ottocento, più del 50% degli iscritti complessivi all’Ateneo pisano compiva studi giuridici – è superfluo dire come gli iscritti totali al grado massimo del sistema d’istruzione fossero solo poche centinaia. Gori dunque, proveniente da famiglia medio-borghese, si trovò ad effettuare i propri studi nel cuore pulsante dell’Ateneo, al cospetto di professori quali Gabba, Carrara, Supino, Toniolo. La città di Pisa, nelle cui vene scorreva da tempo la linfa democratico-repubblicana, aveva cominciato a conoscere la presenza sempre più cospicua degli «Internazionalisti», cresciuta grazie all’opera di personaggi come Oreste Falleri. Era dunque, quello pisano, un ambiente «caldo», ricco di stimoli per i giovani dotati di talenti intellettuali. Ed era, non va scordato, l’ambiente su cui campeggiava il mito, già formato e sedimentato, di Curtatone e Montanara. La via intitolata a quel XIX Maggio era proprio la via sulla quale sorgeva, e sorge tuttora, la Facoltà di Giurisprudenza, benché il nome sia stato poi esplicitato, in tempi più recenti, in “Via Curtatone e Montanara”: causa l’affievolirsi della memoria, il continuare con il semplice XIX maggio avrebbe solo generato interrogativi – o indifferenza – nella mente dei passanti.
Come detto, la tesi con cui Gori si laureò nel 1889 reca il titolo di La miseria e i delitti; sul frontespizio, si può leggere una massima di Adolphe Quételet, che ben rende l’idea del contenuto di tale opera: «La società prepara il delitto, il delinquente non fa altro che eseguirlo». Sugli aspetti del rapporto tra libertari e legge è intervenuto in sede del convegno il Vincenzo Ruggiero (Middlesex University), partendo dalle riflessioni di Kropotkin. Egli ha poi sottolineato l’importanza del pensiero positivista per la formazione di Gori, un fattore, questo, che si può spiegare semplicemente considerando l’anarchico come un figlio del suo tempo. Gli ultimi due decenni dell’Ottocento furono infatti gli anni del confronto, in campo giuridico, tra la scuola classica, il cui alfiere era Carrara, e appunto la scuola positivista, nella quale Gori si riconosceva. Di qui lo scorgere nel crimine una base «patologica», ma anche il condizionamento determinante dei fattori sociali. Sulla formazione culturale della generazione dei militanti anarchici di cui fa parte Gori si è soffermato Alessandro Volpi, docente dell’Università di Pisa, con una approfondita relazione sulle conoscenze e sulla diffusione delle moderne teorie economiche nel movmento libertario di fine secolo.
Il radicamento in alcune zone
Se Gori fu una figura importante per l’anarchismo italiano, nondimeno la sua rilevanza non si esaurì entro i confini nazionali. Esule per gran parte del periodo tra il 1894 ed il 1902, egli ebbe modo di svolgere la sua attività di propaganda presso le comunità italiane di Svizzera, Inghilterra, Stati Uniti ed Argentina, e di intervenire in prima persona nei processi organizzativi delle classi proletarie locali (basti pensare alla nascita della Federaciòn Obrera Regional Argentina, nel 1901) – Sull’influenza dell’anarchismo nella genesi e sviluppo del movimento operaio argentino e sul ruolo dell’emigrazione italiana sono interventui Katia Massara e Oscar Greco –.
La seconda giornata di studi presso la Sapienza ha posto il focus proprio sul Gori “oltre confine”, esule, sì, ma non straniero nei paesi che visitò, in conformità con quell’idea del «nostra patria è il mondo intero» che ha fornito il titolo all’iniziativa pisana. Solo per citare alcuni degli studiosi intervenuti, Pietro Di Paola, ricercatore italiano che lavora in Inghilterra, si è soffermato sulla presenza di Gori a Londra, mentre Maurizio Binaghi, docente presso alcune scuole medie e licei della Svizzera italiana, ha analizzato nel suo contributo il soggiorno di Gori nel paese elvetico.
Arnaldo Testi, americanista del Dipartimento di Storia dell’Università di Pisa, ha ripercorso l’esperienza negli Stati Uniti dell’anarchico italiano in un periodo particolarmente caldo, dal punto di vista sociale, per il gigante al di là dell’Atlantico. Siamo nel 1895-1896, e Gori interviene attivamente presso la comunità italiana giunta in America a seguito dei processi migratori, che si è portata dalla vecchia Europa la tradizione, recente, del Primo Maggio. Una tradizione che fece fatica ad avere un seguito di massa negli USA, anche per la concorrenza accanita di un’altra festa del lavoro, il Labour Day, caro soprattutto agli operai figli degli immigrati della generazione precedente, per lo più provenienti dall’Europa centro-settentrionale. In questa diatriba va collocata l’intensa propaganda dell’anarchico italiano a favore del Primo Maggio.
Alla sua conclusione, il convegno si è poi occupato della diffusione del movimento anarchico in singole aree della nostra penisola, dalla Toscana alla Sicilia, potendo contare sui contributi di Franco Bertolucci, Alessandro Luparini, Roberto Giulianelli e Natale Musarra.
L’iniziativa, nel complesso, ha restituito alla città di Pisa e al territorio circostante una figura che ha giocato un ruolo di primo piano per la storia di quell’area, tanto da essere ancora ricordata nell’onomastica stradale sia della città della Torre che di molti altri centri disseminati lungo la costa tirrenica – abbiamo già menzionato il caso di Portoferraio – ; non solo, ma l’insieme delle celebrazioni in memoria di Gori ha dimostrato l’importanza della collaborazione tra enti locali ed istituti culturali come la Biblioteca Serantini, in una situazione che purtroppo deve fare i conti con «le disastrose condizioni in cui versa il mondo della cultura in Italia – queste le parole dell’assessore alla Cultura della Provincia di Pisa Silvia Pagnin, inviate all’apertura del convegno – sia per i tagli diretti al settore che per quelli indiretti agli enti locali». Medesime considerazioni sono state espresse dai presidi delle Facoltà di Giurisprudenza e di Scienze Politiche dell’Università di Pisa, intervenuti per salutare l’inizio dei lavori.
Alla fine, forse, sorge un ultimo interrogativo: può Gori essere attuale?
Oggi, ad un secolo di distanza dalla sua morte, tra la crisi economica e l’attacco a quei diritti sociali conquistati – anche col sangue – dai lavoratori nel corso del Novecento, in un’epoca che vede andare a pezzi l’etica pubblica e politica, si è venuta a ricreare la necessità di una figura come quella del «cavaliere errante dell’anarchia»? La questione non è così semplice per Antonioli: «Non si può fare paragoni, questa, rispetto a quella di Gori, è un’altra epoca. Tra l’altro, lo stesso movimento anarchico ha considerato a lungo la figura di Gori come “inattuale”: anche in un periodo come quello successivo al ’68, particolarmente fervido, si è parlato dell’attualità di figure come quella di Bakunin, di Kropotkin, ma non di Gori, perché non si riusciva a sfruttarla politicamente, e questo è stato forse un grave errore. Ad ogni modo, a mio avviso, ogni personaggio appartiene alla sua epoca: o nessuno è attuale, oppure tutti sono attuali».
Gori vs. De André?
Vince Gorizio
Non poteva che finire a tarallucci e vino. Un pareggio concordato e in allegria, nella sfida che la sera dell’8 gennaio ha opposto sul palco del circolo Arci La Scighera, a Milano, Fabrizio De André e Pietro Gori.
I due avvocati difensori, Paolo Finzi e Maurizio Antonioli, con le loro arringhe appassionate hanno raccontato vite, opere e aneddoti dei due grandi poeti, tanto distanti sul piano artistico e umano, quanto vicini nella comune tensione verso i reietti, gli esclusi, l’“alme schiave ed avvilite” che viaggiano “in direzione ostinata e contraria”. Il resto lo hanno fatto i canti: il gruppo milanese delle Voci di Mezzo a fare da guida e un pubblico pigiato nella sala a sgolarsi su Addio Lugano e Via del campo, nella formula della cantata collettiva, ormai di casa alla Scighera.
Fino al verdetto: chi tra Gori e Fabrizio potrebbe aggiudicarsi la palma di “vate dell’anarchia”? Gorizio, perfetta sintesi di opposti concordi, rappresentazione della varietà di anime che rende vivo e pulsante l’ideale anarchico.